L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Indice articoli

 

Note di regia

di Danilo Rubeca

Quando sogniamo l’anima «è il suo teatro, il suo attore e il suo spettatore» (Joseph Addison, in “The Spectator”, n. 487, Londra, 18 settembre 1712)

Il Viaggio musicale all'inferno è l'ultima composizione di Giancarlo Facchinetti, uomo che ha saputo riassumere “la parabola frammentaria e contraddittoria del Novecento musicale” nella sua vicenda umana e artistica (Andrea Faini, Il provocatore gentile. Vita e musica di Giancarlo Facchinetti).

Nel mettere in scena questo lavoro a un anno dalla scomparsa del Maestro vorremmo anche cogliere l'occasione per raccontare qualcosa dell'uomo Giancarlo e del musicista Facchinetti, con quel misto di umorismo e malinconia che gli erano propri. È interessante notare che l'ultima fatica del Maestro è proprio una riflessione sul rapporto del musicista con la sua Musa. Se non un vero e proprio testamento musicale, certamente un tentativo di tirare le somme su una vita spesa per la musica e sul senso e l'opportunità di continuare a farlo. Il libretto di Andrea Faini ambienta la vicenda all'interno di un teatro abbandonato, dato alle fiamme. In effetti, però, ciò che la Musa propone in questo Viaggio all'inferno è un cammino a ritroso tra le pieghe della coscienza: quella del protagonista, prima di tutto. Ma, come suggerivamo prima, quella del compositore stesso e per riflesso la nostra. Un sogno ad occhi aperti, potremmo dire, nel quale perdersi e ritrovarsi, comprendere e confondersi, agitarsi e piombare nella più profonda disperazione, per poi riemergere liberati dai fantasmi e pronti a ricominciare con la consapevolezza del proprio errore. Un immaginario viaggio nell'inconscio in cui niente è ciò che sembra, a partire dalla stessa Euterpe che oscillerà tra creatura umana, spirito divino e mera proiezione della coscienza del Narratore.

Lo stesso teatro abbandonato, più che un luogo concreto, ci sembra rimandare al significato artistico e spirituale della parola: il 'teatro' come forma d'arte, quello che il nostro protagonista ha voluto abbandonare rinunciando alla musica. In tal senso abbiamo preferito ambientare la nostra storia in uno spazio astratto: un pavimento delimitato da due pareti che alluderanno al sipario di un teatro. Alla tridimensionalità della scena si aggiungerà un elemento geometrico variamente scomponibile e ricomponibile: una cornice illuminata, che nell'infinita varietà di movimenti possibili darà vita ad un gioco di spazi, di pieni e di vuoti, di al di qua e al di là, che renderanno ragione delle n-dimensioni del sogno, dei diversi piani in cui si realizza la drammatizzazione onirica, dove tutto ha senso se interpretato a livelli diversi e non esclusivamente al vaglio della mente cosciente e consapevole.

Abbiamo scelto il colore rosso per la cornice, così come per la parete di fondo, sulla suggestione della Stanza rossa di David Lynch, simbolo del sogno e apertura alla dimensione onirica; ma anche dell'omicidio perpetrato nei confronti della musica e del teatro in genere, cui come si è detto vorremmo alludere senza dichiararlo esplicitamente. Come per la Stanza rossa di Matisse, l'uso del colore rosso e della luce serviranno a rendere più precisamente l'ambiente emotivo delle diverse scene, al di là di ogni rappresentazione più realistica degli elementi che via via le comporranno.

Il Surrealismo poi, con la sua capacita di creare molteplici mondi immaginari e dare una rappresentazione artistica al sogno, ci ha fortemente ispirati nella narrazione e nella composizione delle scene, nella scelta delle immagini e nella ideazione e realizzazione dei costumi. La giustapposizione di elementi contrastanti, accostati in maniera volutamente contraddittoria e spesso provocatoria, con uno spirito irriverente ma mai dichiaratamente volgare, assecondano e ben rappresentano quell'umorismo di Facchinetti che, come dice bene Andrea Faini, “non è solo un'arma rivolta contro i portatori di presunte verità, ma aspira a comprendere il suo bersaglio, a creare con esso una condizione di simpatia (nel senso greco della συμπάθεια). Anziché limitarsi a emarginare o esorcizzare il comportamento o la situazione paradossale, il suo umorismo considera l'ambiguità non un errore da correggere, ma una realtà con cui convivere.”

Non sembri arbitraria, pertanto, la scelta di rappresentare i dannati in modo non didascalico, seguendo cioè la lettera del libretto. Si è preferito farlo in chiave umoristica, a volte bizzarra, con quel gusto per lo scherzo e l'ironia che crediamo avrebbero divertito molto il Maestro. Lo spettatore potrà riconoscere tutta una serie di citazioni – opportunamente rielaborate e variamente declinate – dell'arte surrealista, in un viaggio ideale nella storia di questa corrente artistica – soprattutto a livello cinematografico – che ha percorso tutto il Novecento, a partire dal Manifesto di Breton per giungere, attraverso Dalì, Man Ray e Cocteau, al cinema di David Lynch, che e certamente l'ultimo surrealista del secolo appena trascorso.

Facchinetti amava sorprendere, provocare, disorientare con la sua musica; sfidare i pregiudizi dell'ascoltatore. In tal senso il sogno ci dà la possibilità di far convivere nella stessa scena immagini,

situazioni e personaggi che pur avendo senso in sé nel loro accostamento arbitrario ci spiazzano, ci destabilizzano. L'elemento bizzarro – talvolta usato con intento simbolico talvolta no – aiuterà lo spettatore a vivere dentro di sé e condividere con il protagonista il senso di straniamento, la sua incapacità di cogliere immediatamente il significato di tutte le immagini che vengono sottoposte alla sua attenzione.

Se la musica del Novecento esprime il vuoto di senso, l'alienazione dell'uomo che osserva se stesso e il suo mondo senza più riconoscerli, il sogno e la sua drammatizzazione, con tutte le sue stranezze, sono la dimensione ideale per rappresentarne gli aspetti e le incongruenze.

Come nell'inferno dantesco o nelle scene dipinte da Hieronymus Bosch è evidente il gusto del virtuosismo nella giustapposizione di elementi inconciliabili per suscitare sorpresa, paura, disagio nell'osservatore; o, più semplicemente, per dar vita a una vera e propria polifonia di simboli e significati; così nei diversi incontri verranno esasperati alcuni elementi particolarmente significativi e caratteristici dei diversi personaggi, per ispirare il senso di inquietudine vissuto dal protagonista e muovere l'osservatore ad un sorriso benevolo, a volte malinconico, ma mai grossolano.

Vera protagonista di questa cantata scenica e indiscutibilmente la Musica. Una Musica che si fa Teatro e mette in scena se stessa. Facchinetti può essere considerato a buon diritto compositore essenzialmente teatrale nel suo non voler giustapporre gli stili, ma nel far parlare la sua musica di musica, nel far entrare le sue note in una galleria di specchi deformanti. Mettere in scena la musica come fosse teatro e narrazione di se stessa è una via personale al distacco (Andrea Faini). Poiché per noi il vero protagonista di quest'opera è il nostro compositore, abbiamo voluto suggerire qualche aspetto della sua vita che ci è parso particolarmente significativo: il ricordo del padre accordatore; i traumi della Seconda Guerra Mondiale; l'istituto di suore in cui poté esercitarsi bambino al pianoforte; la vittoria al primo talent-show televisivo del 1956 condotto da Enzo Tortora (Primo applauso); lo studio di direzione d'orchestra nella classe di Antonino Votto con i compagni di studi Riccardo Muti e Claudio Abbado. Come in un sogno verranno evocati ma in maniera enigmatica, come nella sezione dedicata alle avanguardie musicali, in cui abbiamo costruito una scena piuttosto complessa, ricca di elementi simbolici: un militare nazista, due figure maschili vestite da crocerossine, quattro figure mascherate da uccelli – due neri e due bianchi – e due figure che porteranno urne cinerarie. Le avanguardie, come il conflitto mondiale, hanno decretato la morte definitiva di un mondo

– quello della 'tradizione'. Hanno tradito il vero senso della musica e lo hanno fatto in modo violento, portando a un dopo in cui è impossibile riconoscere il prima, impossibile ritornarvi. La profonda ambiguità insita in ogni guerra, in ogni rivoluzione – politica, artistica e musicale – in cui le vittime diventano prima o poi carnefici e viceversa, verrà rappresentata proprio da uno scambio di ruoli all'interno della scena tra le figure con maschere da uccello nere (carnefici) e quelle con maschere da uccello bianche (le vittime). Nella scena che apre la sezione dedicata ai traditori abbiamo voluto rappresentare un corteo funebre: il funerale della musica. Del corteo faranno parte un musicologo, un cantante pop e dei personaggi (un trombettista figlio di papa, un pianista arrivista, una mecenate ignorante, una produttrice cinica), tutti in realtà carnefici della musica stessa. Qui Facchinetti sembra volerci dire che proprio coloro che avrebbero dovuto difendere la musica ne hanno decretato la morte, per superficialità, vanagloria, denaro, interesse. La musica ridotta a mero nozionismo (musicologo), o a puro e semplice edonismo (cantante pop), così come quella svuotata di ogni talento e significato spirituale (gli altri quattro personaggi, che essendo 'traditori', 'falsi' e 'bugiardi' verranno rappresentati come dei pinocchi in una scena dall'immaginario tutto felliniano) è musica morta, senza vita, inutile.

L'incontro con Lucifero, quasi al termine della cantata, ci sembra emblematico di tutto il malessere del nostro secolo e di quello appena trascorso: il tempo, o meglio la sua mancanza, sono il vero inferno nel quale siamo immersi. Al protagonista viene chiesto di scegliere perché non ha più tempo. Tornare alla musica, ora o mai più. O morire con essa. Un pendolo campeggerà sul fondo della scena a indicare la scelta imminente, definitiva. Quella che il narratore dovrà fare per salvarsi o dannarsi in eterno.

Euterpe, vero e proprio deus ex machina di tutta la cantata, organizza e dà vita a tutte le visioni per condurre il protagonista a ritrovare se stesso, la sua ispirazione, perché come scrive giustamente Faini “la musica, indipendentemente dal linguaggio con cui si esprime, può rimanere arte a condizione di non tradire la propria autonomia, di rispondere ad una coerenza interna”. La fine del viaggio corrisponde al momento in cui il protagonista ritrova la sua libertà: di espressione, innanzitutto; ma – soprattutto – una libertà interiore, più profonda: quella che lo svincola da se stesso, dalle proprie paure, idiosincrasie, dipendenze; che gli fa godere la musica così come la godeva da bambino, con l'innocenza di chi solo può avvicinarsi all'ineffabile con la purezza che è priva di ogni condizionamento esteriore e di ogni pregiudizio.


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.