L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Indice articoli

PICCOLO BELLINI 2021|2022

dal 22 al 31 ottobre

LA FIDANZATA | PANDEMICO VAUDEVILLE

uno spettacolo scritto e interpretato dagli allievi della Bellini Teatro Factory diretti da Francesco Saponaro

due atti unici liberamente ispirati ai racconti La fidanzata e Il sottufficiale Prišibeev di Anton Čechov

di Elvira Buonocore, Maria Chiara Montella, Marta Polidoro e Francesco Saponaro

regia Francesco Saponaro

produzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini

Nell’ambito della scuola di formazione per attori e drammaturghi Bellini Teatro Factory, si è scelto, per il 2021, di affrontare Čechov e la sua produzione artistica, sia nella forma teatrale che narrativa.

Ne sono emersi i nodi tematici fondamentali quali il significato del teatro, il destino e il conflitto tra le generazioni, in un momento storico che li fa istantaneamente risuonare con le condizioni di questo 'pandemico' presente.

D'altra parte, Čechov è un classico e i classici appartengono sempre a un tempo che deve ancora venire. Ritrovando inalterato, nella Russia

echoviana come oggi, quel senso di vivere senza orizzonti e di appartenere a un mondo decrepito, si è giocato – così come faceva Čechov – a mettere i “pensieri della vita” in bocca a gente di poco conto e di cervello corto, spesso puerili, in grado tutt'al più di piccole rivelazioni.

Per la regia di Francesco Saponaro, questa ricerca arriva ora in scena, attraverso un lavoro di riscrittura a cura delle allieve drammaturghe coordinate dallo stesso regista e apre la stagione del Piccolo Bellini, coinvolgendo tutto il gruppo degli attori in formazione.

dal 2 al 7 novembre

LA TRAGEDIA E’ FINITA, PLATONOV

di Liv Ferracchiati

con scene dal Platonov di Anton Čechov

con (in ordine alfabetico) Francesca Fatichenti, Liv Ferracchiati, Riccardo Goretti, Alice Spisa, Petra Valentini, Matilde Vigna

aiuto regia Anna Zanetti

drammaturgia di scena Greta Cappelletti

costumi Francesca Pieroni

luci Emiliano Austeri

suono Giacomo Agnifili

produzione Teatro Stabile dell’Umbria

Dopo il debutto alla Biennale Teatro 2020, dove ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria Internazionale, Liv Ferracchiati presenta al Piccolo Bellini la sua originale riscrittura di Platonov, il testo giovanile di Čechov che racconta la storia del giovane maestro di provincia in cui convivono i tormenti esistenziali di Amleto e l'impunità sentimentale di Don Giovanni. Ferracchiati, che dichiara sin dal titolo le sue intenzioni di stravolgimento del punto di vista, destruttura il testo Čechoviano ricollocandolo in un'architettura narrativa contemporanea in cui si muovono solo il protagonista e le quattro donne innamorate di lui (gli straordinari Riccardo Goretti, Francesca Fatichenti, Alice Spisa, Petra Valentini e Matilde Vigna) affiancati dall'inedito personaggio del "lettore" – interpretato da lui stesso –che fa da contrappunto al personaggio di Platonov, creando un dualismo ironico che sottolinea il carattere caotico e umanissimo dell'infelicità del giovane. «Platonov, inteso come testo drammaturgico, sempre e solo letto, mai pensato da rappresentarsi, per me è stato un incontro. -- racconta Ferracchiati -- Trovavo rifugio nell’inazione di Platonov, nella sua paralisi tra attrazione e repulsione, tra paura e eccitazione, nel suo non agire e nel suo sottrarsi. Nel non scegliere tra le quattro donne che gli si offrono, come se ognuna potesse dare una soluzione alla sua esistenza. Non sceglie perché, alla fine, non si può. Come si può scegliere solo una possibilità?[...] Tutto è confuso, imbrogliato, forse conviene osservare con indulgenza Platonov, perché nei suoi slanci, nelle sue miserie, nelle sue paure e nei suoi inconsolabili dolori, ritroviamo i nostri».

durata 1 ora e 30 minuti

dal 9 al 21 novembre

HAMLETMACHINE

di Heiner Müller
traduzione Saverio Vertone
con Rino Di Martino

regia Sergio Sivori
scene Lucia imperato
costumi Chiara Aversano
disegno Luci Salvatore Palladino
contributi video Marco Schiavoni

produzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini

Scritto nel 1977 dal commediografo e regista teatrale tedesco Heiner Müller, Hamletmachine, liberamente ispirato all'Amleto di William Shakespeare, è diventato un classico contemporaneo. Lo riscopriamo nell’adattamento di Sergio Sivori, che trasforma l'opera in uno sconcertante e sadico gioco teatrale, capace di indagare fino in fondo, con crudo cinismo filosofico, l’anatomia delle passioni umane. La ricerca teatrale di Sergio Sivori mantiene intatta tutta la forza verbale di cui è carica la drammaturgia Mulleriana, ma la arricchisce con una rilevante componente fisica: passando attraverso il corpo dell’attore/attuante, uno straordinario Rino Di Martino, Sivori solleva nuove associazioni e molteplici significati. Il gioco teatrale si rende speculazione filosofica, ed indaga il mistero indecifrabile dell’animo umano e delle sue passioni pedine instabili nella partita a scacchi tra le pulsioni di vita e quelle di morte. Lo spettacolo è un atto unico diviso in cinque quadri, accomunati da un sottile e continuo gioco di inversione di ruoli, in cui il corpo e l’anima acquistano la medesima componente materica, esposta alla corruzione del tempo e del peccato. Se, dunque, l’anima è destinata a deteriorarsi esattamente come accade alla carne, senza possibilità di redenzione, sta allo spettatore abbandonarsi e immergersi nel ritmo delle azioni fisiche per trarre la propria personale riflessione.

durata 50 minuti

dal 23 al 28 novembre

ART

di Yasmina Reza

Permission granted by Thaleia Productions, 6 rue sedillot 75007 Paris France

traduzione Federica Di Lella e Lorenza Di Lella – Adelphi

scene e regia Emanuele Conte

con Luca Mammoli, Enrico Pittaluga, Graziano Sirressi di Generazione Disagio

produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse

Tre amici – Marc, Serge e Yvan – si confrontano sulla qualità artistica di un quadro completamente bianco, discutendo sul prezzo altissimo per il quale è stato acquistato da uno dei tre; la discussione, però, diventa presto un dibattito dai toni accesi sull'arte contemporanea, per poi trasformarsi, in un attimo, in un violento litigio che non riguarda più l'arte, ma il loro stesso rapporto di amicizia.

In un crescendo di dialoghi serratissimi, i tre protagonisti, sempre a distanza tra loro, giocano una partita a scacchi dentro quadrati di luce, in cui la realtà della loro relazione è resa evidente da una messinscena essenziale, a totale servizio del testo. Un confronto nudo, frontale, quasi cinematografico, in cui entrano in gioco tutte le variabili dei rapporti umani: quale rapporto, anche il più intimo e più felice, non è basato su qualche mezza verità, su qualche completa bugia o grande malinteso? Si conoscono da una vita Marc, Serge e Yvan, si sono sempre voluti bene, si sono sempre piaciuti e stimati, ma di fronte a quella tela bianca, non si riconoscono più...

Scritto da Yasmina Reza, una delle più importanti drammaturghe in lingua francese, autrice tra l'altro del testo da cui Polanski ha tratto il film Carnage, Art– testo vincitore del Premio Moliere e poi tradotto in trenta lingue – è una commedia crudele e divertente sull'amicizia, che attraverso dialoghi serrati e a tratti straordinariamente comici ci dà la misura di quanto capirsi sia davvero difficile.

durata 65 minuti

dal 7 al 19 dicembre

SENET

drammaturgia e regia Pier Lorenzo Pisano
c
on Alfredo Angelici, Federica Carruba Toscano, Matilde Vigna

sceneLucia Imperato
c
ostumi Chiara Aversano
d
isegno LuciSalvatore Palladino
d
isegno Sonoro Alessio Foglia
p
roduzione Fondazione Teatro Di Napoli – Teatro Bellini

Senet, il cui titolo fa riferimento al nome di un antichissimo gioco da tavolo egiziano, indicato come un antenato del backgammon, è uno dei due lavori nati nell'ambito della cattività artistica del progetto Zona Rossa, che ha abitato il Bellini da dicembre 2020 a marzo 2021. È, dunque, una scrittura nata sulla scena nel senso vero del termine, creata dormendo a dieci metri dal palco in una situazione in cui "la carne e il legno non sono mai state più vicini di così." come ricorda Pier Lorenzo Pisano, che aggiunge «Senet si basa su una percezione del fuori distorta. Sull’idea che una parola, detta su un palco col buio attorno, possa creare un mondo. "Cosa c’è fuori?” È una domanda che ci poniamo tantissime volte nel corso di una giornata. Il fuori è un qualcosa di multiforme, in constante definizione, nel bene e nel male. È una sorpresa, è una festa. Certe volte però, magari da piccoli, abbiamo l’impressione che quello che c’è fuori, che tutto il resto del mondo, dipenda da noi. Magari d’estate in un parco, magari al mare, ci sentiamo tristi, e subito le nuvole davanti a noi si inspessiscono e si rabbuiano. Magari abbiamo voglia di correre e urlare, e il vento comincia a soffiare e a spingerci. È il mondo che si adegua a noi, e non il contrario. E magari una sera, in una casa, due donne cominciano ad interrogarsi su quello che c’è fuori. E le loro parole, di paura, di gioia, di dolore, cominciano a creare il mondo, come quando eravamo bambini». Uno spettacolo onirico e intenso, che dopo il debutto nell'ambito del Campania Teatro Festival 2021, va finalmente in scena nel luogo in cui è stato concepito.

durata 80 minuti

dal 26 dicembre al 9 gennaio

CAZZIMMA&ARRAGGIA

uno spettacolo di Fulvio Sacco, Napoleone Zavatto
coaching Armando Pirozzi
con Errico Liguori, Fulvio Sacco
elementi scenici e costumi Anna Verde
una produzione improbabile di assemedianosocialclub

produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
con il contributo di Mestieri del Palco e il sostegno di Teatro Nostos; Putéca Celidònia; cantiere sartoria del Teatro Sannazaro; pigrecoemme – Scuola di Cinema e Fotografia

Barcellona 1984, è l'ultimo giorno di calcio mercato e due improbabili dirigenti del Calcio Napoli sono alle prese con la più grande impresa manageriale e sportiva del XX secolo: l'acquisto di Diego Armando Maradona. Chiusi in una stanza d'albergo da 59 giorni, alle prese con la snervante trattativa, aspettano la telefonata del Presidente Ferlaino da Napoli che deve confermare che i soldi per comprarlo ci sono...

«Siamo nati dopo l’arrivo di Maradona, troppo piccoli per vedere Carmelo Bene, troppo non-nati per piangere Enrico Berlinguer, troppo piccoli per ricordarci la festa dello Scudetto, troppo assenti dalla vita per vedere in scena Eduardo o bere un drink con Lucio Amelio. Nella nostalgia di un passato che non abbiamo mai vissuto, nel lutto per il corpo dei miti, nell’ironia della sorte, noi ci troviamo a nostro agio. Da tempo stavamo ragionando su una tematica precisa da portare il teatro: come si realizzano i sogni? E siamo partiti da qui: dal raccontare il più grande sogno di tutti i tempi: vincere sull’impossibile!» Così Fulvio Sacco e Napoleone Zavatto raccontano perché hanno scelto di riscrivere a modo loro la storia dell’arrivo di Maradona a Napoli come pretesto per costruire un'epica commedia contemporanea, che tra battute fulminanti e arredi vintage, ci racconta di due scalcagnati dirigenti di una città in costante attesa di riscatto che portano a segno la realizzazione di un sogno collettivo.

durata 60 minuti

dal 13 al 16 gennaio

MDLSX

con Silvia Calderoni

regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò

drammaturgia Daniela Nicolò e Silvia Calderoni

suoni Enrico Casagrande

in collaborazione con Paolo Panella e Damiano Bagli

luce e video Alessio Spirli e Simone Palma

produzione Motus 2015

Emilia Romagna

Il secondo appuntamento con il focus sul lavoro di Motus: dopo aver presentato il nuovissimo Tutto Brucia al Teatro Bellini, va in scena al Piccolo Bellini il loro ormai iconico MDLSX, il lavoro che ha debuttato nel 2015 e da allora ha fatto il giro del mondo. MDSLX è uno "scandaloso viaggio teatrale" durante il quale Silvia Calderoni ‫‫– attrice simbolo di Motus ‫‫– intona in forma di Dj/Vj set un inno lisergico e solitario alla libertà di divenire, al gender b(l)ending, all’essere altro dai confini del corpo, dal colore della pelle, dalla nazionalità imposta, dalla territorialità forzata, dall’appartenenza a una Patria. Brandelli autobiografici ed evocazioni letterarie confondono fiction e realtà, rendendo questo lavoro un'esperienza completa e imperdibile.

Se tra le ispirazioni letterarie di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò ci sono i testi di teoria queer e di genere di Judith Butler, A cyborg manifesto di Donna Haraway, e Manifesto contra sexual di Preciado, più in generale il riferimento è a tutta la letteratura che si muove sul crinale dell'identità più sfuggente; suggestioni e visioni che si compiono in scena mediante un linguaggio teatrale misto, caratteristica di tutti i lavori della compagnia. Così la parola il movimento, la musica, i filmati e il corpo stesso del performer (una Sivia Calderoni come sempre generosissima) diventano drammaturgia e accompagnano lo spettatore attraverso la rappresentazione della fatica che comporta la ricerca della felicità.

dal 18 al 30 gennaio

SETTANTASEI

Il crollo dell’impero romano d’occidente


drammaturgia e regia Licia Lanera e Pier Lorenzo Pisano
con Alfredo Angelici, Federica Carruba Toscano, Matilde Vigna
scene Lucia Imperato
disegno luci Salvatore Palladino

sound design Alessio Foglia

costumi Chiara Aversano
assistente alla regia Salvatore Scotto D’Apollonia
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini


Zona Rossa è il progetto che ha abitato il Teatro Bellini da dicembre 2020 a marzo 2021. Ideato da Daniele Russo e Davide Sacco, è stato una risposta creativa all’interruzione dell'attività dei teatri e al dibattito che ne è scaturito sul ruolo della cultura in generale e del teatro in particolare. Durante Zona Rossa, due drammaturghi-registi e tre attori si sono trasferiti all'interno del Teatro Bellini e, senza mai uscire, hanno lavorato a due nuove creazioni. I due drammaturghi erano i pluripremiati Licia Lanera e Pier Lorenzo Pisano e i tre interpreti Alfredo Angelici, Federica Carruba Toscano e Matilde Vigna: tutti artisti di grande spessore che hanno vissuto insieme e hanno lavorato insieme. Anche il pubblico ha partecipato al processo creativo, perchè le prove sono state trasmesse in diretta streaming. Sono stati "reclusi" 76 giorni e il risultato di questa reclusione creativa è Settantasei, una spettacolo che trasferisce sulla scena, in forma quasi diaristica e con un tono ironico e leggero, i sentimenti e le emozioni che hanno animato i cinque artisti durante il loro lockdown, e, dunque, l'esperienza di ognuno di noi: «La rabbia, la solitudine, il disfacimento del corpo, gli abbracci, le paure, gli sguardi complici - spiegano Lanera e Pisano - Insomma la vita di cinque essere umani chiusi dentro una casa. Dunque Settantasei è anche una riflessione sulla nostra contemporaneità, sul concetto di chiusura, sul senso del teatro e della vita dei teatranti. Settantasei è qualcosa che poteva nascere soltanto in questo contesto, e soltanto in questo momento storico: lo spettacolo ha preso questa forma, chiudendoci ogni altra strada. Settantasei è un numero, una data e una testimonianza».

durata 80 minuti

dall’1 al 6 febbraio

IL PROBLEMA

di Paola Fresa

testo Menzione Speciale Premio Platea 2016

con Nunzia Antonino, Michele Cipriani, Franco Ferrante, Paola Fresa

collaborazione alla creazione collettiva Christian Di Domenico

scene e costumi Federica Parolini

luci Paolo Casati

tecnico luci Maurizio Coroni

costruzione scene Luigi Di Giorno, Davide Maltinti

video e foto di scena Andrea Bastogi

illustrazione Francesco Chiacchio

con il sostegno di U.P.I.P.A. (Unione Provinciale Istituzioni Per l’Assistenza –Trento)

TRACCentro di Residenza Pugliese - Teatro Comunale di Novoli

si ringrazia Teatro Stabile di Bolzano

In un interno domestico, Padre, Madre e Figlia si trovano a dover affrontare un problema: la malattia incurabile che colpisce il Padre. Il testo è costruito come una sequenza ininterrotta di accadimenti, dove la narrazione è affidata all’esclusiva rappresentazione dei fatti. Nel precipizio della memoria che è la sindrome di Alzheimer, la scrittura non risparmia ai suoi personaggi continui inciampi tragicomici. La casa diventa, scena dopo scena, immagine claustrofobica della malattia, e i contatti con il mondo al di fuori, rappresentati dai tre personaggi esterni al nucleo familiare, non fanno altro che stringere il cerchio intorno ai tre protagonisti. Così, in una corsa contro il tempo, tra rifiuto del "problema” e silenziosa resistenza al dolore, tra vagabondaggi notturni e mancati riconoscimenti, nel sovrapporsi di passato e presente, dove il confine fra realtà e immaginazione diventa labile, Madre e Figlia si ritroveranno unite nell’impresa di trattenere il ricordo di sé nella mente del Padre.

«La nostra è una creazione collettiva, uno spettacolo che ha nel ruolo dell’attore e nelle relazioni che ogni interprete sa tessere con i suoi compagni di palco il suo perno», racconta Paola Fresa, che per Il Problema ha ottenuto la menzione speciale del Premio Platea 2016. Così, l'agire dei quattro attori in scena scandisce le fasi di una delle malattie più drammatiche e stranianti che affliggono il nostro presente con il ritmo e la delicatezza con cui si rappresenta una storia d’amore: più che il racconto di una malattia e la cronaca di una morte, il Problema si presenta come un vero e proprio inno alla vita.

durata 75 minuti

dall’8 al 13 febbraio

LA CLASSE

uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli | Cranpi

collaborazione alla drammaturgia Marta Meneghetti, Giada Parlanti, Emanuele Silvestri

collaborazione artistica Lorenzo Letizia, Tiziana Tomasulo, Lafabbrica

performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni, Marta Meneghetti

scene e marionette Fiammetta Mandich

luci Raffaella Vitiello

suono Hubert Westkemper

fonico Jacopo Ruben Dell’Abate

assistenti alla regia Francesco Meloni, Silvia Corona, Arianna Cremona

un ringraziamento a Giorgio Testa

produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello Centro di ProduzioneTeatrale, Carrozzerie | n.o.t | con il supporto di Residenza IDRA e Teatro Cantiere Florida/Elsinor nell'ambito del progetto CURA 2018 |

e di Nuovo Cinema Palazzo | e con il sostegno di Periferie Artistiche Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio

Un ringraziamento speciale ai compagni di classe

La classe di Fabiana Iacozzilli è uno spettacolo rivelazione, premiato nel 2019 con l'In-box, l'ANCT e l'UBU per il miglior progetto sonoro. Questo docupuppets scaturisce dai ricordi dell'autrice, in particolare dalle memorie dell'educazione rigida ricevuta da parte della sua maestra elementare, Suor Lidia.«A distanza di trent’anni ho deciso che avrei realizzato uno spettacolo a partire da quei ricordi e mi sono messa alla ricerca dei miei ex compagni,– racconta la Iacozzilli – ritenendo indispensabile ricreare quella “comunità” con la quale ho condiviso l’esperienza in questione. Per iniziare a ricomporre i tasselli della “storia” li ho intervistati, ponendo loro domande molto semplici: “Com’era Suor Lidia?”; “Cosa ti ricordi di lei?”; “Ti ricordi cosa accadeva in classe?”; “Sei stato felice quando è morta?”. Parallelamente al lavoro sulle interviste Fiammetta Mandich ha realizzato dei fantocci/burattini a immagine dei miei compagni, per far interpretare loro gli episodi da noi vissuti tra i sei e i dieci anni di vita.» Così, in scena, vediamo dei bambini interpretati da pupazzi che si muovono su dei tavolacci di legno, mentre Suor Lidia è l'unica presenza in carne ed ossa. E quando a un certo punto affida a Fabiana la regia di una piccola scena per una recita scolastica decide, forse, insieme a lei, la vocazione della sua alunna. Una "ricerca di pezzi di memorie andate", prosegue Fabiana Iacozzilli, aggiungendo "i miei compagni mi hanno aiutato a trovare una rotta e, infine, a comprendere la natura del lavoro. La Classe ha trovato il suo vero significato nel momento in cui ho rinunciato a quello che volevo raccontare in origine e mi sono messa in ascolto della materia che stavo indagando”.

durata 55 minuti

dal 15 al 20 febbraio

UNA COSA ENORME

uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli

con Marta Meneghetti, Roberto Montosi

scene Fiammetta Mandich

luci Luigi Biondi, Francesca Zerilli

suono Hubert Westkemper

realizzazione body suit Makinarium (special – visual – effects)

collaborazione ai costumi Davide Zanotti, Anna Coluccia

aiuto regia Francesco Meloni

assistente alla regia Cesare Santiago Del Beato

assistente alla drammaturgia Carola Fasana

fonico Jacopo Ruben Dell’Abate

foto di scena Manuela Giusto

collaborazione artistica Lorenzo Letizia, Luca Lotano, Ramona Nardò

un ringraziamento a Giorgio Testa

Fabiana Iacozzilli, dopo la Classe, continua a trasformare la riflessione autobiografica in materia scenica dal valore universale; qui si interroga sulle paure relazionate alla maternità: la paura di diventare madre, quella di non diventarlo e ancora, sulla paura di dire di non voler essere madre. Sul palco, c'è una donna con una pancia enorme che si è cucita la vagina con una corda a cui ha fatto un grande nodo scorsoio per impedire al pargolo di venire al mondo. È incinta da un tempo indefinito e da un tempo infinito trattiene e ritarda l’evento. «Siamo in uno spazio dell’anima, in uno spazio in cui l’anima gesticola e ci fa interrogare sulla nostra condizione di donne e uomini perennemente in bilico tra il voler essere genitori e il rimanere figli, ma anche su un’altra questione: nel momento in cui dai la vita a qualcuno lo stai più semplicemente condannando alla morte? – dice l'artista – Nel corso di questo processo artistico, come già avvenuto per il mio precedente lavoro La classe, ho capito la natura del progetto nel momento in cui mi sono davvero messa in ascolto della materia che stavo indagando. Questo momento è avvenuto quando mio padre si è ammalato e, a mio avviso, per l’essere umano che sono, ho fatto qualunque tipo di cosa enorme per lui. [...] Lo spettacolo è dunque diventato un oggetto emotivo che s’interroga sulla paura e sul desiderio dell’abbandonare se stessi alla cura di un altro essere umano, che s’interroga su una questione che appartiene a ogni donna, alla sua condizione esistenziale - che sia madre o che non lo sia - e che ha a che fare con una domanda semplice ma per niente consolatoria: “forse, alla fine, si è madri comunque?"».

durata 90 minuti

dal 22 al 27 febbraio

SENZA FAMIGLIA

di Magdalena Barile

regia Marco Lorenzi

uno spettacolo de Il Mulino di Amleto

con Christian Di Filippo, Francesco Gargiulo,

Barbara Mazzi, Alba Maria Porto, Angelo Maria Tronca

light designer Eleonora Diana

collaborazione ai costumi Paola D’Arienzo

produzione Acti Teatri Indipendenti / Il Mulino di Amleto

Senza Famiglia è una creazione folle e imprevedibile che racconta la storia tragicomica di una famiglia qualsiasi, in cui la nonna nostalgica delle sue battaglie degli anni '70, risorge per convincere la figlia, una casalinga succube del marito e a sua volta madre di due figli irrisolti, a cambiare vita. Asserragliate in una vecchia casa al mare, la donna costringerà la figlia a seguire un corso accelerato di emancipazione, anarchia e trasgressione. Gli insegnamenti, mal compresi e non digeriti, finiranno per avere effetti nefasti sull’equilibrio del gruppo familiare. A partire da un racconto spietato, esasperato e memorabile delle relazioni genitori-figli, emerge il grottesco fallimento di un’educazione politica e sentimentale tra generazioni. «Senza Famiglia racconta di come i sogni dei padri e delle madri cadano come macigni sulle teste dei figli, mentre la comunicazione fra le generazioni sia costellata da equivoci e disastri. Fra voglia di approvazione e voglia di ribellione, i passaggi di consegne fra genitori e figli si trasformano in un tritacarne› racconta l'autrice, Magdalena Barile. Lo spettacolo, finalista al Premio Scenario 2017, è firmato da Il Mulino di Amleto, la compagnia fondata nel 2009 da un gruppo di attori diplomati alla Scuola del Teatro Stabile di Torino, ora diventata una delle compagnie più significative della nuova generazione teatrale.

durata 90 minuti

dall'8 al 20 marzo

FOG

drammaturgia Francesco Ferrara

con Chiara Celotto, Claudia D’Avanzo, Simone Mazzella, Manuel Severino

regia Salvatore Cutrì

aiuto regia Salvatore Scotto D’Apollonia

disegno luci Giuseppe Di Lorenzo

attrezzeria Lucia Imperato

uno spettacolo del Collettivo Mind the Step

produzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini

Mind the step è una collettivo di giovani artisti nato a Napoli nel 2018, per iniziativa di un gruppo di ex allievi del primo triennio della Bellini Teatro Factory. La cifra di Mind the step è l'indagine su quegli aspetti del presente che, pur essendo sotto i nostri occhi, ci restano sconosciuti: dei veri e propri gradini invisibili spesso troppo familiari per essere notati. Il collettivo inciampa insieme al pubblico nella quotidiana contraddizione tra i passi in avanti e i passi indietro che la nostra società continuamente compie. Fog, finalista al Premio Scenario 2019, rielabora liberamente un fatto di cronaca per provare a interrogarsi sulla relazione che le nuove generazioni hanno con internet e i social media e su quanto questi ultimi condizionino i rapporti interpersonali e la percezione della realtà. Lo fa attraverso la storia di tre adolescenti, Tania, Karla e Paco che decidono, come spesso capita, di intraprendere una diretta streaming, che però, si trasforma in qualcosa di inaspettato. Con un linguaggio crudo e distaccato, Fog si muove in quella particolare zona d'ombra in cui il nostro sguardo non riesce più a vedere il limite che separa ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

durata 60 minuti

dal 22 al 27 marzo

THE BLACK’S TALES TOUR

di e con Licia Lanera e con Qzerty sound design Tommaso Qzerty Danisi luci Martin Palma regia Licia Lanera produzione Compagnia Licia Lanera

Partendo da cinque fiabe classiche – la Sirenetta, Scarpette rosse, Biancaneve, La regina delle nevi e Cenerentola – spogliate della loro parte edulcorata e consolatoria tipica del mondo dei bambini e presentate in tutta la verità della loro versione autentica, Licia Lanera firma una scrittura originale che racconta incubi notturni e storie di insonnia, per parlare di alcune donne, delle loro ossessioni, delle loro manie, delle loro paure.

In scena Licia Lanera è "travestita da icona pop" come dice lei stessa e racconta quel che resta delle fiabe al ritmo della musica originale, realizzata grazie alla collaborazione con il musicista pugliese Tommaso Qzerty Danisi, che ipnotizza lo spettatore accompagnandolo, per tutta la durata della performance, in una dimensione a metà tra l’onirico e il reale.

The Black's Tales Tour è uno spettacolo in cui le icone delle fiabe piano piano si sgretolano, fino a diventare la realtà stessa, la più feroce, la più fallimentare. E’ una specie di horror che vuole far paura per esorcizzare la paura stessa: quella di chi scrive, quella di chi vive, perché, come spiega l'autrice, «Le fiabe sono l’archetipo, il pre-visto, il pre-detto. Sono la letteratura genuina dei più profondi sentimenti umani. Sono la parola che si tramanda, sono la filosofia che viene scritta. Sono quello che eri da bambino e quello che sarai da adulto. Arriva un tempo in cui le fiabe che conosci da sempre sono una scusa per dire di te. E dici ciò che mai, altrimenti, avresti avuto il coraggio di dire».

durata 60 min.

29 marzo al 3 aprile

SESTO POTERE

Nascita di una democrazia violata dall'odio, dal denaro e dalla vendetta

scritto e diretto da Davide Sacco

con Gianluca Gobbi

e con Tommaso Arnaldi, Emanuele Marchetti, Valentina Violo

e con la partecipazione in video di Francesco Montanari

con la voce di Antonio Zavatteri

scene Luigi Sacco

luci Francesco Barbera

effetti sonori Pietro Lama

costumi Isabel Passayan Corona

organizzazione Ilaria Ceci

aiuto regia Raffaele La Pegna

produzione LVF e Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini, Teatro Manini in collaborazione con AstiTeatro

Dopo il quarto potere della stampa e il quinto potere della televisione, qui si indaga sulle distorsioni di un sesto potere, molto più̀ contemporaneo e sottile: quello che scivola tra gli smartphone, e si insinua attraverso le notifiche Facebook e le stories su Instagram.

In un garage chissà dove tre ragazzi lavorano per un partito di destra creando fake news per manipolare la campagna elettorale. È l'ultima sera prima del silenzio elettorale e i sondaggi sono a loro favore, ma non appena Malosi, un giornalista molto seguito, distrugge in diretta il vicesegretario del partito, i sondaggi crollano drasticamente. I ragazzi capiscono che l'unico modo per riportare la situazione a loro favore non è più creare false notizie sulla sinistra, ma screditare direttamente il giornalista... Evidentemente i tre protagonisti sono mossi da idee e motivazioni molto diverse tra loro, ma li accomuna la conoscenza delle potenzialità della manipolazione e la furia verso il raggiungimento dell'obiettivo. In un crescendo di avvenimenti e rivelazioni lo spettatore vive uno straniamento che lo accompagna fino al finale, spietato e sorprendente, che rivela tutta l'insensatezza delle regole della società che abbiamo costruito.

Dopo il debutto al Campania Teatro Festival 2021, Sesto Potere, scritto e diretto da Davide Sacco con Gianluca Gobbi, va in scena al Piccolo Bellini.

durata 70 minuti

dal 5 al 10 aprile

SUPERNOVA

drammaturgia e regia Mario De Masi

con Alessandro Gioia, Lia Gusein-Zadé, Fiorenzo Madonna,Luca Sangiovanni

produzione I pesci in collaborazione con A.Artisti AssociatiGorizia - ARTEFICI Residenze Creative FVG

Scuola Elementare del Teatro - Conservatorio Popolare per le Arti della Scena

L'Asilo


La supernova è un’esplosione provocata da una stella che ne ingloba un'altra più piccola, dando luogo a una reazione violentissima e luminosissima, che dura per un certo tempo. La materia prodotta dall’esplosione si disperde nell’universo e dà vita a nuove stelle, mentre il nucleo collassa su se stesso e crea un buco nero: esplosione, evoluzione e collasso sono anche i tre momenti che costituiscono questo nuovo lavoro de I Pesci, che dopo l'irresistibile Pisci ‘e paranza, tornano al Piccolo Bellini con la parabola di una famiglia. Tre fratelli, cresciuti insieme ma destinati a condizioni sociali divergenti, alla morte grottesca e improvvisa del padre si ritrovano adulti loro malgrado e devono trovare la propria strada. Le reazioni dei ragazzi sono molto differenti: fuga, responsabilità e stallo. La madre, intanto, è la forza attraente e respingente allo stesso tempo, è il nucleo morente intorno al quale si continua a orbitare, poiché plasma il carattere dei figli e ne determina i singoli percorsi. Sette anni dopo, poco prima della sua morte, questi percorsi si intrecciano di fronte al disfacimento della famiglia e delle memorie a essa legate. La fuga e il ritorno in una realtà che non muta, eternamente consegnata al vano tentativo di sfuggire al tempo: si scappa dalla morte per tornare alla morte e l’uomo al cospetto del vuoto, non può far altro che osservare la natura effimera della propria esistenza.

durata 55 minuti

dal 19 al 24 aprile

CELESTE

testo e regia Fabio Pisano

con Francesca Borriero, Roberto Ingenito, Claudio Boschi

costumi Rosario Martone

luci Paco Summonte

suggestioni sonore live Francesco Santagata

assistente regia Francesco Luongo

produzione liberaimago

Celeste di Porto, detta "la Pantera nera", era un’ebrea del ghetto romano. Non si sa molto di lei, ma dalle cronache del tempo emerge una storia spietata: una bellissima ragazzina di 18 anni che dopo il rastrellamento del ghetto da parte delle SS decide di diventare delatrice. Per gli Ebrei del ghetto inizia un vero e proprio periodo buio: chi veniva salutato con un cenno della mano dalla stupenda Celeste, non aveva scampo. Per ogni “capo”, lei guadagnava cinquemila lire. E non importa se a finire nelle mani delle camicie nere fossero donne, bambini o uomini. No. La Pantera nera era indifferente al genere e all'età. Solo la sua famiglia, doveva essere risparmiata: ma il padre non riuscì a portare questo enorme peso sulla coscienza, e si consegnò alle SS, mentre i fratelli la rinnegarono. Solo la madre continuò a volerle bene.

Una volta caduto il regime, si trasferì a Napoli. Scelse un nuovo nome, Stella Martinelli, e divenne prostituta in un bordello. Un giorno tre ebrei la riconobbero e la denunciarono. Fu portata a Roma, in carcere. Evase e fu ripresa, dovette affrontare il processo. Condannata, uscì nel 1950, tra condoni e amnistie. In quegli anni di detenzione, si disse che ebbe una crisi mistica…

Fabio Pisano porta in scena le azioni commesse da Celeste contro la sua gente, sforzandosi di immaginarne – o inventarne – il perché. Senza alcuna pretesa di assolverla, ma con l’urgenza di narrare.

durata 80 minuti

dal 26 aprile all’1 maggio

GEMITO, L'ARTE D'O PAZZO

con Antimo Casertano, Daniela Ioia, Luigi Credendino, Ciro Kurush, Giordano Zangaro

assistente regia Lella Lepre

ideazione scene Flaviano Barbarisi

realizzazione scene Giovanni Sanniola

costumi Antonietta Rendina

musiche originali Marco D’Acunzo e Marina Lucia

luci Paco Summonte

audio Mariano Penza

coproduzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini,

Compagnia Teatro Insania e Ass. NarteA

Partner l’Asilo – Ex Asilo Filangieri

Vincenzo Gemito è stato uno scultore partenopeo, nato a metà ottocento e cresciuto da genitori adottivi, poiché abbandonato nella ruota degli esposti; all’età di 9 anni inizia il suo apprendistato nella bottega di Emanuele Caggiano, in seguito studierà ritrattistica, perfezionerà le sue doti di scultore e raggiungerà una certa fama. Afflitto, però, da problemi psichici, e ossessionato dalla continua ricerca della perfezione e dal maniacale tentativo di lavorare non per la conquista del successo ma per la conquista della verità, venne recluso in manicomio. Antimo Casertano indaga e narra la personalità di Gemito e la sua crisi esistenziale, chiedendosi cosa porta un artista alla rovina o alla sua gloria, cosa spinge un artista al blocco emotivo, psichico e professionale. «Bisognerebbe sfatare il mito del genio-folle. Molto spesso chi attraversa un momento insano non riesce a creare nulla di geniale. Parte da questa analisi la volontà di realizzare uno spettacolo e di poterlo portare in scena, non solo per la volontà di ridare luce alla complessa figura di Gemito, ma soprattutto per esplorare questo delicatissimo e profondo momento che riguarda noi “esseri umani” da vicino. Attraverso la sua vicenda cercheremo di esplorare la materia intima che muove un artista, sperando di porre le domande giuste. Sperando di poter aprire le giuste fessure nei meandri delle nostre anime. La risposta come al solito sarà affidata al pubblico.»

durata 80 minuti

dal 3 all’8 maggio

L'AMORE DEL CUORE

di Caryl Churchill

un progetto de lacasadargilla

regia Lisa Ferlazzo Natoli

con Tania Garribba, Fortunato Leccese, Alice Palazzi, Francesco Villano

suoni e spazio scenico Alessandro Ferroni

luci Omar Scala

immagini Maddalena Parise

costumi Camilla Carè

traduzione Laura Caretti e Margaret Rose

produzione Teatro Vascello La Fabbrica dell'attore e lacasadargilla

con il supporto di Theatron Produzioni

con il sostegno di Bluemotion

Lisa Ferlazzo Natoli, di cui ricordiamo il recente When the rain stops falling, tratto dal testo dell'australiano Andrew Bovell, che gli è valso numerosi riconoscimenti, porta in scena L'amore del cuore, della drammaturga inglese Caryll Curchill, un altro testo che ci parla di dinamiche familiari e in cui il tempo, in questo caso nella forma dell'attesa, è protagonista della storia. La vicenda è quella di un padre, una madre e una zia che aspettano il ritorno di una figlia, il loro “amore del cuore”, che però non arriva, qualcosa potrebbe essere accaduto, ma dove? «L’argomento, la storia sono in qualche modo secondari – osserva la regista – perché l’intenzione principale di Churchill è di distruggere il testo stesso, usandolo per smontare i meccanismi del teatro, della realtà e delle relazioni che all’interno di questa realtà si costruiscono moltiplicando abitudini, rimossi e abissi. Certo c’è un filo narrativo, una piccola storia familiare, punteggiata da fatti e incidenti non esplicitamente legati tra loro, ma percorsi tutti da una stessa preziosa inquietudine, in cui l’ordinaria perversità dell’istituzione familiare e dei suoi meccanismi relazionali e sociali è letteralmente ‘gettata in scena’, per spingersi fino a quella esplosione della parola». Lisa Ferlazzo Natoli ci regala ancora una volta un lavoro dalla regia elegante ma appassionata, a tratti cinematografica, e fa muovere i quattro magnifici attori all'interno di un meccanismo complesso e precisissimo, fatto di paesaggi sonori, movimenti scenici e suggestioni visive.

durata 50 minuti

dal 10 al 15 maggio

IMMACOLATA CONCEZIONE

drammaturgia e regia Joele Anastasi

con Federica Carruba Toscano, Alessandro Lui, Enrico Sortino, Joele Anastasi, Ivano Picciallo

da un'idea di Federica Carruba Toscano

scene e costumi Giulio Villaggio

light designer Martin Palma

musica originale "scurannu agghiurnannu" Davide Paciolla

testo musica originale Federica Carruba Toscano

aiuto-regia Nathalie Cariolle

contributo drammaturgico Alessandro Lui

foto Dalila Romeo

video e graphic designer Giuseppe Cardaci

una creazione Vuccirìa Teatro

produzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini

spettacolo vincitore di Teatri del Sacro V

Torna in scena al Piccolo Bellini il lavoro più iconico di Vùccirìa Teatro, amatissimo da pubblico e critica nonché premiato nell'ambito de I Teatri del Sacro 2017. La storia, ambientata in un paesino dell'ancestrale Sicilia del 1940, racconta di Concetta, ragazza silenziosa e innocente, che viene barattata dal padre caduto in disgrazia con una capra gravida e affidata a Donna Anna, tenutaria del bordello del paese. Concetta è estranea ai piaceri della carne e a qualunque “adulta” concezione della vita, pertanto, non oppone nessuna resistenza. Del resto nessuno le ha mai spiegato cosa voglia dire fare l’amore, nonostante quella parola le piaccia già. Ben presto la fama della “nuova arrivata” raggiunge tutto il paese: ma nessuno sa di preciso quali piaceri regali agli uomini per farli impazzire così tanto. Scopriamo che malgrado tutti millantino di mirabolanti prestazioni, dentro la stanza del bordello, nessuno di loro l'ha mai toccata. Concetta, infatti, è vergine. Ha il dono di “sentire” l'anima dei suoi clienti; rendendo possibile la loro fragilità nascosta. Dona loro quello che nessuno sa dargli...

Lo spettacolo racconta quale terremoto possa generare l’incontro tra spiritualità e carnalità sul piano della collettività in un microcosmo siciliano fatto di omertà violenza e presunzione, e non è un caso che Joele Anastasi abbia scelto di ambientarlo negli anni ’40, decennio di grandi avvenimenti e cambiamenti, spartiacque essenziale nella storia dell’umanità.

durata 2 ore

dal 24 al 29 maggio

IL COLLOQUIO

progetto e regia Eduardo Di Pietro

con Renato Bisogni, Alessandro Errico, Marco Montecatino

aiuto regia Cecilia Lupoli
costumi Federica Del Gaudio

organizzazione Martina Di Leva

Residenza per artisti nei territori - Teatro Due Mondi, Faenza

produzione Collettivo LunAzione

Il Colloquio prende ispirazione dal sistema di ammissione ai colloqui periodici con i detenuti presso il carcere di Poggioreale, Napoli.

In scena, tra tanti altri in coda, troviamo tre donne che attendono stancamente l’inizio degli incontri con i detenuti. Portano oggetti da recapitare all’interno, una di loro è incinta: in maniera differente desiderano l’accesso al luogo che per ognuna custodisce un legame. La galera, un luogo alieno, in larga parte ignoto ed oscuro, si rivela un riferimento quasi naturale, oggetto intermittente di desiderio e, paradossalmente, sede di libertà surrogata. In qualche modo la reclusione viene condivisa all’esterno dai condannati e per le tre donne, che se ne fanno carico, coincide con la stessa esistenza: i ruoli maschili si sovrappongono alle vite di ciascuna, ripercuotendosi fisicamente sul corpo, sui comportamenti, sulle attività, sulla psiche. Nella loro realtà, la detenzione è una fatalità vicina – come la morte, – che deturpa l’animo di chi resta. Pare assodato che la pena sia inutile o ingiusta. Tra scontri e avvicinamenti drammatici e in una dinamica dai picchi comici irresistibili, lo spettacolo ci dà la misura di quanto, per ognuna delle tre donne, il carcere sia una fatalità vicina, come la morte, che ne deturpa l’anima.

Il Collettivo LunAzione, già semifinalista per il Premio Scenario 2017 con AVE, con Il Colloquio vince il Premio Scenario Periferie 2019, è finalista a In-Box 2021 e ha vinto al Premio Fersen alla regia nel 2021.

durata 60 minuti


 

 

 
 
 

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