L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Una notte all'opera

di Roberta Pedrotti

il galà celebrativo che chiude il primo fine settimana del Macerata Opera Festival 2024 mostra volti oscuri e luminosi, eclissi, pienezza, fasi calanti e crescenti, prestazioni eccellenti e comico involontario. Ma ci spinge anche a cercare, come Astolfo, un senno perduto.

MACERATA, 21 luglio 2024 - Notte di Luna, annuncia il titolo della serata, a sottolineare che per questo sessantesimo festival lirico dello Sferisterio è il nostro satellite a far da filo conduttore: illumina sinistro le esecuzioni dei pretendenti in Turandot, è invocato come divinità portatrice di pace in Norma, è vicino alla soffitta della Bohème. Eccola anche ora proiettata sullo sfondo, mentre la serata si apre non – come d'abitudine in questi casi – con un preludio o con una sinfonia, ma direttamente con la Cavatina di Figaro. Più che la Luna, però, assomiglia alla Morte Nera, poi si apre e per un attimo fa supporre un omaggio ad Armando Testa e al logo del Punt e mes. Ah, no, si apre ancora, una Luna Fabergé che svela la dolcissima effigie di Marilyn Horne. Vedremo scorrere un tributo alle voci storiche passate dallo Sferisterio? Sì e no, perché in effetti qualche puzzle di immagini d'archivio apparirà sull'immensa parete, ma per ora è un gran roteare di Space Balls, anche sulla “Furtiva lagrima”, prima di passare direttamente in clima Monty Pyton, con collage surreali (voilà un soffione che naviga ondeggiando al vento sotto una cupola di vetro per “Verranno a te sull'aure”; voilà il prato che si ribalta verso l'alto quando nel Trovatore “la terra un ciel sembrò”, mentre lo spazio è attraversato da un collage di guanti d'armatura, liuti, verzure e pennini che farebbe impallidire le più strambe pagine web sul fai da te). Alla fine, il gioco diventa capire cosa si saranno inventati, senza nemmeno più riuscire a immaginare una logica: un pazzo carretto di Dulcamara incontra la sagoma del Night King del Trono di Spade in “Vedi le fosche notturne spoglie”, perle saltellano fra rulli di tessuto per il duetto fra Nadir e Zurga, labbra femminili serrate si muovono nelle slot machine per il coro da Madama Butterfly, ritratti rinascimentali si stirano sulle solite sfere o si aprono schiudendo altre rimembranze fantascientifiche (la grottesca Cassandra del Doctor Who, Total Recall). Si attende a questo punto un cubo Borg, ma al suo posto, durante “Vesti la giubba” arrivano dischi volanti vintage, a forma di bugie con candela accesa. Peccato manchi Méliès in questa Note di Luna.

Abbiamo già capito che conviene abbandonare ogni ricerca di un filo logico e perfino l'inconveniente tecnico di una breve pausa per riattivare le luci di alcuni leggii in buca ormai sembra un imprevisto coerente con una serata in stile Fratelli Marx, fra inviti per il pubblico a battere le mani sul Brindisi della Traviata o a chiamare in coro Figaro. Siamo forse finiti nelle pieghe del mutiverso? Intanto sfilano arie, duetti, quartetti, cori. Per l'unico brano strumentale in programma (la méditation di Thaïs, non esattamente opera simbolo dello Sferisterio) si chiama appositamente Giovanni Andrea Zanon e sullo sfondo un Giano bifronte femminile sgancia i due volti e lascia uscire giganteschi violini. Anche il soprano Daria Rybak è a Macerata solo stasera, ma non avremmo sentito la sua mancanza (né quella del suo solfeggio creativo) se avessimo avuto alla ribalta solo i cantanti già presenti in cartellone per le tre opere. Eccellenti sono infatti Marta Torbidoni nel Trovatore e Mariangela Sicilia nella Bohème; confermano impressioni assai buone destate in Turandot e Norma Roberta Mantegna, Carlotta Vichi, Filippo Lodovico Ravizza, Antonio Poli, mentre sempre un po' affaticato risulta Angelo Villari; nella Bohème riscolteremo Daniela Cappiello (qui ottima Amina e Gilda), Valerio Borgioni (atteso Rodolfo in sostituzione di Yusif Eyvazov, impegnato altrove) e Mario Cassi (che vestirà i panni di Marcello). Sul podio c'è Michelangelo Mazza, già splendido violinista e spalla del Regio di Parma, in questi giorni impegnato anche nella Toscana lacustre per dirigere proprio La bohème. In buca c'è la Filarmonica Marchigiana e sul palco sono schierati i membri dei cori affiliati all'Associazione Regionale Cori Marchigiani (non è indicato un unico maestro, e si sente).

Così, fra risate e libere, fin troppo libere associazioni mentali, si potrebbe chiudere la cronaca di una serata che dopotutto nasce per far divertire un pubblico presumibilmente diverso da quello abituale. E se il gestore di un locale, mentre ci rifocilliamo, racconta di essere stato anche lui allo Sferisterio e di essersi divertito, chi siamo noi per giudicare? Ogni occasione può esser buona per far scoccare una scintilla, far scoprire che andare all'opera non è così strano e difficile come taluno pensa, ma che, sì, si può fare. Lasciateci però dire che se – al netto del comico involontario – gli allievi dell'Accademia di Belle Arti di Macerata, con il coordinamento di uno scenografo che nei teatri d'opera ha lavorato eccome qual è Francesco Calcagnini (docente a Urbino), ci propongono questo, allora la commedia può mutare in tragedia. C'è un problema didattico e di linguaggio che non si può trascurare vedendo l'assenza di un filo logico, di una linea stilistica, di un rapporto con il testo che – se c'è – non va oltre la didascalia elementare o un riferimento al titolo senza curarsi del resto. Giustissimo offrire queste occasioni agli studenti, ma il pasticcio che ne deriva deve essere un campanello d'allarme per loro e le istituzioni che li formano, oltre che per tutta una società che evidentemente vede vacillare la consapevolezza di riferimenti culturali (che si possono mettere in discussione e dai quali non si può prescindere). Può sembrare una sciocchezza, ma se studenti di un livello di formazione superiore, con un docente titolato ci trascinano nel comico involontario di un nonsense che sembra non saper che pesci pigliare, è difficile non porsi delle domande. È questo quello che i ragazzi davvero percepiscono dell'opera? Perché? E perché non sono in grado di cercare una coerenza e di comprendere l'oggetto da illustrare?

Parimenti, l'idea di valorizzare un patrimonio di divulgazione e pratica musicale qual è quello della coralità amatoriale e popolare ci pare ottima. Nutriamo tutta la simpatia possibile e riconosciamo i buoni risultati che spesso questi complessi fanno ascoltare nelle opportune occasioni. Tuttavia, l'effetto allo Sferisterio è risultato davvero troppo precario e forse qualche precauzione (meno brani e più preparati con la presenza di un maestro del coro e di elementi professionali) avrebbe giovato a tutti.

Come insegna la Luna, si alternano luci e tenebre, eclissi, fasi calanti e crescenti, monti e crateri, figure su cui indovinare e immaginare disegni. Si ripropone la questione dei grandi galà alla moda, che non ripetono il modello dei vecchi Martini e Rossi, con un paio di grandi interpreti, arie e duetti intervallati da pagine strumentali, né delle eclettiche Accademie ottocentesche, espressione di un mondo ormai lontano. Oggi il rischio è che si affastellino programmi fiume in cui non si cerca una coerenza, un senso, un filo narrativo: la quantità sembra prioritaria, nonostante la presenza anche di artisti di valore e la possibilità di intercettare un pubblico diverso, che può incuriosirsi, mostrare sensibilità e ricettività inaspettate. A maggior ragione per loro, varrebbe la pena di cercare una linea di qualità, un pensiero che alletti, coinvolga, porti a pensare. Le proiezioni, i ledwall, i videomapping sono di gran moda, ma non dovrebbero essere decorazione abbagliante quando potrebbero farsi elemento utile integrato ad un progetto. E forse è proprio di progetti di cui abbiamo bisogno, per chi all'opera già ci va e non ha bisogni di esche e lustrini, ma già cerca la sostanza, per chi all'opera potrebbe incuriosirsi, e la sostanza allora la merita, per i musicisti professionisti e gli amatori, che meritano di essere valorizzati nel loro ruolo e nelle loro capacità, per gli studenti e i docenti che dovrebbero formare e costruire gli orizzonti artistici del futuro.

Notte di Luna, e la Luna è il luogo dove finisce tutto ciò che sulla terra si è smarrito, dove Astolfo recupera il senno di Orlando. Può essere che una note di follia alla Fratelli Marx ci offra degli spunti per recuperare un po' di senno. Non vogliamo offrire il meglio al ristoratore neofita? Non vogliamo dare ai ragazzi delle Accademie gli strumenti per capire ed esprimersi? I volonterosi dilettanti non dovrebbero poter far ciò che riesce loro meglio, valorizzarsi senza sovraesporsi? Non vale forse la pena di far sempre le cose per bene? Le presenze sono state lusinghiere, più che alla prima di Norma, ma gli applausi stentati e fiacchi che partono cauti dopo il “Nessun dorma” finale confermano che anche quel che si prevede l'effetto più sicuro non è sempre garantito e val sempre la pena di cercare anche il lato nascosto della Luna. Pensiamoci, ci riguarda tutti.


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