L’Ape musicale

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IN VIAGGIO VERSO IL VIAGGIO

Curioso come una delle opere più rappresentate di Rossini non sia un’opera, bensì una Cantata Scenica. Una Cantata, ai tempi del genio Pesarese era una composizione d’occasione, atta alla celebrazione di un sovrano, di un principe o di un’altra figura nobile.

Rossini compose questo capolavoro nel 1825, per celebrare l’incoronazione di Carlo X, re di Francia. L’opera andò in scena al Théâtre Italien di Parigi, ed ebbe subito un enorme successo grazie alla vivace e frizzante perizia compositiva, affiancata da un libretto spiritoso e variegato, scritto da Luigi Balochi. Il librettista in questione fu ispirato dal romanzo di Madame de Staël intitolato Corinne ou l’Italie.

Anche la genesi e la storia dell’opera sono ricchi di retroscena che la rendono ancor più speciale.

Infatti, l’opera tornò in voga solamente in epoca moderna (se vogliamo essere proprio precisi il 14 agosto 1984) grazie ad un intenso lavoro di ricerca di frammenti operato da un team di musicologi della Fondazione G. Rossini di Pesaro, capitanata da Janet Johnson, la quale fu coadiuvata a sua volta dal musicologo Philip Gossett. L’opera venne rappresentata nello splendido Auditorium Pedrotti del Conservatorio G. Rossini di Pesaro, diretta dal Maestro Claudio Abbado con la regia di Luca Ronconi e la scenografia di Gae Aulenti.

Essendo un’opera atta a celebrare l’incoronazione di un re, per le rappresentazioni al Théatre Italien, dirette dallo stesso Rossini, fu ingaggiato un cast stellare che comprendeva cantanti di estremo successo, tra cui spiccavano Giuditta Pasta, Ester Mombelli, Marco Bordogni e Domenico Donzelli. Anche in tempi più recenti, per la prima riscoperta andata in scena (di fatto dando definitivo lustro alla Rossini Renaissance) a Pesaro. ci fu un cast stellare (Ricciarelli, Gasdia, Valentini Terragni, Ramey, Nucci, Dara, Raimondi solo per citarne alcuni) dal primo all’ultimo interprete. Operazione, quella della composizione del cast, tutt’altro che semplice. Il perché?

Beh, la risposta sta nella dimensione a dir poco mastodontica di quest’ultimo. Ben 14 solisti con ogni tessitura vocale, dalla più acuta alla più profonda, con linguaggi e stili vocali differenti e disparati: bisognava sempre far colpo su un Re!

A tutti questi solisti non possiamo far mancare un coro di voci miste, abbondantemente presenti in tutta la composizione.

Qualche riga più in alto confermai che nel 1825 fu un grandissimo successo. Vi starete chiedendo dunque, perché questo capolavoro sparì dalla circolazione per quasi 160 anni. La risposta, a mio avviso, è davvero simpatica (sarà stata molto meno simpatica per i musicologi della Fondazione!) e davvero emblematica per quello che riguarda la figura del Cigno Pesarese. Rossini sapeva che il suo ispirato capolavoro era destinato ad essere rappresentato solamente in concomitanza delle celebrazioni regali e dunque, per evitare che quella sua composizione si esaurisse in poco tempo, fu ritirata dalle scene dopo solo due rappresentazioni per non diffonderne troppo le melodie, che data l’incredibile fruibilità e bellezza, già serpeggiavano allegramente fra le strade parigine. Rossini dunque smantellò la sua partitura autografa in vari fascicoli. Alcuni di questi vennero utilizzati per la realizzazione di un altro capolavoro, Le Comte Ory, penultima opera di Gioachino Rossini, composta su libretto di Eugène Scribe e Charles-Gaspard Delestre-Poirson tratto dal vaudeville omonimo (1816) degli stessi autori e andata in scena sempre a Parigi nel 1828. Alcuni frammenti furono usati per altre opere, altri invece furono nascosti e non più riutilizzati fino alla riscoperta.

Una storia davvero affascinante di gran lunga più interessante a ciò che concerne lo scarno svolgimento drammaturgico dell’opera stessa. Dal punto di vista musicale, le variegate possibilità che un cast così ampio offre, vengono tutte sfruttate dal compositore in uno splendido alternarsi di brani di insieme, arie e duetti.

La vicenda si apre presso la Locanda del Giglio d’oro di Plombières, gestita dalla dolce Madama Cortese, dove ospiti provenienti da varie nazioni, desiderosi di recarsi a Reims per assistere all'incoronazione, saranno invece costretti a non partire per mancanza di carrozze. Dopo un momento di stordimento, la Contessa Folleville, offrendo ospitalità alla compagnia, propone di partire il mattino seguente con la diligenza giornaliera per Parigi, dove si stanno allestendo grandi festeggiamenti per il re di ritorno da Reims. Durante la serata di attesa è organizzata una fastosa cena dove gli invitati, provenienti da varie parti d’Europa, intonano Inni nazionali e canzoni della propria terra d’origine. La serata si conclude con delle meravigliose strofe improvvisate da Corinna, poetessa romana, che poi sfociano in un patriottico inno di gloria al diletto e augusto regnator. Durante tutta l’opera la costante amorosa sarà uno dei temi principali. Si susseguiranno amori travagliati, ma con lieto fine come il triangolo amoroso fra il Conte di Libenskof, la Marchesa Melibea e l’esuberante Don Alvaro e amori leggeri e non corrisposti come nel caso del Cavaliere Belfiore e di Corinna. Non mancano amori intellettuali e travagliati come quello manifestato nella splendida aria e scena di Lord Sidney, anch’esso innamorato della poetessa romana Corinna, ma timoroso di rivelarle i sentimenti che scandagliano il profondo del suo cuore. Rossini in questa scena si supera anche dal punto di vista orchestrale, inserendo un grandioso solo di flauto, di difficoltà pari ad un concerto solista, il quale dona ancor più varietà. Altri momenti di rilievo sono certamente l’aria dell’esuberante contessa di Folleville, il sestetto dove vengono presentati gran parte dei personaggi, tra cui gli estrosi Don Profondo (celebre anche la sua aria «Medaglie incomparabili») e Barone di Trombonok. Il momento culmine dell’opera è però il concertato a 14 voci, dove la massa sonora raggiunge sonorità del tutto inusuali e assolutamente straordinarie.

Credo che Il Viaggio a Reims sia una summa di belcanto, tecnica, musicalità e fraseggio, avendo dunque anche un grande scopo didattico oltre che artistico. Non è casuale che la rappresentazione dell’opera sia anche momento culmine della prestigiosa Accademia Rossinana fondata dal grande e amato Maestro Alberto Zedda, del quale ebbi l’onore di essere assistente e che mi scelse personalmente per dirigere la produzione accademica del 2017, edizione dedicata proprio in suo onore dopo la triste scomparsa.

Il Viaggio a Reims ha dunque per me un grandissimo significato anche personale, in quanto ogni volta che i violoncelli intonano quel misterioso e reiterato bicordo di quinta che dà inizio a questo capolavoro, come per magia, riaffiora l’immagine della persona che ha infuso in me in maniera indelebile il germe rossiniano, creando verso questo linguaggio un amore inscindibile e indissolubile.

Michele Spotti


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