L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Indice articoli

Note di regia di Elio De Capitani

Portare in scena all’interno di un unico progetto il Midsummer night’s dream di Benjamin Britten assieme all’originale shakespeariano da cui è tratto è un’avventura molto affascinante sia per noi artisti coinvolti che, ne sono certo, per voi spettatori.

L’essere l’opera di Britten in inglese, per un pubblico italiano può costituire un filtro all’accessibilità di un’opera assai fruibile in lingua originale, lo testimonia la grande attenzione e il grande spasso delle platee quando viene rappresentato nei paesi di lingua inglese. Premettere la visione dello spettacolo shakespeariano nella versione del Teatro dell’Elfo – un grande successo rodatissimo, divenuta l’edizione canonica italiana per eccellenza – permette al pubblico di familiarizzare con i personaggi, la trama avventurosa e con l’incrocio di tre plot (il mondo aristocratico di Atene, quello basso degli artigiani e quello notturno e magico delle divinità nordiche della notte). Permette anche di apprezzare, con l’alternarsi in due sere successive degli spettacoli, quanto alcuni tagli al testo operati da Benjamin Britten e Peter Pears - qui più drammaturghi che librettisti, visto che il libretto è proprio il testo di Shakespeare - possano spostarne la lettura: il “sugo che si spreme dall’opera” (come strafalcionerebbe Bottom) anche se il testo nel suo insieme non si discosta di molto.

Rafforza l’idea già assai intrigante l’aver assegnato la regia dell’opera agli stessi autori dell’edizione in prosa: Carlo Sala ha avuto l’incarico di adattare la sua scena del Sogno in prosa alle ben diverse esigenze della regia d’opera ideata da Bruni-De Capitani. La scena compatibile, pur assai modificata, è anche una esigenza – meritevole – di sostenibilità economica e logistica, viste le rapide alternanze prosa-opera. Da un lato questa esigenza non ha affatto limitato la fantasia di noi artisti, visto che abbiamo potuto andare a rovistare in soffitta, ovvero nei magazzini di ben tre teatri (Teatro Ponchielli, Teatro dell’Elfo e Teatro alla Scala) per dare il massimo fulgore visivo ai due diversi allestimenti, come il Sogno richiede, pur partendo dal celebre impianto del grande arco barocco blu elettrico del Sogno dell’Elfo, illuminato, sia in prosa che in lirica, dalla mano sapiente di Nando Frigerio.

L’aspetto più difficile del progetto nasce dalle due diverse drammaturgie. Britten sopprime il prologo, la scena-cornice ad Atene, lasciando a poche parole in una scena successiva la funzione di spiegazione dell’antefatto e posponendo alcune battute tra il Duca Teseo e la Regina Ippolita alla scena finale. Questa scelta di Britten non tiene in considerazione la possibilità di una lettura, come è ormai abituale nelle regie in prosa, per cui Teseo e Ippolita abbiano in Oberon e in Titania il loro doppio notturno. È una lettura fondata e feconda, ma, come diremo successivamente, non ancora in uso ai tempi in cui Britten scrisse l’opera.

Togliendo spazio a quella che viene spesso definita la lettura psicoanalitica del testo – ma lo è in senso lato, non strettamente freudiano – si perdono i ponti tra i due mondi e ci si deve immergere immediatamente nel mondo del bosco, senza quel prologo nella polis che rende ancora più inquietante lo spaesamento dei ragazzi quando si trovano immersi nella selva selvaggia. Abbiamo rimediato costruendo un intero contenitore della favola - che è esso stesso un doppio onirico del bosco - trasformato da noi in un luogo liminale che corrisponde al bosco della nostra infanzia: la soffitta magica del palazzo, non realistica ma onirica – il luogo dove si aggirano le creature lunari della notte guidate da Oberon e Titania: oltre a Puck, ci sono le fate e gli elfi, ovvero un coro di bambini che ricordano i Bimbi Perduti di Peter Pan (che in fondo è un Robin Good-fellow, alter ego di Puck da cui ha preso nome anche Robin-Hood, a cui Peter Pan ha evidentemente rubato abito e cappello).

Nella prima scena i bimbi-elfi appariranno direttamente in scena, addormentati. Per permettere ai ragazzi e alle ragazze del coro di voci bianche di vivere l’esperienza teatrale con una consapevolezza legata ad una immagine metaforica a loro comprensibile, abbiamo detto di pensare di essersi appena addormentati nelle loro camerette e di essere trasportati in sogno nella soffitta-bosco: quello che ha inizio appena aprono gli occhi è il loro sogno. Del resto Puck dirà agli spettatori che pure loro hanno sognato, alla fine dello spettacolo.

Alcuni accorgimenti ci hanno permesso di rimediare positivamente ad alcune debolezze, se non vere e proprie incongruenze, della drammaturgia di Britten, utilizzando lo stesso espediente di Shakespeare nel finale, in cui le creature del bosco, e il bosco stesso, irrompono ad Atene per dare la benedizione alle tre coppie. Per noi questa intrusione avviene già all’inizio, mescolando i due mondi in quella soffitta mitica dell’umanità nata proprio ad Atene assieme all’invenzione della democrazie: il palcoscenico teatrale.

Se qualcosa si perde, molto altro si guadagna con la musica, la potenza espressiva del canto e la straordinaria capacità evocativa, cromatica, timbrica, ritmica, melodica, dissonante e con gli insinuanti suoni che evocano in orchestra il bosco stesso. Britten usa tutto quel che gli può servire e riesce ad ottenere anche un risultato che travalica Shakespeare: non il solo Demetrio esce dal bosco ancora stravolto dall’incantesimo, ma tutti e quattro i ragazzi ne sono al punto turbati da portarne tracce visibili nella scena che, non solo musicalmente, è tra le più belle dell’opera, quella del risveglio.


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.