L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Marina Bianchi

Salome o il deserto dell’anima. Note di regia

L’opera nasce nel momento storico in cui compare la psicanalisi: L’interpretazione dei sogni di Freud è del 1899, pubblicato nel 1900, il dramma di Oscar Wilde viene rappresentato in prima mondiale nel 1896 mentre Salome di Strauss viene composta tra il 1902 e il 1905, la prima avverrà a Dresda nel 1905.

Salome è una giovane donna, allevata in un ambiente deviato da una madre incestuosa e lussuriosa e un patrigno corrotto dalla cupidigia. In questo universo non ci sono valori morali ma solo diffusa sete di piacere e imperioso soddisfacimento di bisogni ancestrali. Possiamo considerare Salome un vero e proprio tema-mito della fin de siècle, in cui si rispecchia ogni periodo di decadenza.

Salome è una ragazzina lunare, magnetica che – come tutti gli adolescenti – non ha ancora delineato in sé esatti confini di genere; vive un’adolescenza di greve femminilità in un orizzonte esclusivo di sorellanze, dove lo sguardo maschile prorompe con violenza generando un cortocircuito di vendetta.

Salome è il mito femminile, trasgressivo, folle, notturno, magico e inafferrabile. Salome, educata in un ambiente in cui la soddisfazione degli impulsi è assoluta, resta schiava delle proprie passioni. Salome brama Jochanaan nell’unico modo che conosce: la via carnale del desiderio proprio perché Jochanaan è la nemesi di Erode. Jochanaan è l’uomo puro che ha governato le passioni, il mistico, l’asceta al di sopra degli impulsi della carne e del vizio. In una notte di luna profumata della Galilea, non potendo ottenere la soddisfazione del piacere carnale, l’unico che conosce, Salome sfida ogni ragione e chiede la testa del Battista, come fosse una sublimazione erotica, un feroce senso di vendetta per la brama non soddisfatta.

In questo immaginario di erotismo pervasivo, l’opera è affollata di triangoli relazionali: Salome è figlia di Erodiade ma bramata dal patrigno (Erode), triangolo primario fonte di ogni efferatezza; tra Erode ed Erodiade si staglia ancora l’ombra del fratello morto, primo sposo di lei; il Paggio è l’amante di Narraboth, il quale è invaghito di Salome; Jochanaan soffre della dicotomia estrema tra le pulsioni erotiche e l’amore del suo Dio; ancora più profondo è il triangolo Erode-Salome-Jochanaan, motore delle storia.

Immagino Salome accompagnata da un suo doppio, un’amica del cuore, amante e compagna di intimità, interpretata da una danzatrice come un’eco del personaggio principale: una presenza che la precede e l’accompagna continuamente. Insieme a Salome e alla sua “anima” irrompono e partecipano all’azione altre due giovani donne-maschio che ricreano attorno a Salome l’immagine di un mondo di ragazze perverse su uno sfondo saffico.

L’azione si svolge, come indica il libretto, sulla terrazza antistante il palazzo di Erode in una notte di luna. La luna resta elemento fondante del poema sinfonico di Strauss, la luna accompagna la notte in cui tutto si compie.

Con Michele Olcese, scenografo, abbiamo ipotizzato un portico con colonne sormontato da lampadari, piazzato di fronte a una grande parete con delle porte che lasciano immaginare la sala interna in cui si svolge il banchetto di Erode. Sulla sinistra della scena si intravvede il cielo filtrato da una tenda, un elemento di separazione realizzato in un materiale speciale che permette di volta in volta la visione (o l’esclusione) dello spazio retrostante. La cisterna è un volume posto in primo piano sulla scena, accessibile tramite una scala, di materiale ferroso arrugginito.

Insieme a Paolo Mazzon per il disegno luci e Matilde Sambo per le immagini, abbiamo concepito questa notte di incubi e visioni sotto una luna che a poco a poco diventa sangue. Vedremo proiettate le espressioni di Jochanaan durante il suo delirio mistico mentre la voce in interno prorompe e allaga la notte. Sul cielo una grande luna invade completamente lo spazio, simbolo dell’eterno femminino e a tratti appaiono forme magmatiche di materiali infuocati.

Il costume, inventato e stratificato con Giada Masi, in linea generale mantiene alcuni elementi barbarici trasportati in uno stile duro e contemporaneo: i Soldati e le Guardie del corpo di Erode indossano costumi di pelle, corredati da anfibi e accessori che evocano gli anni ’30 del Novecento; gli Ebrei hanno abiti lunghi neri e cappelli come a Gerusalemme o a New York ai giorni nostri; Salome indossa una sottoveste di colore chiaro, lunare ed evanescente; il suo doppio, l’Anima, ha lo stesso costume in una versione più essenziale, quasi non “finita”; le Amiche che vivono con lei questa adolescenza perversa sono androgine e dalla sessualità liquida, in contrapposizione con i veli che lasciano intravvedere il corpo prepotentemente femminile della Principessa; Erodiade ha un abito dal colore più deciso: viola. Erode è rosso senza possibilità di scampo, regale e decadente al tempo stesso. I costumi del Paggio e di Narraboth evidenziano la stretta intimità del primo verso il secondo, entrambi sono soldati. Il corpo di Jochanaan è segnato visibilmente dalle tracce del suo cammino ascetico, esce dalla cisterna vestito con un abito completamente bianco.

La testa: il tema della testa viene ossessivamente anticipato dal volto proiettato di Jochanaan durante gli interventi vocali dalla cisterna. Salome vuole la testa perché innamorata delle parole che il Profeta grida nella sua lingua misteriosa. Le donne amano le parole. La parola nutre l’anima.

Salome, ragazza desiderata da Erode, uomo anziano e senza freni, figlia di sua moglie Erodiade e di suo fratello, primo sposo di lei, ottiene la liberazione dal desiderio innamorandosi delle parole che il profeta Jochanaan le vomita addosso durante il loro strano incontro in una notte di luna. La testa sostituisce il corpo.


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