Splendore per la vista, naufragio per la musica
di Luigi Raso
Nella suggestione incomparabile dell'Odeon Erode Attico di Atene è purtroppo assai claudicante la prova della Philharmonia Orchestra guidata dal direttore principale Santtu-Matias Rouvali con approssimazione e superficialità in Glinka, Stravinskij e Čajkovskij. Salva il salvabile la personalità carismatica della violinista Patricia Kopatchinskaja.
Atene, 18 giugno 2024 - Entrando nell’Odeon di Erode Attico di Atene, sovrastato dall’imponenza storica e culturale della collina calcarea sulla quale si staglia l’Acropoli, la prima musica che rapisce è il frinire delle cicale al crepuscolo. La frescura della sera, e un rigenerante venticello, hanno preso il testimone dal caldo intenso che ha flagellato la capitale ellenica in questa giornata che prelude al solstizio d’estate. Quando la Philharmonia Orchestra di Londra guadagna orchestra e pulpitum del teatro romano (del II sec. d.C.) ai piedi del Partenone si è storditi dalla bellezza del luogo, dai colori del tramonto verso il Pireo, dalla consapevolezza di trovarsi dove la civiltà occidentale nacque.
Il direttore Santtu-Matias Rouvali, che della Philharmonia Orchestra è Principal Conductor dal 2021, è rapido nel dare l’attacco all’ouverture dall’opera Ruslan e Lyudmila (1842) di Mikhail Glinka. Bastano poche battute, purtroppo, per riportare tutti da quel crogiuolo di bellezza iperuranica all’immanenza di un’esecuzione alquanto sciatta, priva di tensione, appesantita da evidenti errori nella gestione dei volumi nell’acustica - di per sé più che decente trattandosi di luogo all’aperto - dell’Erode Attico. I legni e gli ottoni appaiono distanti, per equilibrio e coesione, dal resto dell’orchestra; il passo impresso da Santtu-Matias Rouvali è spedito, ma frettoloso: l’ouverture appare come uno spezzatino di episodi musicali ben poco legati tra loro. La Philharmonia Orchestra appare in buona forma, ma, al netto della tara dell’acustica, priva di colori, slancio e brio e compattezza. Il gesto di Rouvali dà l’impressione di essere poco preciso, alquanto indolente. Una lettura, insomma, quella del direttore finalandese (classe 1985), che genera da subito molte perplessità.
La qualità del concerto migliora con il secondo brano in programma, il Concerto per violino e orchestra in Re maggiore di Igor Stravinskij (composto nel 1931), che vede solista la moldava Patricia Kopatchinskaja. È il temperamento quasi teatrale, la sicurezza tecnica, il bel colore e la musicalità della talentuosa e acclamata violinista a ridestare il Concerto di Stravinskij dal torpore nel quale la concertazione di Santtu-Matias Rouvali l’ha condotto: ancora una volta si notano evidenti difficoltà nell’assemblare le varie sezioni dell’orchestra, nell’imprimere un filo narrativo continuo e riconoscibile all’interno concerto (interrotto dagli applausi tra un movimento e l’altro..). Tuttavia, la personalità debordante e istrionica della Kopatchinskaja e la sua tecnica agguerrita colmano e colorano la lettura superficiale e poco stimolante di Santtu-Matias Rouvali.
Salutata da applausi calorosissimi, Patricia Kopatchinskaja regala un bis, una virtuosistica cadenza sul Concerto di Stravinskij che vede la partecipazione, nel finale, anche del primo violino di spalla della Philharmonia Orchestra.
Data la lettura approssimativa e non esente da una gestione problematica dell’organico da parte di Santtu-Matias Rouvali, le aspettative - molto basse! - sull’esecuzione dellaSinfonia n. 5 in Mi minoredi Pëtr Il'ič Čajkovskij purtroppo non vengono tradite. Quei problemi che si erano manifestati e percepiti nella iniziale ouverture da Ruslan e Lyudmila appaiono elevati a potenza con Čajkovskij: interpretazione priva di tensione, accademica, attenta solo alla gestione - neppur sempre ben centrata - dell’orchestra. Ma della drammaticità che l'autore riversa nel primo e nel quarto movimento non c’è che un vacuo alone; così come solo accennato è il lirismo intenso del secondo movimento, offuscato da un’esposizione del tema principale da parte del primo corno della Philharmonia Orchestra da definire, limitandoci a un eufemismo, infelice. Ma è tutta la sezione degli ottoni a non brillare, apparendo più volte imprecisa e scomposta.
Dell’eleganza e del vagheggiamento della Valse del terzo movimento resta davvero poca cosa, per come è ridotto ad un robotico esercizio metronomico.
È, in definitiva, l’intera Sinfonia di Čajkovskij a risultare, sotto la direzione di Santtu-Matias Rouvali, priva di articolazione, coerenza, prosciugata da tensione, lirismo ed elegia. La Sinfonia - ed è la Quinta di Čajkovskij! - scivola via senza lasciar traccia, scomposta, in una sovrapposizione sonora mal amalgamata tra fiati e archi.
Applausi, tanti applausi tra un movimento e l’altro (e anche all’interno del quarto movimento!) e, ovviamente, trionfo finale.
Il tempo di un bis e si guadagna l’uscita lentamente, molto lentamente per godere fino all’ultimo la abbacinante bellezza Partenone illuminato nella serata ateniese.
Si alza lo sguardo e si ritrova la bellezza.