L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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L'Expo e il fiore del deserto

La medaglia ruota vertiginosamente mostrando le sue due facce; gli opposti si abbracciano e si contengono a vicenda come scatole cinesi. Ci lasciamo alle spalle il disastro delle nostre ferrovie nazionali (e dell'incastro diabolico di società e responsabilità diverse), il dedalo di treni in ritardo o soppressi e di stazioni suburbane senza illuminazione e segnaletica, con l'unico faro nella buona volontà del personale; troviamo una stazione di Rho Fiera perfettamente organizzata per accogliere la folla di visitatori accorsi per l'Expo. Ed ecco la grande vetrina internazionale, splendente, bellissima, che ci fa sorridere d'orgoglio, che ci diverte con la sua aria da luna park di lusso, il suo allegro affollarsi turistico, la bellezza dei padiglioni. Si aguzza lo sguardo e non si può fare a meno di notare il dispiego di forze dei paesi più ricchi e potenti, dei marchi alimentari più noti. Però, basta muovere qualche passo fuori dagli spazi più luccicanti (e costosi) di cardo e decumano, ed ecco apparire il cuore più emozionante dell'Expo, quello dei paesi africani o mediorientali che hanno potuto permettersi solo sale marginali, anche in condivisione, ma le hanno popolate con un calore, un orgoglio, un entusiasmo che commuovono e scaldano il cuore. Mangiando un baklavà palestinese accanto alla troupe televisiva senegalese che riprende i connazionali fra canti, balli e piatti tipici, quasi ci si commuove. Eccola lì la cultura del cibo che unisce e che vediamo nei mille volti, idiomi, costumi incrociati all'Expo, riverberata fino nelle vetrine splendenti dei padiglioni più belli, sfarzosi, architettonicamente sofisticati.

E poi siamo al padiglione omanita, a gustare l'ospitalità araba, la musica e la cucina locali. E l'Opera. All'Expo accogliamo, nel bene e nel male, il mondo intero, e con esso un paese apparentemente lontano per storia e tradizioni che a sua volta ha accolto con straordinaria passione la nostra musica, i nostri teatri, invitati con tutte le loro maestranze a presentare titoli di compositori italiani, con locandine in gran parte italiane. Rendersi conto, ancora una volta (come già a Istanbul), di come il rapporto culturale con il nostro paese sia ritenuto un onore prezioso in tanti paesi suscita sensazioni agrodolci, di commosso e motivato orgoglio, di amarezza per i travagli e le miserie nostrane, che parrebbero dover sparire d'incanto di fronte a tanto entusiasmo esotico.

Assistere, nel cuore delle strutture dell'Expo, alla presentazione della stagione 2015-2016 della Royal Opera House di Muscat è stato più di una semplice conferenza stampa internazionale: uno spaccato netto, lusinghiero e spietato del nostro rapporto con il mondo e delle nostre responsabilità, del nostro potenziale e della fragilità che ci accomunano, in realtà, a un mondo di oggi affascinante e contraddittorio. Ci siamo guardati allo specchio, fianco a fianco uomini e donne dei cinque continenti, rappresentati come meglio non si potrebbe dal cibo, nel bene e nel male, negli scambi e negli egoismi. E in questo specchio abbiamo visto l'Opera fiorire nel deserto a migliaia di chilometri da dove è nata, come un seme felicemente trasportato dal vento, nato da una pianta che abbiamo il dovere di mantenere a lungo in salute e feconda.

La presentazione  Le locandine  I video

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