L’Ape musicale

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Ballet Nice-Méditerranée

Trittico Stevenson, Van Manen, Petit

presentazione di Elisa Guzzo Vaccarino

Inghilterra, Olanda, Francia si incontrano sulla Côte d¹Azur, in un trittico di balletti di alta classe. Il pedigree di lungo corso del britannico Ben Stevenson, dell'olandese Hans Van Manen e del francese Roland Petit, di scena al Teatro Comunale di Bologna con il Ballet Nice-Méditerranée, nato nel 1947 e oggi più che mai vitale, è una certezza di alta qualità e di eleganza, coreografica e teatrale. A garanzia del gran pregio di Tre Preludi di Stevenson, 5 Tangos di Van Manen e L’Arlésienne di Petit, c’è il nome dell’attuale direttore della compagnia, Éric Vu-An, stella dell’Opéra de Paris e anche del cinema e del teatro, che firma qui un programma di autentici classici del balletto moderno.

Vu-An, come è buon uso in Francia, porta con sé ovunque vada l’expertise di étoile della casa madre del balletto transalpino, vale a dire tecnica, estetica, cultura, ampia conoscenza diretta del repertorio, sia di tradizione sia odierno, e dei modi per trasmetterlo a nuovi interpreti.

Scelto da Nureyev, appena diciannovenne, per il ruolo di Basilio in Don Chisciotte e da Maurice Béjart per il sensuale Boléro, il suo fascino scenico global, raffinato e spiccatissimo, gli è valso nel 1990 anche un ruolo-cammeo indimenticabile nel film di Bartolucci, Il tè nel deserto, dal romanzo di Paul Bowles, e la parte di un seducente Antinoo danz-attore nelle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, messo in scena da Maurizio Scaparro.

Dopo aver danzato all’Opéra in grandi titoli di George Balanchine, John Neumeier, Roland Petit e William Forsythe e in un memorabile Après Midi d’un Faune di Vaslav Nijinsky, dal 1955 Vu-An si dedica alla direzione del ballo prima al Grand Théâtre de Bordeaux, poi ad Avignon, poi a Marseille, come maître associato, e infine a Nice dove approda nel 2009, svolgendo un ottimo lavoro di guida sapiente e spaziando nelle sue proposte, sempre accuratamente scelte su misura per la compagnia, da Béjart a Lucinda Childs a Dwight Rhoden, oltre a montare Don Chisciotte e Coppélia, poi anche in Italia.

I tre lavori scelti ora per Bologna offrono tutta la gamma espressiva più amata da ogni pubblico, dai toni romantici di Stevenson a quelli formali del tango moderno stilizzato di Van Manen su Piazzolla agli accenti passionali e tragici di Roland Petit.

Una sbarra da esercizio in sala ballo è l’attrezzo-pretesto per raccontare una storia d’amore intensa e delicata nei Tre preludi del coreografo inglese, già danzatore nel Royal Ballet londinese, sulla musica di Sergej Rachmaninov, che sa far sbocciare le emozioni più intime, di condivisione, di complicità, di affiatamento, di fiducia.

Stevenson (1936), direttore di compagnie di primo piano in patria e negli USA, ha presentato in tutto il mondo questi suoi preludi, creati per l’Harkness Youth Ballet nel 1969, compreso il Teatro alla Scala, con immancabile successo.

Quanto al tango, il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges non amava Astor Piazzolla, detto “el gato” per l’agilità musicale felina, che a suo dire “non era tango”, ma è fuor di dubbio che questa nuova musica del compositore nato a Mar del Plata nel 1921 e morto a Buenos Aires nel 1992, allievo di Nadia Boulanger, cantato da Mina e Milva, ha rilanciato l’amore per il sound tanguero planetariamente.

I 5 Tangos in rosso e nero, come da convenzione, ma originalissimi nel disegno dei passi, disegnati nel 1977 incrociando i mezzi e i codici del balletto classico con il ghiaccio bollente del ballo rioplatense ad opera di Van Manen (1932), coreografo per istinto e per talento, uno dei padri e dei numi del balletto moderno olandese, appartengono proprio all’epoca della riscoperta di un universo di sentimenti, popolare e colto insieme, appunto per merito di Piazzola.

Il terzo maestro riproposto da Éric Vu-An al Comunale è Roland Petit (1924-2011), il coreografo più francese e più eclettico d’oltralpe con L’arlésienne, balletto fortunatissimo del 1974, che prende nome dalla “donna di Arles” in Provenza, mettendo in danza il racconto drammatico di Alphonse Daudet, pubblicato nel 1866, su musica di Georges Bizet del 1872.

Il giovane Frédéric, perdutamente preso dal fantasma di una femme fatale di Arles un tempo amata, nonostante le tenerezze per lui della bella e giovane Vivette, si smarrisce nei meandri di un’ossessione troppo forte per riuscire a dominarla. I colori caldi vangoghiani e il folklore provenzale di sottofondo, non lo rasserenano. Il suo mondo è cupo e Frédéric ne sarà travolto: un’eterna e infallibile storia di amore e morte.

 

 

 

 


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