Introduzione al Dittico
di Gianmaria Aliverta
Un dittico particolare quello che andrà in scena a Novara: il massimo capolavoro di Mascagni, affiancato all’opera più raffinata e amata da Puccini.
L’idea è di farle vivere una nell’altra al fine di creare un’unica storia: lo spettatore verrà accompagnato in un viaggio tra passione, fede, pregiudizio e oppressione dal senso di colpa. Un viaggio alla scoperta della società matriarcale del Sud Italia, guidato da una forte personalità femminile in grado di decidere della vita e della morte di uomini e donne. È la donna infatti che decide chi deve vivere e chi deve essere punito, anche con la morte, specie se oltraggia il suo onore.
Suor Angelica e Cavalleria rusticana diventano quindi un’opera sola che – nello sfondo di una terra intrisa di religiosità cattolica che non di rado sfocia nella superstizione – narra la storia di figli strappati alle madri e poi uccisi (davvero o per finta) e di madri che si piegano al volere di donne più forti. Una storia forte che costringerà a porsi domande anche nei giorni successivi.
Lo spettacolo inizia con la vicenda di Suor Angelica per poi fare un balzo a sette anni prima, con Cavalleria rusticana, dove capiremo quali sono i peccati che Suor Angelica ha commesso e che è costretta a espiare rinchiudendosi in un convento di clausura, così come comprenderemo i motivi che le costeranno la sottrazione del figlio avuto da una relazione extra coniugale.
I personaggi delle due opere viaggiano sullo stesso filo narrativo, diventando i protagonisti della stessa storia. Come la Zia Principessa che scopriremo essere la stessa mamma Lucia, nonché Suor Angelica che nella mia lettura altri non è che la giovane Lola. Stesso parallelismo ho voluto per le scene (di cui parlerà più diffusamente lo scenografo Francesco Bondì): in Cavalleria vediamo frontalmente il sagrato della chiesa e il suo interno, in Suor Angelica la stessa chiesa vista da una prospettiva laterale diventa il convento di clausura.
Come a chiudere un cerchio, Suor Angelica sarà costretta ad espiare i suoi “peccati” nello stesso luogo in cui li ha commessi, proprio lì dove si è lasciata travolgere dalla passione.