L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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L’OPERA IN BREVE
Giuseppe Martini
Il 7 febbraio 1857, dopo un rinvio di un anno a causa di problemi di diritti su un possibile allestimento di Re Lear, Verdi accetta di firmare un nuovo contratto con il Teatro di San Carlo di Napoli per un’opera da mettere in scena a gennaio o febbraio 1858. Il tempo di mettersi alle spalle le esperienze di Simon Boccanegra (giugno 1857) e Aroldo (agosto), e Verdi si trova subito ad affrontare il problema del soggetto per Napoli, che ora non è più Re Lear, scartato per vari motivi, e neppure El tesorero del Rey di António García Gutiérrez o Ruy Blas di Hugo a cui aveva pensato più seriamente, bensì Gustave III di Eugène Scribe, un dramma scritto nel 1833 per Daniel Auber in cui il re di Svezia Gustavo III viene assassinato nel 1792 per mano di una congiura nobiliare guidata da Jacob Ankarström. La musica viene preparata fra ottobre 1857 e gennaio 1858, in parallelo alla complicazione dei rapporti con la censura napoletana che finirà per stravolgere il libretto e snervare Verdi tanto da portarlo a rifiutarsi di mettere in scena l’opera e di rompere il contratto con il teatro. La risposta del San Carlo non si farà attendere, con minacce di adire a vie legali e pesantissime conseguenze per il compositore (50.000 ducati di risarcimento, troppo per i gusti di Verdi). In questo clima le parti riacquistano la ragione e si addiviene a un compromesso con la rescissione del contratto e un’intesa formale per un allestimento di Simon Boccanegra nel novembre 1858, seguito dall’autore.
Libero di disporre del proprio dramma, qualche mese dopo Verdi prende contatti con il Teatro Apollo di Roma diretto da Vincenzo Jacovacci e si accorda per una messinscena a inizio 1859. Anche qui però svariati problemi di censura, rintuzzati dalla mediazione con le autorità papaline da parte dell’amico avvocato Antonio Vasselli (cognato di Donizetti), da cui conseguono alcuni rimaneggiamenti alla musica nell’autunno 1858. Il traguardo però sembra vicino. Dopo l’allestimento del Boccanegra Verdi parte da Napoli il 10 gennaio 1859 per Roma e l’opera va trionfalmente in scena il 17 febbraio con protagonisti il tenore Gaetano Fraschini, il soprano Julienne Dejean e il baritono Leone Giraldoni, con la messinscena curata dallo scrupoloso direttore di scena del Teatro Apollo, Giuseppe Cencetti, su cui Verdi riponeva grande fiducia.
Con Un ballo in maschera si conclude la parabola di quelli che Verdi aveva definito “sedici anni di galera”. E avviene con un’opera che raccoglie tutta quell’esperienza in una formula di riuscita prodigiosa nella quale l’equilibrio tra dramma e sorriso, il distacco ironico, il conflitto tormentoso fra dovere e piacere si risolvono in una continua inventiva musicale e in un tocco leggero eppure coinvolgente che riesce a riscattare il tono dominante, convenzionale e romanzesco, in una chiarezza e sicurezza di forme che Verdi non sarebbe più riuscito a realizzare con tanta fluidità. A questo concorrono anche altri ingredienti: un’attenta ma non opprimente simmetria nel grande (primo e terzo atto) e nel piccolo (terzetto del secondo atto), una nuova indagine sulle passioni, questa volta nella zona dell’amore colpevole e del rimorso, la presenza più incombente che mai della casualità nelle vicende umane, un profumo francesizzante spolverato senza patemi e ben personificato dal paggio, cioè l’unico personaggio, che attraversa intatto gli eventi. Anche la musica si adatta, con fare brillante, limpido, senza ombra di farraginose cabalette, pochi elementi corali, molte scene d’insieme, così da ottenere effetti di gran lunga superiori alla semplicità della sua struttura, fino quasi a far osservare con distacco le dinamiche che sottendono i meccanismi narrativi del teatro d’opera, il che può spiegare il motivo per cui Gabriele D’Annunzio lo ha definito “il più melodrammatico dei melodrammi”.


 

 

 
 
 

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