L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

  • Parigi, Alceste, 07/10/2013

    Alceste alla lavagna

    di Ramón Jacques

  • Brescia, L'elisir d'amore, 13/10/2013

    Riso amaro

    di Roberta Pedrotti

  • Buenos Aires, War Requiem, 01/10/2013

    Requiem per la pace

    di Gustavo Gabriel Otero

  • DVD, Rossini, Ciro in Babilonia

    Kolossal per divi autentici

    di Roberta Pedrotti

  • Brescia, Festa dell'Opera, 21/09/2013

    L'opera in festa

    di Roberta Pedrotti

  • Jesi, L'Arlesiana, 27/09/2013

    Non è la solita storia del pastore

    di Gabriele Cesaretti

  • Santiago del Cile, Il trovatore, 2013

    Passione elettrizzante senza stereotipi

    di Joel Poblete

  • Padova, Lucrezia Borgia, 22/09/2013

    È già Borgia?

    di Francesco Bertini

  • Bergamo, Maria De Rudenz, 20/09/2013

    Maria la sanguinaria

    di Francesco Bertini

  • CD, Piccinni, L'americano

    Piccinni, il buon selvaggio e il riso dei Lumi

    di Roberta Pedrotti

  • Santiago del Cile, Billy Budd, agosto 2013

    La prima volta di Billy Budd

    di Joel Poblete

    In occasione del centenario della nascita di Benjamin Britten, per la prima volta dal debutto del 1951, Billy Budd va in scena in un teatro dell'America Latina. Il grande impegno profuso per l'occasione si traduce in uno dei più grandi eventi teatrali della storia recente del Teatro Municipal di Santiago del Cile.

  • Salisburgo, Don Carlo, 22/08/2013

    Don Carlo rende omaggio a Verdi

    di Luis Gutiérrez

    Cast di divi internazionali, la direzione perfetta di Pappano e la regia di Peter Stein, che riprende con la massima qualità possibile "letteralmente" le disposizioni sceniche verdiane. Così il Festival di Salisburgo rende omaggio a Giuseppe Verdi nel bicentenario dalla nascita.

  • Salisburgo, Così fan tutte, 21/08/2013

    Così fan(bene) tutte

    di Luis Gutiérrez

  • Salisburgo, Die Meistersinger von Nürnberg, 20/08/2013

    Un sogno di Hans Sachs

    di Luis Gutiérrez

    La fantasiosa lettura del capolavoro wagneriano, trasformato in una surreale e fiabesca proiezione onirica dal regista Stefan Herheim, colpisce nel segno e reinterpreta in modo coinvolgente e convincente lo spirito della partitura anche nonostante un corposo taglio nell'inno finale all'arte tedesca. nel cast domina l'Hans Sachs di Michael Volle.

    SALZBURG, 20 agosto 2013 - Confesso che Wagner non è esattamente il mio autore prediletto, ma se dovessi indicare fra quelli che l'autore stesso pomposamente ha definito "Gesamkunstwerke " uno che mi piaccia veramente, questo è proprio Die Meistersinger von Nürnberg. Inserisco un'altra piccola premessa personale ricordando che dopo quello che per me è stato un palese tentativo di omicidio di Die Entführung aus dem Serail avevo promesso a me stesso di non ripetere più il nome dell'autore di quell'allestimento. Fortunatamente posso dire che ho dovuto cambiare idea e ricordare Stefan Herheim, che ha gestito una delle migliori performance cheio abbia mai visto della commedia wagneriana. Il regista presenta l'azione come un sogno di Hans Sachs e i tre atti si svolgono in diverse zone della casa e dello studio del calzolaio. L'opera inizia ancor prima dell'apertura del sipario, quando vediamo Hans sedere alla scrivania e comporre le poesie per i suoi Lieder. Il Maestro chiude un sipario di garza su cui vi è una proiezione di quello che gli abbiamo appena visto creare e subito l'orchestra attacca la formidabile ouverture dell'opera. Il primo atto, che Wagner colloca fra gli ultimi banchi della chiesa di Santa Caterina a Norimberga, si svolge in uno scenario che simula lo scrittoio del poeta in proporzioni gigantesche. La scena riproduce dettagliatamente cassetti e scomparti del mobile dove in cui il Maestro (Sachs, non Wagner) compone la sua musica. Il secondo atto si svolge non nella Norimberga immaginata dal Maestro (Wagner, non Sachs), ma nell'officina di calzolaio Hans, pure ingigantita, che ovviamente rappresenta uno spazio aperto in cui la casa di Pogner è l'armadio Sachs. Il regista sottolinea una tensione erotica tra il calzolaio vedovo e la giovane figlia del ricco orafo, rispettando il contegno di Sachs e lasciando intendere che a Eva costa molto di più pensare di non unirsi al vecchio mentore. La scena non termina nel tumulto che vediamo normalmente, ma in un sogno selvaggio in cui dai libri di fiabe collocati sugli scaffali spunta una moltitudine di personaggi che si uniscono in un'orgia collettiva in cui , ad esempio, Cappuccetto Rosso e il grande lupo cattivo se la spassano, Biancaneve insegue i sette nani, o il Gatto con gli Stivali tenta di sodomizzare un altro animale non meglio identificato. Questa scena non è assolutamente gratuita, bensì solleva lo stesso clamore immaginato dal Maestro (Wagner, non Sachs), immerso nel sogno incontrollato del Maestro (Sachs, non Wagner). Il terzo atto si svolge non alla periferia di Norimberga, ma nel laboratorio, di nuovo amplificando tutti i mobili con attenzione ai dettagli.

    Alla fine della commedia, dopo la chiusura e riapertura del sipario di garza vediamo nelle loro lenzuola sia Sachs sia Beckmesser. Era un sogno solo o due? E se erano due erano complementari? Ciascuno trovi la propria risposta. Indipendentemente dall'interpretazione che ciascuno potrà dare, devo dire che il regista ha sempre rigorosamente rispettato la complessissima partitura di Wagner.

    L'interpretazione di Michael Volle come Hans Sachs è stata magnifica, probabilmente la migliore che abbia mai visto. Georg Zeppenfeld come Pogner e Markus Werba come Beckmesser apparivano più giovani del solito, anche se nel caso del burocrate è giustificato dal suo disperato tentativo di conquistare Eva; le loro performance vocali erano perfette, anche se non particolarmente brillanti. C'è stato chi non ha gradito la prestazione di Roberto Saccà come von Stolzing, ma a mio parere è stata più che corretta e se anche l'italo tedesco non sembrerà un ragazzino dà comunque al Cavaliere un aspetto molto migliore di tanti altri interpreti del ruolo. La sua performance vocale è stata magnifica nel rendere questo Heldentenor wagneriano che per lunghezza e difficoltà musicale può competere solo con Siegfried. Peter Sonn è stato un David esemplare. Invece mi sono parse molto al di sotto delle esigenze delle rispettive parti le donne, soprattutto Anna Gabler come Eva. Il restante gruppo dei maestri cantori è stato molto ben interpretato sia vocalmente sia teatralmente. Daniele Gatti è uno di quei direttori di cui non comprendo il prestigio. Naturalmente dirigere un'opera come questa, con grande orchestra, coro, solisti, un mondo di persone sul palco contemporaneamente, e una durata lunghissima, è molto impegnativo, ma l'impressione era che dipendesse principalmente dai maestri (non cantori) della Filarmonica di Vienna e dai maestri (cantori) del coro della Staatsoper di Vienna, che con la loro esperienza e qualità lo hanno aiutato a portare a compimento le cinque ore e mezzo di durata di quest'opera (e sarebbero state 6 senza il taglio dell'inno all'arte tedesca, che ho trovato appropriato in questo spettacolo). Il "sogno di Sachs" è stato un ottimo modo per godere di questo capolavoro e anche per capire che non è poi così male dimenticare la tavola dove abbiamo contrassegnato gli errori che abbiamo rilevato.

     

    Grosses Festspielhaus. Richard Wagner: Die Meistersinger von Nürnberg. opera in tre atti (21 giugno 1868, Königliches Nationaltheater, Münich) su libretto dell'autore. Stefan Herheim, messa in scena. Heike Scheele, scenografia. Gesine Völlm, costumi. Olaf Freese, luci. Martin Kern, video. Cast: Michael Volle (Hans Sachs), Roberto Saccà (Walther von Stolzing), Anna Gabler (Eva), Peter Sonn (David), Georg Zeppenfeld (Veit Pogner), Monika Bohinec (Magdalene), Markus Werba (Sixtus Beckmesser), Thomas Ebenstein (Kunz Vogelgesang), Guido Jentjens (Konrad Nachtigall), Oliver Zwarg (Fritz Kothner), Benedikt Kobel (Balthasar Zorn), Franz Supper (Ulrich Eisslinger), Thorsten Scharnke (Augustin Moser), Karl Huml (Hermann Ortel), Dirk Aleschus (Hans Schwarz), Roman Astakhov (Hans Foltz), Tobias Kehrer (guardia notturna). Membri del programma giovani cantanti del Festival di Salisburgo YSP (apprendisti). Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor. Wiener Philarmoniker. Direzione musicale: Daniele Gatti. [Coproduzione con l'Opéra National de Paris]

  • Buenos Aires, Le nozze di Figaro, 13/08/2013

    Figaro pigliatutto

    di Gustavo Gabriel Otero

    La personalità travolgente di Erwin Schrott, Figaro, ha inesorabilmente la meglio sulla pallida autorità del conte, ma non è privo d'interesse nemmeno il cast femminile, con Maija Kovalevska, Julia Novikova e Serena Malfi. Delude invece la messa in scena firmata da Davide Livermore e Alfonso Antoniozzi per una nuova produzione delle Nozze di Figaro che segnano una piccola battuta d'arresto nel percorso di rilancio qualitativo del teatro Colon

  • Buenos Aires, Die Frau ohne Schatten, 11/06/2013

    L'ombra del colore

    di Gustavo Gabriel Otero

    Torna dopo 34 anni al Teatro Colon di Buenos Aires Die Frau ohne Schatten di Richard Strauss in un'edizione eccellente sotto il profilo teatrale, vocale e musicale.

  • Città del Messico, Il trovatore, 2013

    Postapocalittici e disintegrati

    di José Noé Mercado

    Per il debutto della sua direzione artistica all'Opera de Bellas Artes di Città del Messico, Ramon Vargas deve rinunciare per motivi di salute a calcare il palcoscenico. Lo sostituisce Walter Fraccaro, mentre sul podio si distingue un altro italiano, Federico Santi. Discutibile, invece la messa in scena ispirata alla fantascienza postapocalittica.

  • Pesaro, La donna del lago, 23/08/2013

    Tanti affetti, in tal momento

    di Roberta Pedrotti

    Come ormai consuetudine da tre anni a questa parte, il Rossini Opera Festival si è chiuso con l'esecuzione un'opera in forma di concerto proiettata su maxischermo anche in Piazza del Popolo. La donna del lago programmata quest'anno è stata però turbata da un malore di Alberto Zedda sul podio. Dopo un'interruzione forzata il maestro, direttore artistico del Rof, ha portato a termine l'opera, in cui ha brillato l'eccellente Rodrigo di Michael Spyres.

  • Rimini, Il palagio d'Atlante, 13-14/08/2013

     Il canto intelligente

    di Francesco Lora

    Nell'ambito della Sagra malatestiana di Rimini la preziosa occasione di ascoltare musiche da Il palagio d'Atlante, lavoro capitale e perfino mitico nella storia della musica, frutto della collaborazione fra due colossi del loro tempo come Luigi Rossi, compositore, e Giulio Rospigliosi, librettista. Eccellente la prova dei solisti diretti da Luca Giardini, ma l'allestimento porge il destro a più d'una perplessità.

  • Pesaro, L'italiana in Algeri, 10/08/2013

    Algeri Psychedelic

    di Roberta Pedrotti

     

    Il XXXIV Rossini Opera Festival si inaugura con una nuova produzione dell'Italiana in Algeri che suscita non poche perplessità. Alla debolezza della protagonista risponderebbe un cast di indubbie potenzialità, ma l'insufficienza della concertazione rischia di affossare tutto, mentre Davide Livermore sovraccarica l'azione liberando senza limiti la sua inventiva registica.

    PESARO (10/08/2013) - Davide Livermore è dotato di una mente vulcanica e genialoide, lo ha dimostrato tante volte. Capita, però, che come realizzi capolavori, così talora si lasci prendere troppo la mano e la sua inventiva, a briglia sciolta, si perda in mille rivoli smarrendo l'efficacia dell'idea portante. Questa potrebbe essere poi anche la più strampalata, giacché non è compito del regista rispecchiare le nostre convinzioni, ma saperci convincere della validità della propria idea, quale essa sia. Non ci scandalizza pensare a un'Italiana in Algeri ambientata in un mondo fumettistico e surreale ispirato agli anni '70, in cui tutto è eccessivo e gli stereotipi si esasperano. Non è un problema se Isabella assomiglia a Barbarella e fa l'eroina sexy d'azione alla maniera di personaggi che fingendo di ammiccare all'emancipazione femminile ne facevano semplicemente un pretesto per solleticare l'immaginario maschile. Non disturba il Lindoro in stile 007, né un Taddeo che somiglia un po' a Peter Sellers un po' a Groucho Marx (anche in versione Dylan Dog). Ci può stare un Mustafà arricchito con i petroldollari e qualche malaffare, re demenziale del cattivo gusto. Ci potrebbero stare perfino le caricature degli attendenti omosessuali, se trattate come si deve (In & Out, con la scena del test di virilità, docet). L'idea dei paradisi artificiali degli anni '70 e di acidi e oppiacei che ispirano i concertati di follia, poi, sarebbe anche gustosa. Ma la follia, oltre che assoluta, deve essere organizzata, non accumulare gag che spesso non trovano sviluppo e consequenzialità, come nel caso della schiava italiana alter ego decisamente meno attraente di Isabella, che appare di tanto in tanto a strappare qualche grassa risata solo per la sua fisicità tozza e sgraziata, senza un costrutto narrativo. Né è colpa di Sax Nicosia, che è un mimo e attore di straordinaria bravura, se proprio non ci fa ridere la macchietta dell'uomo in mutande rosa che si struscia svenevole con ogni maschio di passaggio (ecco la minaccia del palo per Taddeo!). Non è questione di politicamente corretto, ma solo di efficacia e opportunità di una trovata il cui profilo ci sembra un po' basso per il regista che nell'Aci e Galatea di Handel aveva cantato con tatto e poesia l'amore fra due donne distrutto da quello che l'attualità classificherebbe come femminicidio omofobo. Non vogliamo dare certo all'opera buffa un peso morale sproporzionato né incatenare il teatro nelle briglie delle meschinità odierne, ma è lo stesso Livermore che prende questa strada lasciando all'improvviso il mondo del fumetto, della commedia surreale e dell'avventura pura e semplice per riprendere temi già affrontati (con ben altra incisività) nei suoi magnifici Vespri siciliani. Ecco i Pappataci che sguazzano nella spazzatura e ripetono i festini in Lazio alla corte di “Er Batman”, ecco Isabella che canta "Pensa alla patri"a mentre la Tv denuncia l'assenza delloSstato per la cultura, le arti, tutto ciò che sarebbe suo dovere preservare. Giustissimo, condividiamo le posizioni di Livermore, ma così espresse, slegate dalle altre anime dello spettacolo perdono tutta la loro forza, sanno di retorica. E si crea per di più un brutto corto circuito, se Isabella appare come la prima delle olgettine e invita Mustafà a una “cena elegante” in cui si esibisce per lui (già imbottito di viagra come in un cinepanettone) in contorcimenti lesbo - (non troppo) chic con due odalische. Anche gli effetti speciali e il sincronismo fra azioni e proiezioni non è sempre filato liscio alla prima (i movimenti di Lindoro in piscina su tutti), nonostante l'indubbio valore di collaboratori come il costumista Gianluca Falaschi e lo scenografo Nicolas Bovey.

    L'impressione alla fine è di pura saturazione senza un autentico sviluppo: un vero peccato se si pensa ad altre produzioni in cui Livermore aveva saputo concentrare la ricchezza della sua immaginazione in una linea stilistica e drammaturgica meglio definita. Certo, una pesante zavorra per questa Italiana in Algeri è costituita dalla direzione di José Ramón Encinar, assolutamente non all'altezza di figurare nel cartellone del Rossini Opera Festival, né tantomeno di inaugurarlo. Il non giovanissimo maestro (classe 1954) non ha mai frequentato l'opera italiana e la scarsa dimestichezza con il canto e il teatro sono, ahimé, lampanti in un incedere greve e omogeneo, totalmente impermeabile alle esigenze del palcoscenico, ma anche impreciso con l'orchestra, incapace di gestire un crescendo come di risolvere gli sfasamenti davvero troppo frequenti. In queste condizioni è evidente che anche le migliori intenzioni e le potenzialità della quasi totalità del cast vengano penalizzate. Non molto, a dire il vero, si sarebbe potuto ottenere di più da Anna Goryachova, che esibisce belle gambe, indossa il bikini con motivata disinvoltura ma non ha nient'altro da offrire a Isabella con la sua voce che conferma tutti i dubbi suscitati lo scorso anno come Edoardo nella Matilde di Shabran e aggravati dalla tessitura contraltile pensata per Maria Marcolini. Nel registro medio grave, sostanzialmente, la Goryachova in sala si sente poco o nulla, acquistando volume nelle occasionali puntature acute, non sempre ben controllate: non si può dire che tutte le più grandi Isabelle siano state autentici contralti, ma dominavano pur sempre la parte con altra classe, sia tecnica che carismatica. Diverso il discorso per Yijie Shi, che proprio con la tecnica e la musicalità fa sua una scrittura acutissima e, sebbene il passo del direttore lo affatichi un po', disegna un Lindoro assai piacevole anche per il piglio fascinoso ed esotico e ci rende sopportabile l'idea di ascoltare a Pesaro l'aria non rossiniana “Ah come il cor di giubilo” in luogo dell'alternativa d'autore “Concedi amor pietoso” (scelta opinabile perché priva di motivazione ufficiale, forse riconducibile alla ricorrenza del bicentenario della prima assoluta che comprendeva l'aria spuria) con la trovata maliziosa di alterare le consonanti del verbo cantando “trovar l'irata amante” sì da suggerire la sua strategia di riappacificazione. L'idea di scritturare un baritono lirico e brillante come Mario Cassi per Taddeo poteva essere foriera di un'interessante umanizzazione del personaggio, come lasciava intuire l'attenzione posta su frasi come “Questo core pensa adesso come sta” o “Ah Taddeo, quant'era meglio che tu andassi in fondo al mar” ma nel complesso l'occasione non sembra essere stata sfruttata fino in fondo né dal podio né dalla regia. Allo stesso modo, se l'intuizione iniziale intorno a Mustafà poteva svilupparsi in modo intrigante, alla fine abbiamo più che altro visto abusare ancora una volta dell'estrema disponibilità atletica e cinetica di Alex Esposito, che quando non deve correre, far capriole e salti mortali sa essere peraltro un attore di formidabile intensità e, ovviamente, un cantante di ben altra statura di quello, pur convincente nel complesso, ascoltato in quest'occasione. Se poi manca l'attacco di “Fratei carissimi, fra voi son lieto” non è certo colpa sua. Davide Luciano era Haly, efficace nonostante l'ancheggiare caricaturale. Mariangela Sicilia un'Elvira ben caratterizzata, buffa e disinvolta, dagli acuti una volta tanto ampi e saldi; Raffaella Lupinacci pure una Zulma convincente. Qualche contestazione al direttore e molte al team registico sono inevitabili e comprensibili. Il resto del cast, alla prima, ottiene invece unanimi approvazioni, talora festose, distribuite con giustizia e qualche punta di generosità.

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