L'opera in festa
di Roberta Pedrotti
Seconda edizione della Festa dell'Opera promossa dal Teatro Grande di Brescia. Una bella occasione per aprire le porte del teatro e scambiare stimoli e prospettive con la città. Un'occasione da vivere mettendosi in gioco per lasciarsi piacevolmente sorprendere.
[La festa dell'opera ha vinto il premio Siebaneck, leggi il comunicato, ndr 27/03/2014]
BRESCIA, 21 settembre 2013 - La sede naturale dell'opera è il teatro, e se Toscanini affermava che nelle arene all'aperto si può solo giocare a bocce, figuriamoci se mai può darsi per le strade, al mercato, in metropolitana o all'ufficio postale. Certo, figuriamoci: proviamo a immaginarlo, ogni tanto, e scopriremo che uscire di casa effettivamente può far bene, anzi benissimo. È salutare aprire porte e finestre per cambiar l'aria, eliminare la polvere, far respirare gli ambienti, e se con l'occasione si accoglie qualche ospite nuovo e curioso può essere il momento migliore per conoscersi e farsi conoscere meglio, per stringere e cementare nuove amicizie. Non c'è bisogno di scomodare la dialettica hegeliana per capire che è dall'incontro e dal confronto con l'altro, il diverso e l'opposto che nascono i frutti migliori.
Il teatro è la casa dell'opera, ma dare una bella festa “in casa e fuori” è un'ottima idea, proficua per tutti: padroni di casa, amici di vecchia data, conoscenti, ma anche volti nuovi, finora estranei o quasi. Si scambiano le prospettive, ci si conosce a vicenda, si mette il naso al di là del proprio uscio e si esplora l'esterno. Spesso con risultati sorprendenti.
Dopo l'esperimento del primo anno la Festa dell'Opera promossa a Brescia dal Teatro Grande si riconferma con qualche aggiustamento e qualche novità, work in progress che ci auguriamo destinato a un cammino di continua evoluzione imitato anche da altre città con formule variegate nelle diverse realtà (da Torino a Macerata, per fare solo due esempi, le giornate di prove e laboratori aperti, i concerti gratuiti en plein air e le notti bianche della musica hanno già avuto positivissimi riscontri). Ottima e benemerita, nel nostro caso, la scelta di offrire recital ai degenti dei reparti di pediatria e oncologia degli Spedali Civili (in collaborazione con l'Associazione Donatori di Musica), ai detenuti del carcere di Canton Mombello, ai lavoratori con due Concerti in fabbrica. Poi selezioni d'opera, concerti dei cori e delle bande cittadine, degli allievi del conservatorio, eventi programmati e a sorpresa dislocati fra i chiostri, il foro romano e le vie del centro, senza trascurare la periferia con le stazioni della metropolitana inaugurata la scorsa primavera. Nel pomeriggio, mentre nel salone delle scenografie del Teatro Grande si tenevano due recite dello spettacolo per i bambini dedicato a Gianni Schicchi, era prevista anche una caccia al tesoro a tema lirico, mentre fra le opzioni tematiche per la cena era organizzato anche un tipico spiedo bresciano in via San Faustino, l'antico cuore del centro, naturalmente animato “con tante sorprese d'opera”.
L'alternativa che si poneva era quella di seguire il tour organizzato per la stampa oppure di immergerci nella festa, di partecipare magari dall'interno alla caccia al tesoro e conoscere il pubblico vero della festa, appassionati ardenti e tiepidi, i curiosi, i neofiti. Ritirarci fra gli addetti ai lavori, soppesando magari le esecuzioni come se fossimo a una recita come tutte le altre, o vivere la festa per quello che è e deve essere, assecondarne la natura a cuor leggero, senza aguzzare l'orecchio su ogni dettaglio. No, il dubbio non avrebbe avuto ragione d'esistere, tanto più che l'occasione propizia, con una serie di coincidenze che hanno visto defezionare un gruppo di amici melomani, offre l'opportunità a me e al mio compagno di unirci all'entusiasmo di una squadra di giovanissimi. I ragazzi non faranno ottant'anni in quattro e mi fanno sentire un po' vecchia: quando nascevano io andavo già all'opera, mentre a teatro e ai concerti sono ancora abituata a essere guardata come parte del “pubblico giovane”, definizione che mea sponte avrei abbandonato già con la maggiore età. Questo è il mondo reale, non quello delle cerchie melomani (come di ogni altra passione) che si esprimono per citazioni di libretti e allusioni ad artisti, aneddoti, produzioni. Un mondo in cui dire che sono critico musicale, giornalista e musicologa può addirittura fare un certo effetto (gli istanti in cui Davide stenta a darmi del tu e ci perdiamo in un labirinto di seconde e terze persone hanno un ché di surreale, per fortuna presto superato), un mondo in cui quello che è il nostro pane quotidiano suona come un sapere sorprendente. E sì che noi non ci sentiamo maniaci monotematici, e l'opera ci sembra normalmente integrata nella vita di tutti i giorni con le faccende domestiche, il lavoro, i problemi pratici e concreti, la politica, lo sport, i film, i telefilm, i cartoni animati, la letteratura, la buona tavola o una birretta con gli amici. Ma, appunto, è qualcosa che entra nel sangue e permea comunque la nostra esistenza, anche senza diventare un'ossessione.
Le prove, sorvegliate da due giovani maschere che sanno farsi complici senza perdere la rigorosa correttezza del loro ruolo d'accompagnatori, prevedono l'individuazione e il riconoscimento di un oggetto legato a un'opera (la mela di Guglielmo Tell) in un bar, tre enigmi da sciogliere in Castello (e le risposte non sono il Sangue, la Speranza e Turandot, ma Freia, dea della giovinezza nel Ring, Isaura, l'ancella evocata dalla Desdemona di Rossini e tre opere a scelta di Giordano, Andrea Chénier, Fedora e Siberia), un paio di brani eseguiti a cappella da Cecilia, giovane mezzosoprano, nella stazione della metropolitana (la Seguedille e il brindisi dalla Gazza ladra) e, infine, un duetto a scelta fra due membri della squadra. Non si spaventino i melomani più tiepidi o inesperti: almeno un paio di quesiti ci sono sembrati alzati in extremis di livello per equilibrare il vantaggio possibile di un'addetta ai lavori in squadra. Giusto, certo, ma inutil precauzione, giacché i ragazzi sono bravi, la squadra scatta per le vie della città senza fermarsi nemmeno di fronte a qualche tipo poco raccomandabile incrociato sui sentieri del Castello. Evidentemente siamo anche belli, perché un giovane fotografo ci segue e vuole immortalarci più volte in azione. In palio ci sono dei biglietti per L'elisir d'amore in scena in ottobre e mi sembra un dovere aiutarli, non solo per sano spirito competitivo, ma anche perché ditemi voi signori se degli ingressi omaggio avrebbero potuto finir meglio di così, nelle mani di ragazzi entusiasti che a teatro hanno avuto poche occasioni di andare e che hanno ancora moltissimo da esplorare di questo pazzo mondo. Purtroppo non ce la facciamo, un po' perché c'è chi è più veloce di noi nel giungere alla meta, un po' perché quando si deve cantare tutti sono intimiditi e io sono terribilmente stonata, così il nostro “Là ci darem la mano” suona un po' zoppicante. Peccato. Non abbiamo vinto una manciata di biglietti, ma non abbiamo perso: ci siamo divertiti e ci siamo scambiati impressioni e prospettive. Ho conosciuto delle persone interessanti e il loro primo approccio all'opera, loro spero abbiano avuto un'impressione positiva del nostro mondo e magari che si sia accesa qualche curiosità in più. Chiudiamo in bellezza con un buon aperitivo a base di pirlo (per i non bresciani, la bevanda tipica, da non confondersi con il calciatore omonimo né, soprattutto, con lo spritz). Due passi ascoltando Verdi e Wagner al pianoforte, in corso Zanardelli, fra le dita di giovanissimi allievi del Conservatorio, parafrasi operistiche con le bande cittadine, selezione dal Trovatore di fronte alla chiesa del Carmine, con le campane che rintoccano con coincidenza cronometrica al momento del Miserere. Così arriva l'ora di cena: spiedo verdiano di fronte a S. Faustino. La carne con la polenta è quella tipica e gustosa della tradizione bresciana, servita su lunghe allegre tavolate. Verdi arriva con un coro di giovanissime zingarelle venute da lontano, alcune disinvolte, altre più timide, e così comincia una sorta di scanzonato concerto fra i tavoli, alla maniera dei circoli, delle osterie, delle varie “Tampa lirica” d'altri tempi. Simpatico e saporito, con quella punta d'ironia che non guasta quando un mezzosoprano intona “Stride la vampa” servendo vassoi di carne allo spiedo (chi si fiderebbe della cucina di Azucena?). Di fronte a noi siede una coppia di melomani non assidui ci permette di intavolare un'altra piacevole conversazione mentre cala la sera, il teatro è tutto esaurito per il recital verdiano, nel foro romano e nelle vie del centro si canta e si suona ancora fin dopo mezzanotte. Quando vedo passare gruppetti compatti di colleghi, raggruppati per testate non ho dubbi. Meglio percorrere la città seguendo l'istinto, dimenticare le discussioni, i dibattiti, i giochi di potere, incontrare ex compagni di scuola con le mogli musiciste impegnate nei concerti, mettersi in gioco con una compagnia di ragazzi o scambiare due chiacchiere con degli sconosciuti davanti a un buon piatto fumante. Perché la musica è una passione che coinvolge e apre la mente, o almeno dovrebbe essere così, soprattutto se si aprono le porte della sua casa.