L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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La Musica, prima di tutto

 di Roberta Pedrotti

Fa uno strano effetto l'idea di storicizzare un'artista che ci è stata strappata in maniera così repentina, a pochi mesi dalle sue ultime recite, quando ancora l'aspettavamo, tra l'altro, come Elisabetta di Valois nella prossima stagione al Carlo Felice di Genova. Eppure, a ben pensarci, il suo posto nella storia Daniela Dessì se l'era già assicurato da tempo, con un debutto precocissimo che le ha concesso quattro decenni di straordinaria carriera.

In questo arco di tempo ha cantato dall'Incoronazione di Poppea ad Andrea Chénier, da Gilda a Turandot: ha cantato tutto, ma non “di tutto”, la sua musicalità la metteva al riparo da ogni rischio d'eclettismo sconsiderato. Al contrario, qualunque repertorio affrontasse lo faceva sempre con classe, risultando sempre "giusta" ed elegante, anche quando è apparsa al Festival di Sanremo al fianco dell'amico Francesco Renga, anche quando ha prestato un suo vocalizzo per accompagnare il programma olimpico della ginnasta Vanessa Ferrari (la si è potuta ascoltare anche nei Giochi di Rio de Janeiro), anche quando ha onorato l'amicizia con Paolo Limiti tenendo a battesimo La zingara guerriera, “melodramma in due atti” su libretto dello stesso Limiti con musica di Luigi Nicolini.

Era curiosa, generosa, ma prima di tutto una musicista serissima e preparata e questo traspariva in ogni sua interpretazione. Ascoltandola con attenzione, parlando con lei, ripercorrendo le sue prove nei ruoli più diversi è chiaro che il suo essere primadonna autentica riposava, certo, in un carisma innato, ma anche e soprattutto nella forza di una musicalità formidabile, di uno studio scrupolosissimo del testo, in un'attenzione estrema al dosaggio dei propri mezzi.

Non si potrà mai dire che la Dessì non abbia ponderato un debutto, anche quando si è trattato dell'approccio complesso con Turandot, perché l'ampiezza del suo sguardo musicale non è mai confuso con collezionismo onnivoro, né si è tradotto in un percorso lineare a senso unico. Non è, cioè, semplicemente passata dal repertorio lirico leggero a quello drammatico con il procedere dell'età.

Vi sono vocalità – come quelle di Alfredo Kraus o Luciana Serra – che si mantengono fino a fine carriera nel medesimo alveo, altre – come quelle di Anna Netrebko o Mirella Freni – che con il tempo si dirigono verso diversi repertori, altre ancora che nel giro di pochi anni esplorano i campi più disparati. Nel caso di Daniela Dessì ogni esperienza musicale rappresentava un tesoro che andava ad arricchire le altre: il belcanto era il gusto e la disciplina che le hanno permesso di essere una Tosca, una Maddalena e una Minnie di portata storica; viceversa, la frequentazione di Puccini e del Verismo ha conferito nuova energia alla sua Norma, eclatante ritorno, cinquantenne, al Belcanto dei primi anni.

Certo, nel 2008 l'elasticità vocale non era più quella dei vent'anni, ma la capacità di coniugare la pienezza e la morbidezza del suo mezzo vocale con il linguaggio della coloratura è stata la miglior lezione che Fiordiligi, Amira (Ciro in Babilonia) e Matilde (Elisabetta regina d'Inghilterra) potessero impartire a Norma. Da parte loro, Tosca e Maddalena hanno imposto un'attenzione superiore alla teatralità della parola, alla declamazione cantata, tornendo le consonanti come le vocali. Giovandosi nel gusto, nella tecnica, nella forma mentis le une delle altre, hanno fatto sì che la Dessì, con moderna sapienza, rievocasse l'arte tragica delle interpreti storiche e, al suo debutto bolognese, scatenasse un applauso a scena aperta più unico che raro per il monologo del secondo atto “Dormono entrambi”. Questo può essere uno dei traguardi più significativi dell'arte della Dessì, anche se le interpretazioni eccellenti sono state tante e così varie che proporne una selezione potrebbe costringere a imbarazzanti esclusioni.

Potremmo dimenticare il suo Cimarosa o il suo Pergolesi? La sua Fiordiligi e la sua Donna Elvira? Perfino la sua Berta, nel Barbiere, ha lasciato il segno e per chi conosca la rarissima Alina regina di Golconda di Donizetti l'incarnazione che ne offrì la trentenne Dessì non può non imprimersi nella memoria per il controllo vocale, l'autorevolezza dell'accento, la capacità di coniugare leggerezza e dramma di un soggetto semiserio avventuroso quanto balzano.

E potremmo trascurare la sua intelligenza nell'approccio a Verdi? Il carattere fanciullesco e sensuale della sua singolarissima, splendida Gilda, la femminilità della sua Aida, il fraseggio inconfondibile, porto con nobile eleganza e pure così insinuante e malioso? Lo stesso che l'ha resa maestra nel canto di conversazione pucciniano, nell'afflato melodico emozionante e mai melenso, nella declamazione incisiva e mai esteriore del Verismo. Ciascun autore aveva la sua peculiarità stilistica, la sua unicità artistica e, parimenti, l'interprete rimaneva sempre personale, sempre forte delle stesse solide basi di sensibilità, intelligenza, rigore. Anche per questo non abbiamo solo perso una cantante-attrice, abbiamo perso un modello, un'insegnante, un punto di riferimento.


 

 

 
 
 

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