L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Dal Belcanto a Mahagonny

di Roberta Pedrotti

Un appuntamento telefonico con Chris Merritt fa una certa impressione. Il tenore statunitense – che parla un italiano eccellente appena increspato da quelle varianti creative che ispirano subito simpatia – ha un rapporto stretto con il nostro paese, torna spesso, è disponibile e una presenza sempre cordiale anche nei social, ma leggere il suo nome nella rubrica e nella cronologia del telefono resta un brivido per una devota amante del belcanto, perfino dopo anni di frequentazioni musicali.

La voce, brillante e brunita, anche al parlato ci ricorda che quello è Otello, Antenore, Pirro. Eppure, lui, ci racconterà, prima di conoscere Alberto Zedda non sapeva quasi chi fossero.

Ora è a Parma, per cantare tutt'altro, Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonnydi Bertold Brecht e Kurt Weill: è la sua nuova vita, ora che affronta soprattutto (ma non solo) repertorio del XX secolo. L'ultima volta era stato al Regio negli anni '80, per un Elisir d'amore e un recital, e ne serba un bellissimo ricordo. Ora è felice di “poter rivedere questa bellissima città, dove non ero più tornato nemmeno come spettatore” e viene spontaneo domandare se sia riuscito a visitarla un po': “sono stato molto impegnato con le prove, finora, ma ho anche avuto modo di tenere dei master nel Conservatorio Arrigo Boito, così ho potuto frequentare anche un ambiente e luoghi diversi, un'altra faccia della Parma musicale. Poi, naturalmente, si apprezza la buona tavola!”

Vedo che ultimamente si dedica molto all'insegnamento.

Sì, mi capita spesso ed è un grande piacere entrare in contatto con questi giovani, con le loro aspirazioni e speranze sul momento di passaggio fra lo studio e i primi passi nella carriera. Collaboro con diverse istituzioni e associazioni per corsi e master, fra cui un'iniziativa che si chiama proprio Dall'Aria all'audizione, per preparare i cantanti non solo tecnicamente, ma anche in tutto quel che riguarda un'audizione, anche il come ci si pone e ci si presenta. E mi piace seguire i loro percorsi poi... Ho conosciuto, per esempio, il basso Riccardo Fassi in un laboratorio in Spagna in cui si preparava La sonnambula ma si lavorava anche su altre arie. Ora seguo volentieri la sua attività, i suoi meritati traguardi in giro per il mondo.”

E su che repertorio lavora soprattutto? Belcanto o anche altro?

Io vivo da moltissimi anni in Germania e quindi, oltre a Rossini Bellini e Donizetti, capita spesso che i ragazzi mi facciano sentire repertorio tedesco. Mi fa piacere: sono molto contento quando posso variare e lavorare su Sarastro, Papageno, la Regina della notte...”

Chris Merritt, nato a Oklahoma City, quando arriva in Europa si stabilisce subito nei paesi di lingua tedesca. Come, dunque, entra in contatto con quel repertorio rossiniano che lo renderà famoso?

Ho cominciato nel 1978 a Salisburgo nella compagnia stabile del Landestheater come tenore lirico. Cantavo opere come L'italiana in Algeri, ma anche L'elisir d'amore, La bohème, Faust... e poi ancora La cenerentola. Ho iniziato e finito con Rossini il mio triennio per trasferirmi in seguito in Baviera, ad Augsburg. Dalla città di Wolfagang Amadeus Mozart, alla città di Leopold! E di Mozart ho cantato tanto, dalla Finta giardiniera a Idomeneo. Dopo questa esperienza, il mio agente mi organizzò delle audizioni a New York con Eve Queler e altri personaggi, fra cui Alberto Zedda: lui subito pensò che la mia voce avrebbe potuto essere adatta al repertorio rossiniano che stava riscoprendo. Io non avevo la più pallida idea di cosa fosse, per esempio, Zelmira, ma mi accorsi che aveva ragione: mi sentii subito a mio agio in quel repertorio, soprattutto nelle parti scritte per Andrea Nozzari, che richiedono un'ampiezza quasi baritonale nel registro grave e che fino a quel momento si cantavano per lo più omettendo o alzando le note più basse. Lo sviluppo della mia voce andava in quella direzione. In Italia cantai per la prima volta a Pesaro per Maometto II e fu un'esperienza incredibile: stavamo riscoprendo qualcosa di completamente nuovo, c'era un clima elettrizzante e avevamo con noi quella insostituibile Santa Trinità costituita da Alberto Zedda, Bruno Cagli e Philip Gossett.”

Ascoltandovi in quella registrazione ci si sente ancor oggi commossi ed eccitati, si percepisce l'emozione di far rivivere questo capolavoro rimasto nascosto per quasi duecento anni.

Sì, furono anni indimenticabili, Maometto II, Bianca e Falliero, Ermione, Otello...”

Parlare di questi anni è coinvolgente e commovente, perché la dolce nostalgia svela l'entusiasmo sempre vivo per ciò che si è fatto – e si è fatto con una squadra straordinaria – senza nessun ripiegamente autoreferenziale. Anzi, con gratitudine mista a legittimo orgoglio. Si starebbe ore a citare questo quell'allestimento, collega, episodio, non per vanagloria ma per passione comune. Chris Merritt parla soprattutto di quanto sia stato bello fare (e fare insieme) e quasi per nulla di successi e riconoscimenti personali; quando ricordo l'eco eclatante del concerto di Vercelli o lo splendore della Donna del lago parigina del 1986, semplicemente, ringrazia lasciando trasparire un sorriso sincero nella voce. E non si parla solo di Rossini serio, per esempio di Manuel Garcia, che, se non fu estremo nel suo registro grave come Nozzari, era sicuramente un tenore che ha conferito al Conte di Almaviva un'autorevolezza e un corpo anche nelle note gravi e centrali che per molti anni non si erano considerati.

A proposito di Ermione, nell'incisione diretta da Scimone, Chris Merritt è Oreste e ammetto che, per quanto sia un'ottima interpretazione, mi fa sempre uno strano effetto, perché il suo timbro è impresso nella mente associato a Pirro.

In realtà, prima di Pirro cantai proprio Oreste, nell'incisione e in una recita in forma di concerto a Padova. Inizialmente, la mia facilità in acuto mi faceva indirizzare su parti liriche e leggere, comunque con tessiture più alte. Poi, l'incontro con il repertorio di Nozzari si è trovato a corrispondere allo sviluppo naturale della mia voce, che si è potuta esprimere pienamente anche in queste note baritonali.

Si trattava allora di scoprire un territorio del tutto nuovo. Nozzari aveva cantato anche parti di baritono di Mozart, era qualcosa di completamente diverso da come si era abituati a pensare il tenore nel belcanto. Noi in genere immaginiamo il tenore amoroso e il baritono antagonista, invece con Antenore di Zelmira o Rodrigo della Donna del lago abbiamo dei cattivi forti e carismatici. Potevo essere un cattivo: anche questa era una novità per me!”

E senza dimenticare Iago, il suo ultimo debutto rossiniano, a Pesaro nel 2007, purtroppo ostacolato da un problema di salute. Come andò questo ritorno?

Fui io stesso, vedendo che il Rossini Opera Festival stava programmando un Otello, a farmi avanti. Mi piaceva l'idea di tornare a questo repertorio, a quest'opera, a Pesaro, mettendomi alla prova con un altro personaggio, non protagonista ma molto interessante. Guardai la parte e ritenni di potermi cimentare. Nel 1988 con noi lo interpretava Ezio Di Cesare, un collega straordinario, con una voce bella, brillante, e un grande artista che fece un lavoro splendido. Telefonai a Zedda, e mi disse che se io pensavo di poterlo fare, lui mi avrebbe accolto a braccia aperte.”

Come ritrovò Pesaro?

Ovviamente non era più quella di una volta. L'atmosfera dei nostri anni, con Blake, Horne, Ramey, la povera Lucia Valentini Terrani, Zedda, Cagli, Gossett tutti insieme era irripetibile. C'era come un nodo che ci stringeva: un nodo e un nido. C'era un senso di intimità, di vicinanza che anche solo andando fuori città in quel palazzetto non si poteva ricreare...”

Poi le cose, purtroppo, non si misero bene per la sua salute.

Ero in Piazza del popolo, mi stavo avviando alle ultime prove con Gregory Kunde. Misi male un piede sul ciottolato diseguale e sentii un fortissimo dolore senza capire cosa fosse. Gregory poi è dovuto andare, gli ho detto che lo avrei raggiunto con più calma, ma avevo fitte lancinanti. Nemmeno all'ospedale seppero darmi delle spiegazioni, finché il sovrintendente Gianfranco Mariotti, che è medico, non mi guardò e mi disse che la questione era seria, che avrei dovuto partire e farmi curare al più presto. Lasciai a malincuore la produzione, tornai a casa ad Amburgo per consultare degli specialisti e scoprii che le ossa erano come collassate. Ho dovuto stare fermo a lungo senza poter caricare minimamente il piede, poi usare le stampelle.”

Ora come va?

Non è più tornato come prima. Devo fare attenzione. Anche ora in Mahagonny lo spettacolo è abbastanza faticoso perché il palco ha una copertura morbida e questo rende più difficile tenere il peso nell'equilibrio giusto.”

Per il resto, le prove come stanno andando?

Stiamo lavorando bene e penso che sarà un bello spettacolo. Sono felice di poter portare quest'opera a Parma.”

È la prima volta che si rappresenta qui. Però qualche anno fa era andata in scena a Reggio Emilia.

Davvero? Allora sono ancora più felice di farla debuttare in questo teatro meraviglioso, e dato che avremo delle recite anche a Reggio Emilia sono curioso di vedere come andrà lì dove invece non è una novità. Per me, invece, questa è la mia terza produzione di Mahagonny.”

Un'opera splendida e molto attuale...

Ha sempre una grande forza, ma la sua radice è legata strettamente al contesto a cui fa riferimento: la Grande Depressione, i personaggi che popolavano l'America di quel tempo... è un ritratto molto preciso e dettagliato di quel mondo.”

Per un cantante che dal repertorio lirico e mozartiano è passato a Rossini e al Belcanto romantico, cosa significa passare al teatro musicale del XX secolo, a Ligeti, Messiaen, Strauss, Weil?

Le mie origini tecniche vengono dalla scuola belcantistica italiana. La mia insegnante veniva direttamente dalla scuola di Matilde Marchesi. Poi, nel tempo, la mia voce è cambiata, ma non la mia impostazione, che per certi versi è lontanissima da quel che solitamente si associa allo Sprechgesang, dal tipo di vocalità di tanti ruoli novecenteschi. Fu Gérard Mortier a dirmi che, però, avrebbe voluto vedere che effetto avrebbe fatto in questa musica una voce nata nel Belcanto.

D'altra parte, la forza e la complessità che si sono riscoperte nel Rossini serio possono essere messe a frutto anche nell'impegno teatrale di questi titoli. A proposito, ricordo che alla prima di Otello a Pesaro nel 2007 nessuno avrebbe immaginato che usasse il bastone per un problema fisico, tanto era parte dell'azione e della recitazione.

Ne parlai con Giancarlo Del Monaco. Per provare a cantare almeno la prima, dovevo appoggiarmi al bastone, ma cercai di dargli un senso come elemento della scena. Alla fine diventò quasi un personaggio! Credo che Zapata, il tenore che mi subentrò, alla fine l'abbia usato anche lui.”

E poi c'è la prontezza musicale che anche il Belcanto richiede!

Sì, lo studio del pianoforte, la preparazione musicale prima ancora di quella vocale, per me, ha contato moltissimo.”

Tutte queste esperienze, il lavoro che avete fatto per la Belcanto Renaissance pensa che abbia dato frutti? Oggi molti tenori, statunitensi e non solo, stanno seguendo le vostre orme.

Io sono un grandissimo fan di Michael Spyres. E da poco ho cantato con John Osborn nella Juive: io facevo Éléazar e lui Leopold. Sì, ci sono molti artisti davvero bravi e il ruolo del tenore nel Belcanto ha ripreso la sua importanza. Però, posso dire che la congiunzione astrale che si è verificata in quegli anni fu qualcosa di straordinario nella storia, le produzioni che abbiamo fatto con Blake, Ramey, Horne, Caballé, Valentini Terrani... per me restano un firmamento irripetibile.”

E la Trinità che ha citato, che è anche la mia e ci manca tanto... però ogni tempo è unico, anche per le persone. Si va sempre avanti e il passato non può tornare. Prendiamo sempre quel che c'è di buono.

Senza dubbio. Ora sono molto felice di fare ciò che faccio e di tornare in un teatro come quello di Parma, che è proprio un nido dell'opera italiana. È bello che sia così, un posto dove si respira questa tradizione, dove i vostri grandi compositori sono sempre di casa.”

E ora, arrivano anche Brecht e Weill! Che possono far bene anche all'ascolto di Verdi.

Senz'altro, cambiare, scoprire cose nuove, fa sempre bene, anche per godere dei grandi capolavori che già amiamo dopo esserci 'rinfrescati le orecchie' con altro!”

Allora, grazie e in bocca al lupo. Arrivederci al Regio!


 

 

 
 
 

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