L’Ape musicale

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La prima volta di Attila

Cast stellare per Attila in scena da venerdì: sul podio Oren, regia di Daniele Abbado

Debutta nel ruolo Erwin Schrott, uno dei più celebri cantanti lirici del mondo

L’opera da venerdì al Teatro Massimo. Mercoledì l’antegenerale a favore di Biagio Conte

Parte “Bambini all’opera”: nel turno di domenica 21 laboratorio a tema nella Sala degli Stemmi

PALERMO. È un divo la cui fama va ben oltre i confini della lirica. Tra i più celebri cantanti lirici del mondo, il basso-baritono Erwin Schrott debutta nel ruolo di Attila al Teatro Massimo di Palermo nell’opera verdiana in scena da venerdì 19 febbraio (la prima alle 20.30).

Un nuovo allestimento del Teatro Massimo, Attila, in coproduzione con il Teatro Comunale di Bologna e il Teatro La Fenice di Venezia, con la regia di Daniele Abbado e che vede sul podio il grande Daniel Oren. Odabella è Svetla Vassileva; Foresto è Fabio Sartori; Ezio è Simone Piazzola. Scene e luci di Gianni Carluccio, costumi di Gianni Carluccio e Daniela Cernigliaro. Un grande cast per un’opera che manca da Palermo dal 1975 e che fu rappresentata per la prima volta a Venezia il 17 marzo 1846. Mercoledì 17 alle 18.30 l’antegenerale a favore dell’opera di Biagio Conte, il missionario laico che opera a Palermo in aiuto di clochard, migranti, poveri.

Una Venezia, quella della prima rappresentazione, che a quei tempi, sotto il dominio asburgico, è attraversata da fermenti rivoluzionari nell’ambizioso sogno di una patria unita. Attila è un’opera politica, come nello spirito e nella poetica del grande compositore: protagonista il re degli Unni che ha appena devastato Aquileia e che si prepara a saccheggiare Roma. Eppure è anche opera di sottile introspezione psicologica, dove i personaggi si muovono spinti da considerazioni e passioni personali. A partire da Attila. Un personaggio complesso, straniero, barbaro, ma portatore di valori, sospeso tra il desiderio di gloria e l’amore per la schiava Odabella, figlia del sovrano sconfitto, che alla fine dell’opera scapperà dalla cerimonia nuziale e lo ucciderà con la stessa spada che lui le ha donato. Chiusura travagliata, considerata da alcuni drammaturgicamente imperfetta, frutto del passaggio di mano tra Temistocle Solera (storico collaboratore di Verdi, che firma il libretto) e Francesco Maria Piave che rivide il finale privilegiando i singoli a discapito delle grandi scene corali.

A interpretare il re barbaro, ardito ma umano e quindi vulnerabile, per la prima volta nella sua stellata carriera musicale, c’è Erwin Schrott, il grande basso-baritono uruguaiano considerato come uno dei massimi esponenti dei principali ruoli di Mozart (Don Giovanni, Leporello e Figaro) e acclamato nel teatri di tutto il mondo. Una star assoluta, che - con un disco dedicato al tango - ha anche sperimentato territori lontani dalla lirica. Ha trionfato in teatri come il Teatro alla Scala, Metropolitan Opera di New York, l'Opéra di Parigi, la Washington National Opera, la Wiener Staatsoper, il Teatro Colón di Buenos Aires, la Royal Opera House Covent Garden, la Los Angeles Opera e molti altri.

A firmare la regia è Daniele Abbado, figlio del grande direttore d’orchestra Claudio. Consapevole di affrontare una sfida difficile. “Un’opera politica – dice – nella quale assistiamo a un ribaltamento totale delle categorie consuete. Quello che dovrebbe essere lo straniero, il nemico, il barbaro, è invece l’uomo portatore di pensiero raffinato. Parla di popolo, di giustizia, di Dio, di anima. Mentre Ezio è un generale corrotto che fa un tentativo di ammutinamento, Foresto un debole che fa intrighi, Odabella un personaggio molto interessante, che porta dentro di sé il padre assassinato. Gli italiani sono i profughi che hanno perso tutto, che scappano e pensano alla fondazione di una nuova civiltà. Siamo in anni in cui l’Unità d’Italia è ancora tutta da fare. Fatto sta che l’anno successivo alla prima rappresentazione, ben quindici teatri lo mettono in scena, e il pubblico si infiamma di sentimenti patriottici”. Alcuni versi sono chiaramente scritti sotto l’influsso dei componimenti risorgimentali di Manzoni, come la cabaletta di Foresto nel Prologo: “Cara patria, già madre e regina/Di possenti e magnanimi figli/Or macerie deserto e rovina/ Su cui regna silenzio e squallor…

Non a caso, in occasione della prima rappresentazione di Attila a Palermo nel novembre del 1854 (Real Teatro Carolino) la censura borbonica interviene sul libretto censurando il tema politico e ogni riferimento al regicidio finale. L’opera va in scena con il titolo Gli Unni e i Romani, il protagonista non è più Attila, ma il comandante unno Bleda.

Sul podio del Teatro Massimo il direttore israeliano Daniel Oren, che iniziò la sua carriera grazie al grande Leonard Bernstein il quale nel 1968 lo scelse, appena tredicenne, come voce solista nei suoi Chichester's Psalms in occasione dell'inaugurazione della televisione di Israele. Ma in realtà fu la madre a iniziare il giovane Daniel, ancora in tenera età, a una formazione musicale completa con lo studio non solo del pianoforte e violoncello, ma anche di canto, armonia e contrappunto. Ha poi perfezionato i suoi studi in Europa, dedicandosi quasi esclusivamente alla direzione d'orchestra. Nel 1975 ha vinto il prestigioso concorso “Herbert von Karajan” riservato a giovani direttori d'orchestra e punto d’inizio della sua carriera internazionale. La sua partecipazione con Nabucco alla stagione inaugurale della Nuova Opera di Israele nel dicembre 1994 ha rappresentato un momento particolarmente significativo: questo evento musicale è riuscito a far collimare la sua passione per l'universo operistico e l'amore per la sua terra d'origine. Per un musicista come Oren infatti la musica rappresenta il miglior veicolo per la pace e la tolleranza. Oren è direttore artistico del Teatro Verdi di Salerno, dove dirige molti titoli nel corso della stagione operistica. È inoltre ospite regolare a Parigi, al Royal Opera House Covent Garden di Londra così come a Tel Aviv, Verona, Firenze, Madrid, Colonia e Barcellona.

Attila è la seconda opera della stagione lirica 2016 del Teatro Massimo, opera che arriva dopo il trionfale Götterdämmerung diretto da Graham Vick. Come scrive Angela Fodale nel programma di sala, in Wagner “un dramma individuale si svolge su uno sfondo mitico dalle connotazioni potentemente simboliche; in Verdi un dramma individuale si inserisce in un contesto storico, politico e sociale, che non è mai puramente decorativo, ma determina gli avvenimenti e le scelte dei personaggi”.

Con Attila parte “Bambini all’opera”, il nuovo progetto del Teatro Massimo in collaborazione con l’associazione Libero Gioco, dedicato i piccoli da 5 a 10 anni, il primo in Italia strutturato da una Fondazione lirica per l’intera stagione. Nel turno di domenica 21 (ore 17.30), mentre genitori, nonni o zii assistono allo spettacolo in Sala Grande, i bambini vivranno l’opera in una dimensione di gioco, in uno spazio ludico, tranquillo e protetto. La possibilità per le famiglie di vivere insieme il teatro, condividendo la stessa esperienza, partecipando ad attività diversificate ma con registri comuni. Per i bambini un’esperienza estetica e creativa che li guida nella narrazione della trama e nell’ascolto di alcuni brani dell’opera. L’attività si intitola “Il coraggio di Odabella” ed è giocata sul filo di ciò che fa paura, con particolare riferimento al diverso e allo straniero (Attila) e sulla figura di una donna autonoma e coraggiosa (Odabella). Per informazioni e prenotazioni 329. 7260846 – 349. 3612353.

Giovedì 18 alle 18, nella Sala Onu del Teatro Massimo, conferenza di presentazione dell’opera, organizzata dall’associazione Amici del Teatro Massimo, a cura di Anna Tedesco, alla presenza del regista Abbado. Ingresso libero fino a esaurimento posti.


ATTILA

Libretto Temistocle Solera

Musica Giuseppe Verdi

Direttore Daniel Oren

Regia Daniele Abbado

Scene e luci Gianni Carluccio

Costumi Gianni Carluccio / Daniela Cernigliaro

Movimenti scenici Simona Bucci

Regista collaboratore Boris Stetka

Assistente alle scene Sebastiana Di Gesu

Personaggi e interpreti

Attila Erwin Schrott (19, 21, 24, 26) / Pavlo Balakin (20)

Ezio Simone Piazzola (19, 21, 24, 26) / Giuseppe Altomare (20)

Odabella Svetla Vassileva (19, 21, 24, 26) / Daria Masiero (20)

Foresto Fabio Sartori (19, 21, 24, 26) / Gustavo Porta (20)

Uldino Antonello Ceron

Leone Antonio Di Matteo

Orchestra e Coro del Teatro Massimo

Maestro del Coro Piero Monti

Nuovo allestimento del Teatro Massimo

In coproduzione con il Teatro Comunale di Bologna e il Teatro La Fenice di Venezia

19, 20, 21, 24, 26 febbraio


Argomento

PROLOGO

Attila e i suoi guerrieri hanno conquistato e raso al suolo la città di Aquileia (“Urli, rapine”). Tra i prigionieri di guerra ci sono anche alcune donne che hanno combattutto al fianco dei loro uomini, guidate da Odabella (“Allor che i forti corrono”). Attila, colpito dal coraggio della giovane donna, le dona la sua spada: Odabella giura di vendicare la morte del padre e che ucciderà Attila con questa stessa spada. Giunge il generale romano Ezio, per discutere la pace con Attila. Egli propone ad Attila di allearsi con lui per aiutarlo nelle sue conquiste, pur che gli sia concesso il dominio dell’Italia (“Tardo per gli anni, e tremulo”). Ma Attila sdegnato rifiuta la proposta.

All’alba, in una palude dove alcuni eremiti pregano dopo la tempesta, arriva una barca carica di rifugiati provenienti da Aquileia. Tra loro vi è Foresto, che esprime la sua preoccupazione per Odabella (“Ella in poter del barbaro!”). Foresto invita gli altri a fondare una nuova città, la futura Venezia.

ATTO I

In un bosco vicino all’accampamento di Attila, Odabella in lacrime ricorda il padre e Foresto, che crede che sia morto in battaglia (“Oh! Nel fuggente nuvolo”). Ma il giovane arriva, e la accusa di tradimento. (“Sì, quell’io son, ravvisami”). Odabella gli ricorda la storia biblica di Giuditta, che si recò al campo nemico per uccidere Oloferne, e gli espone i suoi piani di vendetta.

Attila dorme nella sua tenda. Improvvisamente si risveglia e racconta al suo schiavo Uldino l’incubo che ha fatto. Ha sognato un vecchio che lo invitava a tornare indietro senza saccheggiare Roma (“Mentre gonfiarsi l’anima”). Attila ordina comunque alle sue truppe di prepararsi a marciare su Roma, quando d’improvviso arriva una processione guidata dal vescovo Leone, che è appunto il vecchio che Attila ha visto nel suo incubo. Quando si rivolge ad Attila con le stesse parole del sogno, il re degli Unni è terrorizzato (“No!… non è sogno ch’or l’alma invade!”).

ATTO II

Nell’accampamento romano. Ezio ricorda la gloria passata di Roma (“Dagl’immortali vertici”). Giungono poi degli schiavi, per invitarlo ad un banchetto nel campo di Attila. Tra gli schiavi si trova Foresto, travestito, che approfitta per chiedere a Ezio di prendere parte al suo piano per avvelenare Attila e distruggere gli Unni. Ma al banchetto, dopo che si è scatenata un’improvvisa tempesta carica di presagi funesti, Odabella rivela che la bevanda di Attila è stata avvelenata. Quando Foresto si fa avanti per confessare la propria responsabilità, Odabella richiede e ottiene da Attila la vita del giovane. Attila, riconoscente, annuncia a tutti che Odabella sarà presto sua moglie (“Oh miei prodi! Un solo giorno”).

ATTO III

Nel bosco, Foresto attende Ezio, e intanto soffre per il tradimento di Odabella (“Che non avrebbe il misero”). All’arrivo di Ezio, i due si accordano per un nuovo tentativo di uccidere Attila. Giunge anche Odabella, che è fuggita dalla cerimonia nuziale: ancora una volta, chiede a Foresto di avere fiducia in lei (“Te sol, te sol quest’anima”). Arriva anche Attila, che insegue la sua sposa: trovandola insieme ai suoi nemici, comprende di essere stato tradito (“Tu rea donna, già schiava, or mia sposa”). Odabella lo uccide con la stessa spada che lui le aveva donato.

 

 


 

 

 
 
 

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