L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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I DUE FOSCARI

IL SOGGETTO

a cura di Claudio Toscani

dal programma di sala del Teatro alla Scala

Atto primo

Una sala del palazzo ducale di Venezia.
A Venezia, nel 1457, si vanno radunando i membri del Consiglio dei Dieci e della Giunta, convocati per una ragione misteriosa (coro d’introduzione «Silenzio, mistero»). Tra loro è Loredano, nemico dei Foscari che considera responsabili dell’assassinio dei suoi congiunti. Viene tratto dal carcere Jacopo Foscari, figlio del doge Francesco: il giovane dev’essere giudicato perché è rientrato illegalmente in patria dall’esilio, al quale era stato condannato a seguito di un’ingiusta accusa d’omicidio. In attesa di essere introdotto alla presenza del Consiglio, dal verone Jacopo contempla Venezia, il cui ricordo è stato il suo unico conforto durante l’esilio (scena e cavatina «Dal più remoto esiglio»). Poi entra nella sala del Consiglio, senza illudersi di trovarvi alcuna clemenza.

Sala nel palazzo Foscari.
Lucrezia Contarini, moglie di Jacopo, vorrebbe recarsi dal doge e chiedergli di intervenire in difesa del figlio. Ma le ancelle la trattengono (coro «Resta... quel pianto accrescere»); a Lucrezia, disperata, non resta che rivolgersi al cielo (cavatina «Tu al cui sguardo onnipossente»). Quando l’amica Pisana le annuncia la sentenza del Consiglio dei Dieci, che conferma la condanna all’esilio per Jacopo, Lucrezia dà sfogo al suo sdegno e inveisce contro il patriziato veneziano.

Sala come alla prima scena.
Uscendo dall’aula del giudizio, i membri del Consiglio commentano l’accaduto: una lettera, scritta segretamente da Jacopo agli Sforza, ha reso inevitabile la condanna; il figlio del doge dovrà tornare in esilio a Creta (coro «Tacque il reo!»).

Stanze private del doge.
Il doge, solo, piange la sorte del figlio e lamenta la sua dura condizione di padre (scena e romanza «O vecchio cor, che batti»). Giunge Lucrezia, che rivendica l’innocenza del marito e inveisce contro i Dieci; ma il doge è costretto a ricordarle la legge e il foglio che accusa Jacopo. Lucrezia non può far altro che invitare il doge a pregare con lei (scena e duetto «Tu pur lo sai, che giudice»).

Atto secondo

Le prigioni di stato.
Nel buio del carcere Jacopo, in delirio, crede di vedere uno spettro porgergli il suo teschio insanguinato. È il conte di Carmagnola, che un tempo il doge suo padre aveva condannato a morte (scena e preghiera «Non maledirmi, o prode»). Jacopo cade a terra; in suo soccorso viene Lucrezia, che si fa riconoscere e gli comunica la sentenza del Consiglio (scena e duetto «No, non morrai; ché i perfidi»).

Mentre in lontananza si sente intonare una barcarola, i due si abbandonano alla speranza di poter condividere, insieme, le pene del futuro. Si unisce loro il doge, che abbraccia entrambi esortandoli ad avere fiducia nella giustizia divina (scena e terzetto «Nel tuo paterno amplesso»). Giunge Loredano, che invita il prigioniero a partire, solo, e gioisce della sventura che si abbatte sull’odiata famiglia (quartetto «Ah! sì, il tempo che mai non s’arresta»).

Sala del Consiglio dei Dieci.
Il Consiglio sollecita la partenza di Jacopo Foscari, accusato di omicidio e di aver tramato contro Venezia (coro «Che più si tarda?»). Entrano il doge, che va a sedere sul trono, e Jacopo fra i custodi. Letta la sentenza del Consiglio, Jacopo chiede vanamente grazia al padre (scena e finale secondo «Ben dicesti... il reo s’avanza»). Nella sala irrompe Lucrezia: fa inginocchiare i propri figli davanti al doge, invoca il suo perdono e la sua pietà, chiede di potersi unire al marito nell’esilio. Ma il Consiglio è inflessibile: Jacopo partirà solo. Affidati i figli al doge, Jacopo s’avvia, mentre Lucrezia sviene tra le braccia delle dame.

Atto terzo

L’antica Piazzetta di San Marco.
Tra la folla in festa giungono Loredano e Barbarigo, mascherati; tutti incitano i gondolieri intonando una barcarola («Tace il vento, è queta l’onda»). Dal palazzo ducale escono due trombettieri, agli squilli dei quali il popolo si allontana intimorito; sul canale passa una galera con il vessillo di S. Marco. Dal palazzo ducale esce Jacopo Foscari, seguito da Lucrezia, e prende commiato da tutti nella massima angoscia (scena e aria «All’infelice veglio»), mentre Loredano esulta vedendo compiersi la sua vendetta.

Stanze private del doge.
Francesco Foscari, solo, ripensa alla morte prematura dei suoi tre figli e al triste destino del quarto. Giunge Barbarigo con un foglio: il vero colpevole dell’assassinio ha confessato. Il doge esulta, poiché l’innocenza del figlio è provata. Ma Lucrezia gli annuncia che Jacopo non ha retto al dolore del distacco ed è morto al momento della partenza (scena e aria «Più non vive!... l’innocente»). Giungono i Dieci e chiedono al doge di ritirarsi dalle cure dello stato, rinunciando al potere. Il doge dapprima reagisce con sdegno, ma poi, accasciato dalle vicende familiari, restituisce l’anello dogale (scena e aria finale «Questa dunque è l’iniqua mercede»). Mentre si avvia, con Lucrezia, sente le campane di S. Marco annunciare l’elezione del nuovo doge: non reggendo all’affronto, Francesco Foscari cade morto a terra.

foto Brescia Amisano


 

 

 
 
 

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