Torna Verdi con i Foscari secondo Mariotti e Hermanis
I due Foscari
Michele Mariotti dirige Plácido Domingo, Luca Salsi, Anna Pirozzi e Francesco Meli in nove recite dal 25 febbraio.
Alvis Hermanis firma il nuovo allestimento ispirato alla pittura veneziana.
Trasmissione su Classica il 25 febbraio dalle 20.30 in Italia e dalle 21.00 in altri 32 Paesi, e su Servus TV dalle 20.15 in Austria, Germania e Svizzera
Le schede su: Michele Mariotti; Alvis Hermanis; Placido Domingo e Luca Salsi; Francesco Meli e Anna Pirozzi
Il quarto titolo della Stagione 2015/2016 è ancora verdiano: I due Foscari, sesta opera di Verdi, sarà in scena per nove recite (due delle quali registrano già il tutto esaurito) dal 25 febbraio al 25 marzo. Sul podio è il Direttore Musicale del Teatro Comunale di Bologna Michele Mariotti; cantano Anna Pirozzi al debutto scaligero, Francesco Meli e Andrea Concetti, mentre nella parte del Doge Francesco Foscari si alternano Plácido Domingo e Luca Salsi. Completano il cast giovani cantanti che hanno frequentato l’Accademia Teatro alla Scala (Edoardo Milletti, Chiara Isotton) o che ne sono tuttora allievi (Azer Rza-Zade, Till Von Orlowsky). La nuova produzione del Teatro alla Scala è firmata per regìa e scene da Alvis Hermanis, mentre i costumi sono di Kristīne Jurjāne.
Dopo l’inaugurazione con Giovanna d’Arco diretta da Riccardo Chailly, il Teatro alla Scala propone un altro titolo di un Verdi giovane ma per nulla minore: I due Foscari andò in scena al Teatro Argentina di Roma nel novembre 1844, precedendo di poco più di due mesi la prima di Giovanna alla Scala, il 15 febbraio 1845. L’interesse per il primo Verdi è stato condiviso in questi mesi da diversi teatri italiani, tra i quali il Comunale di Bologna dove Michele Mariotti ha riscosso un vivo successo personale per la direzione di Attila. Mariotti torna alla Scala per la prima volta dopo il debutto nel 2010 con Il barbiere di Siviglia: nel frattempo ha costruito una brillante carriera internazionale con presenze costanti al Metropolitan di New York (dove ha ripreso La donna del lago nello scorso dicembre) e all’Opéra di Parigi (dove tornerà a maggio con La traviata) oltre a Londra, Chicago, Tokyo e al Festival Rossini di Pesaro.
La folla che ha assediato l’incontro organizzato lo scorso 12 febbraio nel Ridotto dei palchi per il ciclo “Grandi voci alla Scala” testimonia l’affetto e l’ammirazione che circondano alla Scala Plácido Domingo, che dal suo debutto in Ernani nel 1969 ha cantato qui 19 parti in 30 produzioni per un totale di 261 recite: Francesco Foscari sarà quindi la sua 20° parte mentre con la ripresa di Simon Boccanegra arriverà, al termine di questa Stagione, a 32 produzioni e 268 serate. Con lui si alterna Luca Salsi, il baritono parmense che ha già affrontato la parte con Riccardo Muti all’Opera di Roma nel 2013 (con Muti Salsi ha cantato anche Carlo in Ernani e il ruolo del titolo in Nabucco, anche al Festival di Salisburgo). Salsi, ormai affermatosi come baritono verdiano tra i più significativi dell’attuale panorama internazionale, ha avuto un momento di grande visibilità mediatica negli USA lo scorso aprile per aver cantato due opere in un giorno: ha infatti sostituito all’ultimo momento proprio Domingo come Carlo in una pomeridiana di Ernani al Metropolitan, dove era già in cartellone la sera stessa come Enrico in Lucia di Lammermoor.
Lucrezia Contarini è Anna Pirozzi, che dopo essersi distinta come Abigaille con Muti al Festival di Salisburgo nel 2013 si è affermata tra i soprani verdiani più richiesti dai maggiori teatri: Ernani ancora con Muti a Roma, Macbeth con Roberto Abbado a Bologna, Aida a Torino con Noseda, con il quale canterà Leonora ne Il trovatore a Londra nel luglio prossimo.
Jacopo Foscari è Francesco Meli, fresco del grande successo come Carlo VII nella Giovanna d’Arco scaligera diretta da Riccardo Chailly. Meli, che spicca tra i tenori verdiani del nostro tempo per accento, eleganza, consapevolezza stilistica, è un punto di riferimento per le produzioni verdiane in tutto il mondo: è stato Manrico ed Ernani a Salisburgo e nei prossimi mesi sarà Rodolfo in Luisa Miller a Madrid, Gabriele Adorno in Simon Boccanegra alla Staatsoper di Vienna, Manrico ne Il trovatore al Covent Garden.
Alvis Hermanis, che nella scorsa stagione ha ottenuto un consenso entusiastico alla Scala con la regìa di Die Soldaten di Zimmermann, ha spesso dichiarato di non voler replicare la stessa impostazione su opere diverse: “Il mio stile, - precisa - consiste nel non avere uno stile personale costante ma cercare piuttosto un approccio diverso per ogni titolo”. Proveniente dal teatro di prosa, Hermanis è al suo secondo Verdi dopo Il trovatore di Salisburgo, che aveva ambientato in un museo contemporaneo. “Il trovatore - spiega - è una storia fantastica, con un libretto molto problematico. I due Foscari invece si rifà ad avvenimenti storici in termini molto dettagliati, racconta di persone reali. È uno dei pochi libretti della storia dell’opera che si potrebbero mettere in scena senza la musica. Non avrebbe nessun senso ignorare il contesto storico. Anche perché il declino personale del doge Foscari è una metafora del declino di Venezia, che nel XV secolo era il centro del mondo”. Hermanis ha trascorso un lungo periodo di preparazione a Venezia, scegliendo di rifarsi a fonti iconografiche estremamente precise: da Gentile e Giovanni Bellini (“Il miracolo della Croce caduta nel canale di San Lorenzo”, “La predica di San Marco ad Alessandria d’Egitto”) ai cicli delle Storie di Sant’Orsola, San Giorgio e San Trifone del Carpaccio fino al “Cristo morto adorato dai Dogi Pietro Lando e Marcantonio Trevisan” del Tintoretto; ma un ineludibile riferimento sono anche i quadri dedicati ai Foscari da Francesco Hayez. Le tele dipinte nascono da uno studio approfondito delle tecniche sviluppatesi a Venezia nel Seicento per impulso di Giacomo Torelli, mentre i costumi, anch’essi d’epoca, richiamano lo sfarzo orientale delle stoffe di Mariano Fortuny. Il risultato non vuole essere tuttavia un’operazione di filologia ma rivolgersi a un pubblico del XXI secolo cui si chiede di confrontarsi con l’idea di declino. La Venezia dei Foscari, come la vita del Doge, attraversa una fase di passaggio, di perdita di certezze cui corrisponde una messa in scena dalla forte componente onirica e simbolica, in cui i colori sono opacizzati da una patina che rimanda all’effetto di dissolvenza provocato dalla nebbia veneziana e continue proiezioni rendono incerte le linee, come mosse dai riflessi dell’acqua della laguna.
foto Brescia Amisano