L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’adagio della vita

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia mette in cartellone due date di un concerto ben eseguito. Antonio Pappano dirige l’Ouverture da concerto in mi maggiore op. 12 di Karol Szymanowski, la Rapsodia in la minore su un tema di Paganini op. 43 di Sergej Rachmaninov, con Alexei Volodin al pianoforte, e la Sinfonia n. 6 in si minore op. 74 “Patetica” di Pëtr Il’ič Čajkovskij.

ROMA, 9 febbraio 2021 – In un concerto in sole due date, il maestro Antonio Pappano torna alla testa della sua amata orchestra. Il programma è tutto concentrato su autori a cavallo fra XIX e XX secolo: Szymanowski, Rachmaninov e Čajkovskij. Si tratta di un repertorio in cui Pappano eccelle, giacché è maestro della gestione delle grandi masse orchestrale. Lo si vede sùbito nell’Ouverture da concerto di Szymanowski, dove Pappano allarga progressivamente l’orchestra, in una climax grandiosa vero il finale, senza però mancare di sottolineare i passaggi più sensuali del brano, che vanno cercati nelle maglie di una scrittura che procede per blocchi compatti. Il primo tempo prosegue con l’esecuzione della Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov; al pianoforte siede Alexei Volodin. L’intesa fra pianista e direttore è ottima, specialmente considerando la difficoltà della scrittura di queste variazioni, che presentano in sé una sorta di programma narrativo. Voldin mostra un tocco fatato, liscio come l’acqua, molto espressivo, soprattutto nelle variazioni che richiedono volatine e toccate; riesce, poi, a essere più incisivo negli accordi, mantenendo comunque sempre una certa grazia, mai mostrando puro istinto nell’eseguire i passaggi più concitati. Le variazioni, assai amate dal pubblico (tanto è amato il tema di Paganini che le ha ispirate), scorrono in rivoli fantasiosi e variopinti, talvolta ristagnando, talvolta scattando in passaggi di virtuosismo cristallino. L’orchestra crea effetti magnifici e l’agogica è tenuta con polso e maestria da Pappano. La coda brillantissima porta il pubblico a scatenare un applauso sonoro. Volodin è richiamato più volte sul palco assieme al direttore e decide di regalare due bis: l’Improvviso op. 29 di Chopin, che dà modo a Volodin di mostrare la sua abilita nel colorire rapidi passaggi, melodie, e fioriture, e il Preludio op. 23, n. 4 di Rachmaninov – un bis in stretta tematica, dunque, con il programma della serata.

La seconda parte del concerto è interamente occupata dalla Sesta di Čajkovkij. Sinfonia particolarmente amata da Pappano, che l’ha incisa e più volte eseguita in Accademia. La sua lettura della partitura è altamente emozionale, rendendo giustizia al soprannome di “Patetica” che la sinfonia porta con sé. Pappano scontorna i temi portanti della partitura scavando nel suono: un esempio mirabile è il finale dell’Adagio lamentoso, l’ultimo movimento, in cui un impasto, dal colore del catrame, di violoncelli e contrabbassi conduce il suono in una catabasi senza ritorno – uno dei finali più sconcertanti della storia della musica. Chiarissima, per Pappano, è anche l’architettura complessiva della Sesta, che spagina con arte invidiabile. Si pensi al passaggio fra l’Adagio iniziale, ancora paludoso, mesto, e lo sviluppo che conduce al languidissimo tema principale dell’Allegro non troppo, cullato dagli archi. Pappano esalta anche la natura solo apparentemente brillante dei due movimenti centrali, sottolineando in ambedue quell’inquietudine che caratterizza la danza dell’Allegro con grazia (II) e la brillantezza mendelssohniana dell’Allegro molto vivace (III). In particolare, quest’ultimo movimento è così ben diretto nel suo sviluppo ipertrofico e teatrale, che alla fine il pubblico applaude, quasi come fosse finita la sinfonia. E il pubblico si sbaglia: cade nel tranello di Čajkovskij. La vita è solo apparentemente vivace, seppur in maniera scompostamente dionisiaca: a ricordarlo è l’adagio oleoso che termina questo monumento alla civiltà umana.


 

 

 
 
 

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