L’Ape musicale

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È carnevale!

di Fabiana Crepaldi

Con elementi di indubbia qualità, ma anche tinte troppo accese e poca delicatezza, La traviata torna in scena al Metropolitan. Nel cast Nadine Sierra, Luca Salsi e Stephen Costello diretti da Daniele Callegari

New York. 12 novembre 2022. Ogni volta che penso alla Traviata al Metropolitan, mi viene in mente la bella e intelligente produzione di Willy Decker, molto gustosa, con il suo ambiente freddo, bluastro, che contrasta con il divano rosso su cui Violetta vive i suoi amori e i suoi dolori, e, sì, con l'orologio emblematico: enorme, minaccioso, che continua a ricordare alla protagonista che le sue ore sono contate. È stato su questo palco che ho visto, quasi un decennio fa, le brillanti esibizioni di Natalie Dessay, Diana Damrau, Mathew Polenzani, Plácido Domingo, Dmitri Hvorostovsky. Tuttavia, nel dicembre 2018, la produzione di Decker ha lasciato il posto a quella di Michael Mayer; l'intelligenza e il buon gusto hanno lasciato il posto a un tradizionalismo caricaturale e persino grossolano. Importante regista di Broadway, Mayer ha già diretto Rigoletto (quella produzione Met del 2012 che ha trasportato la trama a Las Vegas negli anni '60) e Marnie, nel 2017, all'ENO e al Met. Di questi, l'unico che ho visto dal vivo (per la seconda volta) è stata La traviata. Appena entrata in teatro, la sera del 12 novembre, ho visto sullo schermo davanti al palcoscenico la proiezione di un fiore, una camelia, ovviamente. Si tratta di un riferimento (di dubbio gusto) a La dame aux camélias, di Alexandre Dumas fils, il romanzo su cui si basa l'opera. Durante il preludio, con lo schermo che annebbia ancora un po' la scena, Violetta si alza dal letto, si avvicina a ciascuno dei personaggi presenti nella stanza, ma nessuno di loro la vede: è, infatti, lo spirito che esce e dà il via all'inizio dell'opera, in flashback.
In scena, il letto (al centro), un pianoforte, due tavoli e alcune sedie rimangono per tutta l'opera e assumono funzioni diverse. Il pianoforte, ad esempio, servirà da tavolo da gioco nel secondo atto, a indicare che tutto viene ricordato nella stanza in cui è morta Violetta. Questi elementi erano ben scelti, poiché Alphonsine Plessis, o, come era conosciuta, Marie Duplessis, la donna reale che ispirò Marguerite di Dumas fils e Violetta di Verdi/Piave, era di origine contadina ed estremamente povera, però, una volta a Prigi, come cortigiana, imparò a leggere, scrivere e suonare il pianoforte. Inoltre, ha avuto tra i suoi amanti scrittori e pianisti, come Dumas fils e Franz Liszt. Non è solo l'arredamento della camera da letto che rimane lo stesso per tutta l'opera, ma l'intero impianto. Quello che cambia sono le luci e i costumi. Durante l'intervallo della trasmissione in diretta, avvenuta il 5 novembre, la scenografa Christine Jones e la costumista Susan Hilferty hanno spiegato che l'ambientazione è basata sulle quattro stagioni. Durante il preludio, quando il sipario si apre con Violetta morta, abbiamo l'inverno (freddo, buio); nel primo atto, amore colorato, primaverile, fiorito; nella prima parte del secondo atto, con Violetta e Alfredo nella villa di campagna, l'estate; nella seconda parte, alla festa, l'autunno e un macabro ballo; nel terzo atto, con Violetta indebolita, in punto di morte, ritorna l'inverno con cui l'opera era iniziata. La connessione che si crea, attraverso questo ciclo, tra il preludio e il terzo atto è abbastanza fortunata, poiché questa avviene anche musicalmente. L'idea è migliore del risultato visivo, che fin dall'inizio sembra riecheggiare la frase che Annina dirà nel terzo atto: “è carnevale”! Colori, addobbi eccessivi, luci, qualcosa (neve, petali) che sembra coriandoli che cadono… tutta la scena ci fa sentire come se fossimo nel bel mezzo di una sfilata di carnevale, e di un carnevale brasiliano.

Anche la regia ha portato alcune cose interessanti. Due esempi: nel primo atto, quando Violetta sta per consegnare la camelia ad Alfredo, suona e mentre canta gli offre il fiore e glielo prende. Alla fine della prima scena del secondo atto, dopo aver letto il biglietto di Violetta, appare chiaro che Alfredo dice solo "Padre mio!" poiché vide suo padre, dopo che il vecchio Germont gli ha messo una mano sulla spalla. D'altra parte, che Violetta si mostrasse, in mezzo agli ospiti della festa praticamente statici, a semicerchio all'inizio dell'opera, è stata un'idea infelice e artificiosa.
Come Alfredo Germont, il tenore americano Stephen Costello, con il suo bel timbro, ha interpretato correttamente il ruolo, senza essere emozionante sul palco o musicalmente. È vero che Alfredo è un ruolo ingrato per il tenore, una specie di giovane viziato, che vive sotto il regno delle passioni. È anche vero che, nella settimana tra la trasmissione video in diretta e la performance del 12 novembre, la performance di Costello è cresciuta notevolmente, così come la sua interazione con la Violetta di Nadine Sierra. Tuttavia, gli mancava ancora una certa naturalezza per rendere più convincente la sua interpretazione. Luca Salsi, ottimo baritono italiano, era un raffinato Giorgio Germont, molto nello spirito del personaggio creato da Dumas e poi da Verdi. La sua “Madamigella Valery?” Era fermo, asciutto, senza cedere alla tentazione di essere eccessivamente aggressivo, ma cantando tra i denti “Sì, dell'incauto, che a ruina corre,/ ammaliato da voi”. L'evoluzione che il personaggio subisce durante il dialogo con Violetta è stata chiara. Salsi ha sottolineato questo cambiamento di tono poco dopo aver scoperto che Violetta stava vendendo tutti i suoi averi per mantenere la sua vita con Alfredo. Da lì, il timbro del baritono è diventato più morbido e piani e sfumature hanno cominciato a far parte del suo canto. In Dumas, invece di Giorgio Germont, abbiamo Monsieur Duval, che è un uomo mediocre, privo di forza e coraggio per affrontare la società in cui vive. Dumas lo descrive come giusto, tenero con Marguerite e equilibrato, praticamente chiedendo scusa per lui. Dapprima distante, Duval, dopo aver parlato con Marguerite, si lascia convincere dalla sincerità e dalle buone intenzioni dell'ex cortigiana. Spiega però che, per la società, sarà sempre una cortigiana, il suo passato non sarà mai dimenticato, lei e Armand (o Alfredo) non saranno mai accettati e la situazione diventerà insostenibile. Inoltre, ha una figlia "pura come un angelo", ben diversa, quindi, dalla corrotta Marguerite! - il cui fidanzamento sarà minacciato se suo fratello continua a vivere con una cortigiana. Nell'opera, è in “Pura siccome un angelo” che Germont spiega a Violetta la situazione della figlia. Con un bel piano, Salsi metteva in risalto "le rose dell'amor", che, secondo Germont, spettava a Violetta impedire che si trasformassero in spine. Per Germont, quindi, l'amore puro e vero era quello tra la figlia e il promesso sposo, soggetto a una condizione esterna, e non l'amore incondizionato tra il figlio e la cortigiana. Questo è ciò che la Salsi è riuscita a trasmettere con il suo canto.

Tipica opera da soprano, il successo della Traviata dipende da una buona Violetta e Nadine Sierra ha qualità importanti che la qualificano per il ruolo. Dotata di una voce potente, perfettamente udibile in un teatro delle dimensioni del Met, mai coperta, con peso nei centri e acuti stratosferici, brillante e sicura di sé, si inserisce nei tre atti, nelle tre diverse fasi della vita di Violetta, cosa che non sempre accade, anche con grandi artiste. Inoltre, ha sviluppato un altissimo livello tecnico, è musicalmente consistente e ha un'ottima dizione. Proprio all'inizio, già nel famoso brindisi, Nadine Sierra metteva in mostra il suo bellissimo fraseggio, con ricchezza dinamica e legato, ma alla fine di questo famoso passaggio, la diva ha tenuto troppo un acuto dinendo sopo gi altri... Se si trattasse di un semplice incidente, non varrebbe nemmeno la pena commentarlo. Il problema è che non è successo solo il 12, ma si è visto anche nel video del 5, e si è ripetuto in tutte le altre situazioni sul palco. Non mi sembra ragionevole ipotizzare che si tratti di un problema musicale, di tempo, visto che Sierra ha dimostrato la sua competenza in questo campo. La cosa della diva abbagliata dai suoi stessi acuti... Peccato.
Malata, nel bel mezzo della festa, Violetta non si sente bene e se ne va. È un punto in cui è necessaria una certa dimostrazione di debolezza, di fragilità, cosa che, guidata da Mayer, Sierra non ha potuto fare. Ridendo, girando, è stata una Violetta civettuola e totalmente sana per tutto il primo atto. Musicalmente, tuttavia, non c'è nulla di cui lamentarsi. Nel suo duetto con Alfredo ("Un dì felice, eterea"), non ripeteva la stessa melodia allo stesso modo, era musicalmente ricca, sulla falsariga dell'interpretazione di Mariella Devia, cantante che, come Sierra ha dichiarato durante il pausa nella trasmissione in diretta, è stata la sua ispirazione. Lo stesso accade con la sua grande scena, con cui si conclude il primo atto, dove, per la prima volta, Violetta si sente amata da un giovane che ha a cuore lei, la sua salute, a differenza dei suoi "sponsor". In Dumas, Marguerite dice ad Armand: "Tu mi ami per me e non per te stesso, mentre gli altri mi hanno sempre amato solo per se stessi". In Verdi, in un soliloquio durante il recitativo, Violetta esalta la gioia che non ha mai conosciuto, quella di essere amata, di amare. In questo recitativo c'era molta drammaticità, e la regia mancava di sensibilità (ha fatto gettare rabbiosamente un cuscino a Sierra!), difetto più che compensato nell'andante ("Ah, fors'è lui") e nella cabaletta ("Sempre libera"), che erano magistrali. L'andante, con un legato impressionante, un fraseggio lucido ed elegante, con le sue note sostenute, alcune anche un po' prolungate –quando Violetta dice che forse è l'uomo che la sua anima ha sempre sognato–, contrastava con il gustoso tocco belcantistico della cabaletta, con tuttigli acuti di cui abbiamo diritto e che Verdi non scrisse, compreso il celebre mi bemolle finale, sottolineando una frivolezza quasi isterica, quando l'eroina nega l'amore e dice che vuole sempre essere libera. Dal secondo atto, Sierra ha iniziato a usare uno stile più verista, che ha funzionato bene. Il suo confronto con il Giorgio Germont di Salsi è stato uno dei grandi momenti dell'opera, con una perfetta sincronia tra gli interpreti. L'unica cosa che mancava, sia in Sierra sia nella direzione di Callegari, era una certa delicatezza, una certa sensibilità, nella commovente “Dite alla giovine”. Non è che Sierra la cantasse senza sentimento, il problema era che, con un tempo accelerato, senza suonare piano, senza che questo canto indichi rassegnazione, la sofferenza, quasi una sconfitta, suonava come un valzer indifferente, come se ciò non significasse che stava sacrificando la sua vita. Dopo la partenza di Germont, la Violetta di Sierra è stata pura emozione. Non ricordo di aver mai visto un “Amami, Alfredo” come il suo, non ho mai visto una Violetta salutare l'amante in modo così vero, sofferto. Oltre all'emozione, l'interpretazione, la voce ferma, intonata, con gli acuti penetranti e irresistibili, tutte le sillabe sono state ascoltate e distinte, il che è raro.

In un frammento trascritto nell'immancabile articolo The Violettas of Patti, Muzio and Callas: Style, Interpretation and the Question of Legacy, di Magnus Tessing Schneider, il soprano Luisa Tetrazzini (1871-1941) afferma che, per suggerire l'esaurimento fisico e l'approssimarsi della morte, l'ultimo atto dell'opera richiede l'uso di una voce bianca, senza un supporto sufficiente a dare una qualità vitale al canto. Questo è stato, per me, molto sorprendente nella performance di Nadine Sierra, e il suo "Addio del passato" è stato commovente. Persistendo nella sua verista Traviata, Sierra ha utilizzato, in questo atto, il respiro soffocato ben costruito di un malato terminale affetto da tubercolosi. Questo espediente, tuttavia, funzionava molto meglio in video, se catturato con il microfono, che dal vivo nell'enorme Met. Mentre guardavo, dalla prima galerria, mi chiedevo se senza aver visto il video avrei saputo cosa fosse quel ringhio distante e spettrale. In sintesi, Nadine Sierra è una grande cantante, ha una voce vellutata, con omogeneità e proiezione in tutti i registri, dal grave all'acuto, passando per le colorature, e ha una tecnica solida. Che io concordi o meno con la Violetta che ha creato, non si può negare che abbia costruito un personaggio con totale padronanza musicale, sia stata attenta ai minimi dettagli e la sua interpretazione sia stata molto personale e coerente. Ha caricato il bel canto nel primo atto e il verismo nei due atti successivi. È stata una Violetta agitata, più gioviale e padrona della situazione che fragile, indebolita. Con qualche esagerazione, una certa dose di esibizionismo, a volte sembrava del tutto in linea con la produzione carnevalesca. Mancava un po' di profondità? Sembra, ma era una splendida Violetta, ed era semplicemente impossibile distogliere l'attenzione da lei per un solo minuto. La sensazione di costante fermento è arrivata non solo da Sierra, ma anche dalla buca: è stata una scelta del maestro Daniele Callegari, che ha diretto la Metropolitan Opera Orchestra, il che non vuol dire che non ci siano stati momenti di delicatezza, di sottigliezza, soprattutto nel terzo atto. Inoltre, Callegari si è dimostrato un maestro attento ai cantanti, dando a Sierra e Salsi la necessaria libertà nelle loro arie. Come ha scritto Julian Budden, il preludio è un ritratto musicale dell'eroina, che inizia presentandola nel suo stato fisico più fragile – non a caso, è ripreso nel terzo atto. A queste prime frasi segue la melodia che lo presenta in tutto il suo splendore. Ecco perché è essenziale che l'inizio sia pianississimo (ppp), come indica la partitura, seguito da un crescendo. Tuttavia, non è stato con quel pianissimo molto verdiano che la Met Orchestra e Callegari hanno iniziato l'opera. È vero che il Met è un grande teatro, e che tra il pubblico il suono dell'orchestra è un po' ovattato, ma anche così era perfettamente possibile rispettare l'indicazione della partitura: ho sentito questo pianissimo in altre opere, anche in edizioni passate Traviata. Dunque, fin dal preludio, la fragilità di Violetta era assente. Per concludere, a conti fatti, è stata una serata comunque molto positiva, soprattutto grazie alla brillantezza di Nadine Sierra e alla qualità dell'orchestra del Met.




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