L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La città che visse due volte

di Roberta Pedrotti

Capitale rinascimentale e barocca, distrutta e ricostruita, Dresda intreccia dimensioni tangibili e immateriali e affascina anche nelle sue ombre, quasi una metafora vivente della natura umana e del suo rapporto con la storia.

Dresda, Der fliegende Holländer, 29/08/2024

Dresda, Benvenuto Cellini, 30/08/2024

Dresda, concerto Gatti/Staatskapelle, 31/08/2024

DRESDA, 29 agosto - 1° settembre 2024 - Di Dresda, una incastrata nell'altra, ne esistono almeno tre. Quella storica, ciò che è rimasto di originale della formidabile capitale del Rinascimento e del Barocco tedesco. Qualche colpo di fortuna, qualche azione lungimirante (la chiesa che mura il pulpito storico nel cemento armato in un gesto di aperto dissenso nei confronti del regime nazista e della “guerra totale”, l'armatura da caveau di alcune sale della Volta Verde, le canne d'organo prudenzialmente smontate e custodite altrove...) e qualcosa si è salvato, lo ritroviamo nella sua materia autentica. Poi c'è la ricostruzione, quella che ha recuperato i monumenti distrutti, li ha riassemblati o li ha rifatti sulla base dei progetti originali, come la stessa Semperoper, riaperta nel 1985 e restituita grazie alle migliaia di lettere zeppe di indicazioni che Gottfried Semper (in esilio per ragioni politiche) aveva inviato al figlio Manfred con minuziose indicazioni per i lavori della precedente ricostruzione (1878, dopo l'incendio del 1869). Oppure si ricostruisce anche da zero, edifici in pieno stile DDR o modernissimi, successivi alla caduta del Muro: una Dresda nuova di zecca, o quasi, o una Dresda nuova sul modello antico.

Infine c'è la Dresda fantasma, quella che si è persa magari già prima del bombardamento del 1945 o che ha ceduto poi dopo, ma che, insomma, non c'è più. Resta un albero, là dove c'era il teatro barocco del Principe Elettore, che venne bruciato proprio durante i moti del 1849 cui parteciparono Wagner, Semper e Bakunin. Resta l'indicazione “Là c'era la casa di Hasse e della Faustina”, “Qui c'era la loggia massonica dove si tenevano concerti di musica d'avanguardia ai primi del '900, e lì accanto la casa dove Wagner scrisse Tannhäuser e Lohengrin”, “Qui i resti della Sophienkirche, dove Bach suonò e fece assumere il figlio, ora c'è un centro culturale per il dialogo e l'integrazione”... Nei casi più fortunati, c'è ancora un edificio, che magari ha cambiato funzione, palazzi che diventano alberghi, targhe e ricordi sparsi ovunque: Heinrich Schütz, i coniugi Schumann Wieck, Weber, Berlioz, Chopin, Strauss, Mahler, Rachmaninov. Anche dove non c'è più una pietra a parlare, è come se una città fantasma si sovrapponesse a quella fisica. La musica, immateriale, può esserne la regina, ma ad aleggiare sono anche nomi come quelli di Goethe, Schiller, del Canaletto nipote, di Friedrich, di Kokoschka.

Ma la meraviglia non nasconde l'altra faccia della medaglia. Anche l'orrore si intreccia e convive con le più superbe altezze e se in pochi passi abbiamo sotto gli occhi la mirabolante collezione d'arte dei principi elettori di Sassonia, cosmopolita e concepita per essere accessibile al pubblico, o il complesso moderno e contemporaneo dell'Albertinum, basta girare l'angolo per vedere con la nuova Sinagoga il monumento all'antica, il cippo con la Menorah stilizzata che ricorda l'edificio distrutto durante la Notte dei Cristalli. Basta indicare una villetta dalla forma un po' particolare per sentirsi raccontare che apparteneva a uno scienziato nazista che poi si mise al servizio dei sovietici e mantenne i suoi privilegi nonostante i suoi crimini. E lì poco distante c'era la sede della Stasi. O dietro alla chiesa ortodossa frequentata da Rachmaninov, non troppo lontano dalla Lukaskirche dove incidevano Böhm e Karajan, il casermone in pieno stile DDR dove viveva Vladimir Putin quando era un giovane agente del KGB. Di fronte a cicatrici e ferite aperte l'umana pietà si mescola alla civica pietas, la compassione per le vittime innocenti alla necessità di fermare il male supremo ad ogni costo. Eppure il male esiste ancora. Mentre ci inebriamo dell'arte e della storia luminosa che sorridono in ogni angolo come tanti cittadini colti e cordiali, mentre teatri e chiese, accademie e industrie fanno sventolare parole di umanità e integrazione fra mille colori, ancora si sentono sibilare e poi gridare slogan che gelano il sangue nelle vene. Un monito terribile a quanto errori passati e presenti non abbiano estirpato e, anzi, abbiano perfino nutrito certe recrudescenze. La storia è fatta di cicli e qui li vediamo talmente ravvicinati che è impossibile ignorarli, crogiolarsi in una fragile pace come fossimo in un salotto della repubblica di Weimar a compiacerci della nuova democrazia. Quanto è bella, Dresda è pure sottilmente inquietante, ed è un bene che lo sia: è una città che ha moltissimo da insegnare, moltissimo da offrire alla riflessione.

È vero, qui percepiamo quante cose orribili possa fare l'uomo, non solo nei gesti più eclatanti e tragici, ma anche nel rispettabile anonimato di una villetta in riva al fiume o di un condominio. Però, percepiamo anche quale riscatto e quali meraviglie possa riservare l'umanità. Non solo nei gioielli architettonici, nei capolavori cesellati, sedendo in teatro, passeggiando in una pinacoteca, in una galleria d'arte, nella straordinaria biblioteca, ma anche godendo degli spazi verdi, della convivialità, un pranzo a bordo dei battelli a vapore, un panino con Thüringer Bratwurst e una birra in piazza. Notando piccoli gesti di civiltà e sensibilità: per le bottiglie in vetro e plastica qui si usa il sistema del vuoto a rendere e ogni esercizio rimborsa il reso, ma questo diventa anche un modo per aiutare i bisognosi, consegnando loro la bottiglietta o lasciandola a disposizione in qualche punto strategico dove sia visibile ma non crei disordine. Il sistema funziona, la città è pulita, la raccolta ecologica e solidale.

E c'è musica, moltissima musica. La Frauenkirche, la chiesa luterana ricostruita simbolo della rinascita della città, ha la forma di un teatro all'italiana e permette di ascoltare magnifici interventi all'organo durante un servizio che unisce protestanti e cattolici in testimonianze per la pace e la conciliazione. La cattedrale palatina Heilig-Dreifaltigkeitskirche (cattolica) è opera di Gaetano Chiaveri e avrebbe dovuto ospitare sulla volta un dipinto del Tiepolo; il suo organo Silbermann è stato salvato durante la Guerra e oggi lo si può ascoltare un paio di volte alla settimana in brevi concerti gratuiti. Ecco Buxtehude, Pachelbel e Bach nel loro ambiente naturale, con uno dei migliori strumenti possibili: avvertiamo con tutti i sensi la corrispondenza perfetta fra i colori e le architetture che vediamo e che udiamo. La storia delle arti dovrebbe essere cosa sola, senza le gerarchie della nostra impostazione scolastica. Ma se pensiamo di idealizzare i modelli tedeschi, forse potremmo rivedere le nostre posizioni: parlando con gli operatori culturali emergono tematiche non così distanti da quelle italiane per quanto concerne la divulgazione, il coinvolgimento di un nuovo pubblico, l'avvicinamento al teatro come luogo da vivere e non solo da fruire nel tempo dello spettacolo. Certo, il contesto è profondamente diverso, se non altro perché lo spazio conteso al repertorio cosiddetto classico dipende più dalla concorrenza di un'offerta vastissima che dalla mancanza di formazione. Tuttavia, il confronto potrebbe e dovrebbe essere fruttuoso: magari un'Europa davvero unita ci portasse un'autentica integrazione di politiche culturali, sulla scorta di quell'unione intellettuale, di quella circolazione di idee che già per secolo l'ha pervasa, come vediamo anche qui ad ogni passo.

Intanto, oltre alle istituzioni religiose, alla Semperoper con la Staatskapelle e alla Dresdner Philharmonie, fioriscono anche altre iniziative: in queste serate ancora tiepide il palco all'aperto del Classic Openair Dresden offre concerti sinfonici con complessi giovani e validi (nonché simpatici chioschetti per i salvifici Thüringer Bratwurst di cui sopra), né mancano spazi per altri generi. Magari in qualche caso la competizione c'è, purché sia sana, tesa al miglioramento nella consapevolezza dei propri mezzi. Di fronte a tutta questa offerta le nostre guerricciole fra campanili sembrano piccole piccole. Chissà se vivendo qui la nostra prospettiva sarebbe diversa?

Dresda è bella, si incontrano persone interessanti e simpatiche, si ascolta tanta musica di qualità, si ammirano opere d'arte, ci si immerge nell'ideale perseguito da illuminati principi elettori di una Venezia o di una Firenze sassone. Ma è anche una città che fa pensare, molteplice, forte delle sue ombre e dei suoi spettri oscuri quanto delle sue luci e delle sue memorie. Una città che arricchisce, non solo per le sue bellezze, per gli splendori presenti o i fasti passati, ma anche perché ci mette di fronte all'umanità in tutte le sue sfaccettature e al confine sottile e fra bene e male.

Visitare Dresda è un'esperienza da fare. E da ripetere.


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