L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Luce nella pioggia

di Antonino Trotta

Rudolf Buchbinder conquista il pubblico dell’Unione Musicale in una serata di autorevole pianismo in cui si alternano e si confrontano celebri pagine di Mozart, Beethoven e Schubert.

Torino, 23 ottobre 2024 – Sembra irradiata più dal pianoforte che dai lampadari la luce soffusa che mercoledì 23 ottobre ha avvolto, in un abbraccio rincuorante, la sala del conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. È il bagliore di un pianismo che non acceca ma riscalda, di un pianismo che sa evocare nella musica immagini dai confini sterminati, atmosfere di nostalgica contemplazione, sensazioni di tenera dolcezza; è il dono che Rudolf Buchbinder, focolare sul palcoscenico dell’Unione Musicale, consegna nelle mani del pubblico sabaudo in una serata velata da una romantica pioggia.

Sereno e ispirato, Buchbinder trasforma l’imponente sonata in si bemolle maggiore D. 960 di Schubert, ultimo pezzo del programma, in un altare su cui consacrare le sue qualità di pianista e interprete. Imbrigliare l’anima liederistica di questo capolavoro, che diventa tale solo se eseguito con maestria, non è arte comune. È fondamentale garantire coesione a un discorso ampio, far vibrare una scrittura articolata che raramente cerca rifugio nel gesto tecnico brillante, e far cantare uno strumento che spesso preferisce sussurrare. Buchbinder, già applaudito per il suo fraseggio mite e autorevole nelle dodici variazioni in do maggiore su Ah, vous dirai-je, Maman di Mozart, fa di Schubert un momento di intensa catarsi. Il Molto moderato iniziale ci proietta in un universo metafisico, dove il tempo è regolato dalle sole leggi dello spirito. Le arcate melodiche si susseguono, facendosi eco l’un l’altra, mentre lo strumento si abbandona ad atmosfere oniriche tinte dall’interprete con colori pastello evanescenti. Il fraseggio nobile e ricercato, sostenuto da un legato d’alta scuola, conferisce profondità e lucentezza ad ogni inciso. Vien da sé, l’Andante sostenuto in seconda posizione è capolavoro assoluto d’espressione e di misura, dieci minuti di pausa dalla vita, l’occasione per abbandonare temporaneamente queste scatole che chiamiamo corpo e ascendere a una dimensione di sconvolgente bellezza che Buchbinder dipinge magnificamente sull’avorio. Tonalità più iridescenti caratterizzano invece il terzo (Scherzo. Allegro vivace con delicatezza – Trio) e il quarto movimento (Allegro ma non troppo), in cui il tecnicismo in punta di fioretto e la sapienza nell’equilibratura delle voci – bellissimi i rubati nella riesposizione del giocoso tema dello Scherzo – trascinano la sonata su un piano più giocosamente terrestre: non sarà l’iperuranio dei primi trenta minuti, ma è una validissima alternativa.

Con l’Appassionata, Buchbinder sembra abdicare al ruolo di demiurgo per rispondere a un’urgenza espressiva radicalmente differente. Corrusco e inesorabile, affronta la sonata di Beethoven con uno slancio e un’originalità in netta opposizione alla pacatezza delle pagine schubertiane. L’Allegro assai trova pace solo nelle prime tre note iniziali dell’inquieto tema, che Buchbinder espone con un enigmatico punto di domanda. La risposta è contenuta nel tema stesso: esaurita l’incertezza dell’incipit, avanza inesorabile, aggrappato a un tessuto ritmico che si stringe sempre più man mano che la parabola drammatica avvampa. Pur non richiedendo mai allo strumento più di un forte, il primo movimento si consuma in un clima di magnetica tensione – modellata più con soluzioni agogiche che con variazioni dinamiche – che deflagra nella corale della coda, affrontata con l’impeto infernale di un Dies Irae verdiano. Nubi minacciose insistono anche sull’aurora dell’Andate con moto centrale: fatta eccezione per l’ultima variazione, in cui riaffiora l’apollineo di Mozart e Schubert, il controcanto della sinistra che Buchbinder oppone al disteso tema lascia presagire qui e là la tempesta dietro l’angolo. Rapinoso, travolgente, l’Allegro ma non troppo scende per la tastiera come un fiume impetuoso – il tocco, in Schubert e Mozart adamantino, si fa qui più affogato in una trama sonora densa e piena – che mette in pausa il suo scorrere inesorabile solo per riproporre gli interrogativi del Allegro assai iniziale. La coda, imperiosa, decreta il trionfo.

La sala gremita – non c’è da sorprendersi data la ricchezza della nuova stagione dell’Unione Musicale – tributa calorosi applausi, Buchbinder risponde con due bis: l’ultimo movimento della Tempesta di Beethoven – che condivide il pathos e la carica dell’Appassionata – e Soirée de Vienne op. 56 di Strauss/ Grünfeld che, ammantato da un virtuosismo vistoso e godereccio, apre un ulteriore affaccio sulla classe e sullo stile del pianista austriaco.

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