La scatola dei ricordi
Caldi applausi accolgono La bohème del circuito Opera Lombardia al Teatro Fraschini di Pavia. Nello spettacolo fresco e godibile, curato in scena e in musica da Marialuisa Bafunno e Riccardo Bisatti, s’impone più di una voce: sugli scudi la Mimì di Maria Novella Malfatti, il Marcello di Junhyeok Park, il Colline di Gabriele Valsecchi.
Pavia, 20 ottobre 2024 – Cosa non si trova in una scatola di latta? Ago e filo, spilli o bottoni, forbici e nastro, quasi mai biscotti. Scrigni preziosissimi custoditi nei tabernacoli delle cucine nelle calde case delle nostre nonne, esposti, manco fossero porcellane di Limoges, su tavoli e tubi catodici ingombrantissimi, quelle scatole di caloriche leccornie danesi rappresentano per noi, bambini di ieri, il primo, innocente contatto con le beffe che la vita può sorniona riservare. Eppure, si sfida chiunque a negare il contrario, l’apertura di sì colorati forzieri ci riserva, tuttora, un brivido di trepidazione fanciullesca: inebriati da un profumo che non sa di burro e zucchero, ma di nostalgica dolcezza, si freme sempre nell’attesa di disvelarne il contenuto, qualunque esso sia.
A Pavia, pensate, in una scatola di latta ci troviamo addirittura una Bohème, l’opera che celebra la gioventù nel momento in cui sfiorisce, ricordandola con occhio umido e cuore palpitante. Il cofanetto appartiene a un Rodolfo (Domenico Nuovo), ormai anziano, che vi ha serbato i cimeli della bell’età di inganni ed utopie: una candela, una foto, una cuffietta rosa. Reliquie di un passato mai caduto in prescrizione, spine ancora conficcate in ferite mai rimarginate, innescano la macchina della mente e rievocano sul palcoscenico, in un flashback che sa più di sogno o allucinazione – in cui il poeta di oggi ha corporea consistenza –, le immagini più segnanti della propria giovinezza. Nello spettacolo firmato da Marialuisa Bafunno – regista e creatrice, insieme Eleonora Peronetti (scene), Emanuele Rosa (coreografia) e Gianni Bertoli (luci) del nuovo allestimento in giro nel circuito di Opera Lombardia –, dunque, la Bohème è un lungo viaggio nei ricordi e nei rimorsi – più volte, invano, il protagonista prova a dissuadere la sua proiezione nel passato –, un’illusione nitida che ben sposa l’assenza di unità temporale della vicenda, un racconto emozionato e teso che, nel cogliere il nocciolo dell’opera, riesce far breccia nel petto di chi vi assiste. Certo, essendo la squadra creativa alle prime esperienze – la regia è stata assegnata per concorso a giovani che giovani lo fossero anche all’anagrafe –, la messinscena può soffrire qui e là di eccessiva verbosità o ridondanza, con ingranaggi scenici non sempre perfettamente oliati – anche i cantanti, qui, sono alle prime prove e la disinvoltura sul palco si conquista negli anni –, con soluzioni che non convincono ovunque appieno – il finale del secondo atto, ad esempio –, ma si individua altresì, nel breve solco finora tracciato, un sentiero instradato lungo una giusta direzione. Una direzione poi è quella del teatro fatto di idee e non di belle statuine, un teatro che fa vivere e non imbalsama il testo, un teatro in cui l’effetto noi è mai fine ma mezzo – e la strizzata d’occhio, spesso evidente, alla Bohème del nostro secolo, lo conferma –.
In buca Riccardo Bisatti, alla guida dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali, fa nel complesso un buon lavoro di cesello, siglando una lettura brillante – in alcuni momenti anche un po' troppo – e conscia della carica teatrale dell’intera scrittura. Particolarmente ispirata negli involi sinfonici della partitura, che si fanno apprezzare per la ricchezza dell’impasto timbrico e la flessuosa morbidezza delle dinamiche, la concertazione del giovane direttore novarese mostra appena un filo di tensione nel rapporto col palcoscenico, non sempre contraddistinto da ferrea serenità.
Proprio il palcoscenico, però, riserva le sorprese più golose. Su tutti s’impone l’eccellente Mimì di Maria Novella Malfatti: con voce ambrata e piena, corposa nei centri e sciabolante in acuto, la Malfatti sa confezionare una gaia fioraia lucida e sentita, ampiamente applaudita nelle arie celebri del ruolo. Attrice perfettibile ma interprete sensibile, dona alla sua Mimì un fraseggio governato ovunque da squisita musicalità e rassicurante rigore tecnico – molto belle le filature a corredo della parte. Spicca poi, per la baldanza dello strumento e l’ottima emissione, il Marcello di Junhyeok Park che, perfezionata la pronuncia, sarà destinato a ruoli di primo piano. Grazie a una linea di canto nobile lungo cui far vibrare quel timbro sinuoso e brunito, anche Gabriele Valsecchi guadagna calorosi e meritati riconoscimenti nella breve aria che Puccini ha destinato al malinconico filosofo. L’ultimo della cricca è Davide Peroni, vero mattatore dell’intera produzione: ci propone uno Schaunard divertente e carismatico, splendidamente recitato e accuratamente cantato. Convince meno, purtroppo, Vincenzo Spinelli, il Rodolfo, complessivamente un po' troppo timido. La voce è ben educata, dal colore nitido, ma tende a sbianchire in acuto, dove rischia di essere sopraffatta dall’orchestra – tant’è che l’aria è accolta con un pizzico di freddezza. Solida e guizzante, infine, è la Musetta di Fan Zhou. Completano il cast Alfonso Ciulla (Benoît/Alcindoro) e Ermes Nizzardo (Parpignol). Buona la prova del Coro di OperaLombardia e del Coro di Voci Bianche del Teatro Sociale di Como, istruiti dal maestro Massimo Fiocchi Malaspina.
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