Luci opache
di Luigi Raso
Permangono, in questa ripresa di fine stagione, i dubbi sull'allestimento di Carmen firmato da Daniele Finzi Pasca, così come pare priva di una linea coerente la concertazione di Dan Ettinger. Non delude l'attesa Aigul Akhmetshina come protagonista.
NAPOLI, 29 ottobre 2024 - È Carmen a chiudere la stagione lirica 2023 -2024 del Teatro San Carlo. Il legame tra il capolavoro di Bizet e la città di Napoli risale al 1879 quando, prima rappresentazione italiana, la storia dell’efferato femminicidio dell’eroina gitana trionfò a Napoli, non al San Carlo ma nei più raccolti e meno perbenisti spazi del Teatro Bellini.
Questa ripresa di Carmen segna il ritorno - dopo il debutto del 2015 e la ripresa del 2017 - dell’allestimento firmato dal regista Daniele Finzi Pasca. Come si dirà in seguito, già nel 2015 questo spettacolo creò più di un dubbio tra gli spettatori e chi oggi vi scrive, perplessità che il trascorrere del tempo non hanno attenuato, anzi. Ma se ne riparlerà.
Se l’aspetto visivo è quindi un déjà-vu, quello musicale è in parte un déjà entendu: andando con la memoria allo spettacolo presentato in forma di concerto nella straordinaria cornice di Piazza del Plebiscito (le Fondazioni liriche uscivano a fatica dal periodo plumbeo del Covid-19), nella locandina di stasera leggiamo nomi di artisti che presero parte a quelle serate estive di tre anni fa (qui la recensione). Sul podio, come allora, c’è Dan Ettinger: la sua lettura, che nel 2021 aveva impressionato per essere traboccante di energia e trascinate, stasera al San Carlo appare invece indecisa su quale strada interpretativa percorrere. Dopo lo scintillante e travolgente Prélude, la tensione, sin dall’esposizione del drammatico tema del destino, subisce un calo di intensità che si riverbera, al netto della naturali oscillazioni, quale percettibile sottofondo per tutta la durata della rappresentazione.
Grazie al conforto dell’acustica del San Carlo, Dan Ettinger, poi, opta per una lettura in cui non mancano tratti dalle sonorità quasi cameristiche: un tentativo, probabilmente, di riportare Carmen nell’originario alveo esecutivo dell’opéra-comique; peccato, però, che anche queste apprezzabili intenzioni - e ben realizzate dall’orchestra - finiscano per scontrarsi con improvvisi affondi sonori, affidati al fragore dei piatti (per inciso, sempre precisissimi e nitidi, così come tutto il reparto delle percussioni).
Lascia disorientati, quindi, questa lettura: assicura indubbiamente un eccellente rapporto tra buca e palcoscenico, ma alcuni rapporti agogici e dinamici nel corso dell’esecuzione lasciano perplessi. A tempi dilatati seguono strette incalzanti, a sonorità cesellate, che indugiano sul piano e il mezzoforte, seguono rapidi incendi sonori.
In ottima forma l’Orchestra del San Carlo risponde con la consueta professionalità alle richieste del direttore: quella sancarliana è una compagine ben organizzata, che sfoggia un bel suono (complimenti al primo flauto di Bernard Labiausse per il pulitissimo Entr’acte III), un’ampia gamma di dinamiche. Qualche maggiore sollecitazione quanto a fraseggio e passionalità avrebbe sicuramente trovato una resa musicale ben calibrata.
È una serata triste per il Coro del San Carlo: si piange la scomparsa, prematura e dopo una lunghissima malattia, del contralto Annarita Marchi. Prima dell’inizio dello spettacolo, due sue colleghe, a nome di tutto il Teatro, leggono un commosso e toccante ricordo dell’artista del coro, cui la rappresentazione viene dedicata.
Benché scosso dal lutto, il Coro, sotto la guida sicura, sapiente e meticolosa del direttore Fabrizio Cassi, onora con professionalità l’impegno, distinguendosi per il suono compatto e vigoroso, l’incisività e la duttilità delle articolazioni, per l’oscillare, secondo le prescrizioni di Bizet, tra sonorità nette e rarefatte.
Precisi e portatori di gioia gli interventi del Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo affidato alle cure dell’esperta Stefania Rinaldi.
Infine, si apprezza il lavoro della Compagnia di Balletto del Teatro San Carlo, diretto da Clotilde Vayer, sulle coreografie di Maria Bonzanigo: davvero molto suggestivo la danza, allusiva a quella dei Dervisci, che apre la Chanson bohème in apertura dell’atto II.
Qualche novità rispetto all’ultima esecuzione di Carmen la si ritrova nel cast vocale.
Aigul Akhmetshina, giovane mezzosoprano russo, approda al San Carlo nelle vesti di Carmen dopo la consacrazione nella parte ottenuta a New York e a Londra: e le aspettative non deludono, in particolare per la preziosa caratura del timbro brunito, l’ampiezza e la proiezione vocale, il dominio dell’intera tessitura della parte. Akhmetshina, poi, dimostra una ben calibrata arte scenica che rende il suo personaggio teatralmente intenso e sensuale. La sua però è una Carmen che non appare del tutto messa a fuoco: il fraseggio, non fondato su una dizione francese immacolata, è tendenzialmente uniforme. Al netto dell’indubbio fascino e al rigoglio dei mezzi vocali, non sono purtroppo numerosi i momenti di intensità interpretativa davvero avvincente.
Convince poco il Don José di Dmytro Popov: voce non sempre adeguatamente proiettata, priva di squillo e interprete alquanto inerte, da cui emerge un personaggio poco sfumato e avaro di colori.
L’Escamillo di Mattia Olivieri esibisce una spavalderia più scenica che vocale: in “Votre toast, je peux vous le rendre... Toreador, en garde” deve fare i conti con un registro grave non adeguato per consistenza e un’articolazione della linea di canto stentorea, poco levigata e dal fraseggio uniforme. È più incisivo nello scontro con Don Josè nell’atto III, a suo agio nel duetto con Carmen dell’atto IV.
Selene Zanetti, già Micaëla nell’edizione in forma di concerto en plein air del 2021, sfoggia bel timbro screziato, ma la linea di canto accusa qualche imperfezione quando la tessitura sale verso il registro acuto; l’interpretazione in generale appare compassata e dolente.
Brillanti, ben cantate ed espressive, invece, sono la Mercédès di Floriane Hasler e la
Frasquita di Andrea Cueva Molnar.
Ben assortiti i ruoli secondari, a cominciare dal Moralès di Pierre Doyen, dal bel colore vocale, per poi proseguire con i precisi Zuniga di Nicolò Donini, le Dancaïre di Régis Mengus, le Remendado di Loïc Félix, une Merchande d’Orange di Silvia Cialli, un Bohémien di Giacomo Mercaldo e, infine, Lillas Pastia, molto ben recitato, di Sergio Valentino.
Lo spettacolo firmato da Daniele Finzi Pasca, anche co-creatore delle luci insieme a Alexis Bowles, alla seconda ripresa dal 2015 al San Carlo rispolvera dubbi sull’esistenza di un visibile disegno registico, di una nitida visione drammaturgica.
La luce e i colori - giallo, bianco, nero con innesti di fucsia e rosso: un colore per ciascun atto - sono i protagonisti di questa Carmen. Hugo Gargiulo firma un impianto scenico essenziale, delimitato da linee luminose. La luce si manifesta, ridondante e talora molesta, anche sotto forma di barre luminose che fungono da corde, sfollagente, catene. Difficile individuare la coerenza - oltre che l’eleganza - drammaturgica di questi elementi.
E così l’impianto scenico diventa una festival di luci, un’allusione a ciò che fu la Festa di Piedigrotta a Napoli e a quelle che sono le feste patronali estive dei paesi del sud Italia.
A questa fervida esplosione di luminosità, ai numerosi fari, lampadine, barre al neon, però, non corrispondono altrettante idee brillanti sul versante registico: i movimenti in scena sostanzialmente stereotipati, tanto da parte degli artisti quanto dei Cori; l’irrompere delle teste taurine a mo’ di giostra desta, invero, ilarità.
Insomma, poche idee, confuse e ridondanti; ma l’occhio trova appagamento nei bei costumi (magnifico il Traje de Luces del torero Escamillo!) di Giovanna Buzzi, i quali, partendo dall’irrealistico mondo di luci e lampadine, ci indicano correttamente le coordinate geografiche di Siviglia.
Al termine, la sala gremita del San Carlo tributa un caloroso successo per tutti, con un particolare apprezzamento per la protagonista Aigul Akhmetshina.
La sigaraia Carmen ora passa il testimone all’ondina Rusalka: il 20 novembre il sipario si alzerà sull’inaugurazione della Stagione 2024 - 2025 con il capolavoro operistico di Antonín Dvořák che segnerà gli attesi debutti napoletani di Asmik Grigorian nel ruolo della protagonista e del regista russo Dmitri Tcherniakov.
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