L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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cefalo e procri

NOTE DI REGIA

Valentino Villa

Considero il teatro d’opera un naturale approdo nel mio percorso di ricerca scenica e per il mio processo creativo. La musica è sempre stata presente nei miei lavori non come sfondo ma come struttura e modello di riferimento. La mia attrazione per la musica è un’attrazione per l’astrazione e per la matematicità e per l’emersione del materiale emotivo che prescinde dal racconto e dal linguaggio. Naturalmente, sono molto emozionato all’idea di aver ricevuto questo invito da un’istituzione come il teatro La Fenice’’.

Ogni autore accresce e assottiglia il corpo delle storie e così il mito continua a respirare, secondo una suggestione di Roberto Calasso. È in questi termini che guardo a Cefalo e Procri di Ernst Krenek e Eccessivo è il dolor quando egli è muto di Silvia Colasanti. I due universi musicali sono poli di uno stesso percorso al centro del quale si colloca un secondo brano di Silvia Colasanti, Ciò che resta, che, pur non composto in stretta relazione con il mito raccontato, si offre come ponte tra l’una e l’altra visione.

Tra l’opera di Krenek e le composizioni di Colasanti c’è un importante incongruenza tematica, quasi uno stridio, un attrito, che chiedeva di essere sottolineato: in Krenek la morte di Procri ad opera di Cefalo è stata cancellata. Procri sopravvive grazie  all’intervento della dea Diana. Al contrario Eccessivo è il dolor quand’egli è muto di Silvia Colasanti si nutre di questa morte il cui lascito è, nella mia visione, tristemente raccontato in Ciò che resta.  Abbiamo quindi una doppia immagine del mito e di conseguenza una doppia immagine di Procri. Ancora, se i brani di Colasanti sembrano nutrirsi di un sentimento angoscioso e quasi tragico, Krenek ci dà una diversa indicazione della sua opera definendola “Una moralità pseudo-classica”.

È a partire da questa indicazione che ho deciso di privare la storia di Cefalo e Procri della sua aura mitica: se ci devono essere degli dei allora questi non saranno dissimili da ogni uomo. Li vediamo mentre rivaleggiano tra loro in un Olimpo che è comoda dimora, un laboratorio in cui dare vita ai loro giochi, ai loro esperimenti con il simulacro di altri uomini. Cefalo e Procri, i due protagonisti, non sono altro che un divertissement per loro: vivono all’interno di un diorama. Questo dispositivo racchiude la loro intera storia come ricostruzione di un frammento di mondo classico. Una pseudo-classicità appunto; una classicità finta, di plastica, simbolica. Qui il mito vive nelle sue molteplici interpretazioni, cristallizzato nel tempo eppure soggetto a ripetizioni e alterazioni. Cefalo e Procri sono esistenze fittizie manovrate da una mano esterna che ne scrive e riscrive la storia, come pedine in un parco giochi dei sentimenti. In un certo senso il loro mondo potrebbe somigliare a quello di Westworld, film del 1973 scritto e diretto da Michael Crichton e rivisitato in una recente serie televisiva prodotta da HBO.

Questa operazione acquisisce per me senso solo in relazione ai due brani composti da Silvia Colasanti. Procri ne diviene protagonista: il suo Lamento ci fa conoscere il suo dolore, è il canto di una morte a venire o di una morte già accaduta in un altro tempo e in un altro racconto. Ciò che Resta ci permette di raccogliere il lascito di questa esistenza e di innalzarla ad una riflessione più ampia e soffusa sul senso della perdita.

L’afflato umano ed emotivo, sottotraccia in Krenek, è magistralmente condensato nei lavori di Silvia Colasanti. Così i due finali possibili si ricollegano in scena e il lieto fine confezionato da Krenek, così meccanico nel suo rivelarsi all’interno del diorama, si sovrappone alle dolorose immagini della morte di Procri: una vittoria retorica sulla morte, della quale, nonostante tutto, permane un’ombra, il ricordo di un’immagine, di un suono.


 

 

 
 
 

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