L’Ape musicale

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Mariotti dirige Schubert, Strauss e Brahms

CONCERTO SINFONICO

DIRETTO DA MICHELE MARIOTTI

Direttore MICHELE MARIOTTI

Soprano MARIA KATZARAVA

Orchestra del Teatro Comunale di Bologna

Franz Schubert

Die Zauberharfe, ouverture in do maggiore D644

Richard Strauss

Vier letzte Lieder, op. 150 (1948)

Quattro ultimi canti

Johannes Brahms

Sinfonia n. 2 in re maggiore,  op. 73

 

Domenica 29 marzo 2015, alle ore 20.30, all’Auditorium Teatro Manzoni di Bologna, il Direttore Musicale del Teatro Comunale di Bologna Michele Mariotti dirige l’Orchestra del Teatro nel terzo, attesissimo appuntamento della Stagione Sinfonica 2015.

Michele Mariotti torna dunque a dirigere la “sua” Orchestra dopo i recenti successi della prima esecuzione nella storia del Metropolitan di New York della Donna del lago di Rossini e in ambito concertistico con i Münchner Symphoniker e il violinista Ray Chen a Monaco di Baviera.

Con lui, sul palco del Teatro Manzoni, il soprano messicano Maria Katzarava, già protagonista al Covent Garden di Londra, alla Scala di Milano, al Grand Théâtre de Genève e alla Grand Opera di Miami.

Il programma del concerto, che si presenta denso e interessante, ci riporta alla musica di Johannes Brahms, grande protagonista della Stagione Sinfonica 2015.

“Nel maggio 1820 Franz Schubert ricevette un incarico dal teatro An der Wien per la composizione delle musiche di scena per un melodram (ovvero una pièce teatrale in prosa con musica) previsto per l’agosto successivo. Il dramma, di argomento fiabesco, era intitolato Die Zauberharfe e il testo era di Georg von Hofmann. Schubert accettò subito la scrittura: non gli dispiaceva comporre musiche per il teatro, anche perché questo gli avrebbe assicurato quelle entrate economiche di cui era tanto bisognoso. La prima rappresentazione avvenne il 19 agosto di quell’anno e il dramma rimase in cartellone fino a novembre con sole otto repliche, secondo alcuni per il limitato interesse suscitato dal testo, secondo altri per la qualità scadente della musica. Tuttavia l’Ouverture ebbe vita a sé, divenendo meglio conosciuta come l’Ouverture Rosamunde, altro e più fortunato melodram per il quale l’autore la riciclò nel 1823, tanto che due anni più tardi, quando sarà edito per la prima volta, il brano manterrà questo titolo.

In generale il pubblico non fu mai particolarmente entusiasta della musica per il teatro di Schubert, del quale preferiva i Lieder e le composizioni strumentali di stampo cameristico, e forse a ragione: nello stile compositivo di queste musiche di scena si nota infatti una tendenza alla ricerca della complessità e di un contenuto più aulico di quello richiesto dal contesto farsesco, segno evidente del fatto che l’autore fosse obbligato dalle circostanze a scrivere musica lontana dalle proprie inclinazioni. Non tutte le critiche gli furono però sfavorevoli: il recensore dell’Allgemeine Musikalische Zeitung di Lipsia, all’indomani della prima, dimostrò di aver apprezzato l’Andante iniziale dell’Ouverture come uno dei momenti più riusciti di tutto il dramma. […]”.

“Nel settembre 1948 Richard Strauss consegnava al figlio Franz un manoscritto contenente quattro Lieder per soprano e orchestra. […] Il lavoro fin dal 1946 giaceva a decantare. Quando lo portò a termine, Richard Strauss era a un anno dalla morte e lasciava nel lirismo della voce di soprano accompagnata dall’orchestra tutto lo struggimento di un addio. L’autore non potè assistere alla prima esecuzione a dir poco strepitosa che ebbe luogo il 22 maggio 1950 alla Royal Albert Hall di Londra: cantava Kirsten Flagstad con la Philharmonia Orchestra diretta da Wilhelm Furtwängler. Lo stesso anno le quattro composizioni furono pubblicate sotto l’unico titolo di Vier letzte Lieder op. 150 da Boosey&Hawkes, che ne scelse anche l’ordine di esecuzione. Strauss selezionò quattro testi poetici – i primi tre di Hermann Hesse, l’ultimo di Joseph von Eichendorff – e se ne lasciò ispirare per la composizione di un ciclo impregnato di temi crepuscolari: una volta svelate le metafore insite nelle liriche, ci si accorge che queste trattano dell’approssimarsi della morte, cui nessuno può sottrarsi, ma cui – lascia intendere l’autore – ci si può consegnare senza remore se non ci si preclude di gioire fino all’ultimo dello splendore degli spettacoli che la natura può offrire. […]”.

“La gestazione del primo lavoro sinfonico aveva richiesto a Johannes Brahms quindici anni: la severissima autocritica dell’autore – che l’aveva spesso portato anche a distruggere quelle composizioni di cui era insoddisfatto – gli aveva impedito di renderla pubblica fino a che non l’avesse ritenuta perfetta. Al contrario, gli bastarono i pochi mesi dell’estate del 1877, tra giugno e ottobre, per la composizione della Sinfonia n. 2 in re minore op. 73, durante le vacanze trascorse a Pörtschach e a Lichtenthal. La prima esecuzione avvenne nella sala del Musikverein di Vienna il 30 dicembre dello stesso anno con Hans Richter che dirigeva i Wiener Philharmoniker; la prima edizione della partitura vide la luce già l’anno seguente, sotto gli auspici dell’editore Simrock.

La sinfonia è intrisa da una parvenza di gaiezza idilliaca che l’ha fatta ritenere dai più come una versione brahmsiana della beethoveniana Pastorale. Tuttavia, anche se i temi principali semplici possono suggerire la pace dell’ambiente silvano, la composizione è rivestita da un velo lugubre che Brahms giustificò in una lettera a Vincenz Lachner come ineliminabile, perché “nere ali battono continuamente sopra di noi”. […]

Dal programma di sala (testo di Valentina Anzani).


 

 

 
 
 

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