L’Ape musicale

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Le opere di Donizetti e Mayr nel festival 2023

testo di Paolo Fabbri

«Compagni! e che vi pare / del nostro Donizetti?

il capriccio gli salta nella testa / il maestro di far compositore» 

È un compagno di scuola di Gaetano a pronunciare queste parole: o per meglio dire, è il loro maestro Mayr che gliele mette in bocca. Compaiono infatti nel Piccolo compositore di musica, una commediola del 1811 che Mayr scrisse ‒ libretto e musica ‒ per dare ai suoi studenti la possibilità di dimostrare quanto avevano imparato, divertendosi e soprattutto divertendo. La rilegge e reinventa il Donizetti Opera 2023, riandando agli albori della vocazione musicale di Gaetano. E se Mayr ironizzava con affetto su quell’allievo promettente e forse un po’ sbruffone, suo padre si lasciava andare a prospettive poco incoraggianti. Gli diceva «è impossibile che tu scriva, che tu vada a Napoli, che tu vada a Vienna...», come ricordava Gaetano ancora nel 1843, mentre si trasferiva da Vienna ‒ proprio lei! ‒ a Parigi.

Il figlio non sarebbe mai stato all’altezza di una delle capitali della musica europea come Napoli? Donizetti ci lavorerà invece per un buon quindicennio, facendovi debuttare quasi una trentina di titoli, molti dei quali indimenticabili. Nacquero lì anche Alfredo il Grande, esattamente due secoli fa (1823), e Il diluvio universale (1830). La rarità di simili riproposte sarebbe già da sola ragione sufficiente per accorrere al Donizetti Opera. Vi si aggiungono, poi, motivi specifici che rendono queste opere ancor più fascinose.

In Alfredo è la presenza della banda sul palco, con effetti di moltiplicazione delle sorgenti sonore entro lo spazio scenico, così come Rossini aveva iniziato a fare da alcuni anni. In casi del genere oggi i teatri scelgono di assegnare le parti della banda all’orchestra in buca: una soluzione di comodo, riduttiva, che schiaccia e annulla completamente il gusto per la ricerca di fonica spaziale sperimentata anche da Donizetti. Per la prima volta, a Bergamo ne potremo valutare l’effetto originario, riscoprendo come davvero funzioni questa prospettiva di suono.

Il diluvio universale costituisce invece uno degli ultimi frutti di un tipo di opera seria nato per adeguarsi al mood della quaresima: le sceneggiature dei soggetti e i rapporti tra i personaggi erano analoghi a quelli di tante altre storie, ma lì venivano applicati a soggetti e a vicende tratti dalle Sacre Scritture. Negli anni a venire, Donizetti avrebbe frequentato sempre più spesso i territori del Dramma e della Tragedia, per cui questa sua incursione nel mondo biblico rappresenta un tributo di estremo interesse agli ideali del Tragico Sublime.

Se, almeno per Napoli, Donizetti padre poté assistere alla smentita delle proprie pessimistiche previsioni sulla carriera del figlio, non visse abbastanza per vederlo trionfare anche a Vienna e ‒ prima ‒ a Parigi. Qui Gaetano presenterà opere italiane nuove o già rodate, opere francesi scritte apposta, opere italiane rese francesi. A quest’ultimo ambito appartiene Lucie de Lammermoor (1839), traduzione e adattamento del suo capolavoro napoletano del 1835. Queste versioni nella capitale francese potevano convivere con l’originale, mentre fuori Parigi erano le sole ad essere rappresentate: tant’è che sarà proprio Lucie (e non Lucia) quella cui assisteranno, al teatro di Rouen, Emma e Charles Bovary (nonché Léon, l’amante), nel romanzo di Flaubert (1856).

Quest’insieme di circostanze offre al pubblico odierno la possibilità di un ascolto complesso, stratificato. Possiamo goderci Lucie, e al tempo stesso sentirvi in filigrana la partitura di Lucia. Ma possiamo anche guardare Lucie attraverso i filtri di Madame Bovary. E in questo caso, sceglieremo il punto di vista di Emma (ardente, auto-referenziale, deformante), oppure quello di suo marito Charles, pieno di tanto prosaico buon senso? O ci tenterà invece lo snobismo del parigino Léon e, per far colpo, ci vanteremo di aver visto a Bergamo Lucie, non la solita Lucia di Lammermoor?


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