L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

I colori del tragico

 di Francesco Lora

Miracolosa lettura della Sinfonia n. 6 di Mahler alla Scala, con Riccardo Chailly e la Filarmonica del teatro: dapprima rutilante di timbri, colori e volumi, la partitura è attesa a un Finale da lasciare atterriti.

MILANO, 19 gennaio 2018 – Agli applausi finali, Riccardo Chailly teneva attonito una mano sul cuore per ringraziare la Filarmonica della Scala, e l’orchestra, dopo averlo caparbiamente seguìto in un’impresa senza riposo, lo guardava a sua volta trasfigurata. Battimani piuttosto distratti, invece, da parte del pubblico, come se solo una sua parte modesta si fosse accorta del miracolo nel concerto del 17, 18 e 19 gennaio scorsi, per la stagione sinfonica del Teatro alla Scala: quella dove per gradi sta prendendo corpo un’esecuzione integrale delle sinfonie di Gustav Mahler, e quella dove Chailly – campione di vecchia data nell’esegesi mahleriana – ha appena diretto la Sesta. Chi scrive non l’aveva mai ascoltata più rutilante di timbri, colori e volumi, con una più minuziosa e divertita analisi tematica, cromatica e strutturale. Chi scrive crede che un tale esito si potrebbe ascoltare solo da una compagine italiana, col canto pucciniano nel sangue e una salute tecnica da scoppiare. Ciò metterà in dubbio, nella sinfonia in oggetto, l’apocrifo epiteto di “Tragica”? No: poiché il virtuosistico sfavillio di discorso e macchina trasudava anche di grottesco e disperato, ampliandone a dismisura lo spettro e apparecchiando dall’alto del paradiso la caduta all’inferno. Alla chiarissima architettura formale dell’Allegro energico ma non troppo, Chailly ha fatto qui seguire non lo Scherzo, come nella probabile e combattuta decisione ultima dell’autore, bensì la relativa distensione dell’Andante moderato. Da lì in avanti, in tal modo, non è rimasta che la tensione a montare senza tregua per tre quarti d’ora, sino a un Finale da lasciare atterriti: ecco i temi già noti dal primo movimento ed eccone alcuni residui formali, tirati cinicamente a lucido affinché nessuno possa negare di riconoscerli; ma eccoli fatti lividi e dilavati come fantasmi estratti dall’acido, come ombre e barlumi di un primo movimento disintegrato. Se la famosa spudoratezza dei campanacci da pascolo, nel secondo movimento, passava quasi confusa tra il generale rigoglio timbrico, nell’ultimo movimento non saranno stati allora i due titanici, tremendi colpi di martello ad attirare su di sé un’attenzione improvvisa: i vertiginosi gorghi di Chailly e della Filarmonica della Scala li avevano preparati fin dalle prime note del concerto.


 

 

 
 
 

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