L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Quartetti a stelle e strisce

di Luigi Raso

Pregevolissimo concerto del giovane Quartetto Adorno a Napoli per l'associazione Scarlatti con un programma che ha nel legame dei compositori con gli Stati Uniti il suo filo conduttore.

Napoli, 14 novembre 2024 - Gli Stati Uniti d’America, tra la fine dell’ 800 e nel ‘900, sono terra di fecondi stimoli musicali, di contaminazioni culturali, che sedussero compositori europei, approdati negli USA per insegnarvi o per sfuggire alla vergogna di persecuzioni come le legge razziali italiane del 1938. Il programma scelto dal talentuoso e apprezzato Quartetto Adorno è un piccolo ed interessante saggio sulla musica a stelle e strisce, quella di compositori nati negli USA e quella di compositori che vi soggiornarono per un arco temporale limitato ma intenso o di chi vi trovò rifugio sicuro dalla barbarie antisemita fascista fino a diventarne cittadino.

L’apertura è affidata all’americanissimo Samuel Barber (1910 - 1981), al suo passionale e malinconico Quartetto in si minore op. 11, composto nel 1936: appuntiamo i termini malinconia e nostalgia, ché saranno le cifre connotative del programma del concerto.

Il Quartetto Adorno si fa apprezzare sin dai primi accordi per la coesione, la cura del suono e per il fraseggio particolarmente ricercato e inteso. Il celeberrimo Adagio del secondo movimento, brano iconico, pop - grazie soprattutto alla trascrizione per orchestra d’archi eseguita da Arturo Toscanini nel 1938 - della musica americana del ‘900 è sottolineato con estrema eleganza esecutiva: la formazione non si fa irretire dalle lusinghe di sdilinquimenti sempre incombenti in brani, come appunto questo, che accumulano, battuta dopo battuta, alti tassi di tensione emotiva. Il Quartetto di Barber, nella lettura di stasera, vive di un suono intenso ed energico, pulsa nei suoi tre movimenti.

Il fiorentino Mario Castelnuovo-Tedesco (1895 - 1968) approdò negli USA, acquisendone poi la cittadinanza, a seguito della barbarie delle leggi razziali fasciste; i legami con l’Italia e la sua Toscana, malgrado il successo ottenuto come celebrato compositore di colonne sonore per l’industria cinematografica hollywoodiana, non furono mai del tutto recisi. Le radici di Mario Castelnuovo-Tedesco trovarono linfa vitale nei periodici ritorni a Firenze e soprattutto nella sua musica, dalle suggestioni melodiche e armoniche italiane. Ne è un esempio, godibile e garbato, il Quartetto in fa maggiore n. 3 op. 203 “Casa al dono”, una sorta di poema sinfonico per quartetto d’archi, rievocativo, attraverso citazioni musicali e i titoli dei singoli movimenti, di uno dei ritorni del compositore nell’amata Toscana.

Di questa grazia, così intrisa di leggera e vitale nostalgia, è magnifico interprete il Quartetto Adorno: si apprezzano, nel corso dell’esecuzione pulita e lineare, il bel suono caldo e morbido della formazione cameristica, il saper “raccontare” sorridendo ciò che immagina Mario Castelnuovo-Tedesco, la perizia nell’evocare perfettamente gli echi della abbazia di Vallombrosa nel secondo movimento.

Si ritorna negli States per Echoes per quartetto d’archi di Bernard Hermann (1911 - 1975), prolifico compositore di colonne sonore, il preferito da Alfred Hitchcock.

La dolcezza della linearità del paesaggio e delle dotte conversazioni toscane del Quartetto di Castelnuovo-Tedesco cedono il passo a sonorità da atmosfere oniriche, cupe, inquietanti e spettrali: la sensazione che Hermann abbia composto Echos non abbandonando le tecniche del racconto sonoro cinematografico (il brano è uno dei pochi non destinati al cinema) prende corpo durante l’esecuzione dei dieci episodi sonori ed emotivi che lo compongono: si ha la sensazione, sempre più netta, di ascoltare la colonna sonora di un thriller.

Il Quartetto Adorno è perfetto nel cercare la tinta più appropriata per ciascun episodio, immettendo al suo interno una raffinata cantabilità che lega e impreziosisce il fluire dei micro brani di Echos, narrandoli con sonorità fendenti e decise che strizzano l’occhio a quelle espressionistiche: la composizione di Hermann diviene una sorta di conversazione sussurrata e introspettiva tra i quattro strumenti.

In conclusione, uno dei capolavori frutto della commistione tra la musica europea, in questo caso pervasa da riferimenti popolari boemi, e le suggestioni ritmiche e melodiche del Nuovo Mondo, il Quartetto n. 12 in fa maggiore op. 96 “Americano” di Antonín Dvořák, composto nel 1893 durante il soggiorno del compositore negli Stati Uniti. Affiora anche in questo Quartetto la nostalgia dell'autore per la sua Boemia che si sposa alla voglia di addentrasi in mondi sonori affascinanti, esotici e inesplorati.

Il Quartetto Adorno dà l’impressione di lasciarsi sedurre senza remore dall’energia che emana l’Allegro ma non troppo del primo movimento: la loro è una esecuzione precisa, ben calibrata nel dar risalto alla ritmica del movimento, che confluisce serenamente nel meditativo Lento del secondo movimento: molto ben evidenziato il salto d’atmosfera e di umore tra il primo e il secondo movimento. Il suono si fa robusto, caldo, intenso (meravigliosi gli interventi del violoncello di Francesco Stefanelli, così come la cavata passionale, impreziosita da ben calibrati portamenti, del primo violino di Edoardo Zosi), come ad evocare una serotina nostalgia che si fa sempre più prepotente. Il Finale - Vivace ma non troppo trasuda brio e vitalità, è una danza leggera che omaggia, pur nel rispetto dei canoni europei, la musica folk americana. Impeccabile e scintillante è l’esecuzione del movimento da parte dell’ispirato e coeso Quartetto.

In conclusione, un bis di raffinato ascolto, il Kupelwieser Waltz di Franz Schubert nella trascrizione per quartetto d’archi. Come narrato dal primo volino Edoardo Zosi nel presentare l’encore, questo valzer fu dono dell'autore all’amico Leopold Kupelwieser in occasione delle sue nozze; Schubert lo compose ma non lo scrisse; tramandato per anni senza che esistesse uno spartito, il valzer fu poi trascritto da Richard Strauss: è una gemma di dolcezza ed eleganza che coniuga, come solo a Schubert e a pochi eletti è riuscito, semplicità, grazia, lirismo. L’esecuzione è pregevole quanto il valore del brano.

Tanti applausi e palpabile apprezzamento da parte del pubblico, purtroppo sparuto, del Teatro Sannazaro.

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