Il canto della sirena
Accompagnata al pianoforte da Sunwook Kim, Janine Jansen strega il pubblico dell’Unione Musicale di Torino con l'integrale delle sonate per violino e pianoforte di Brahms: classe, virtuosismo e pathos innervano la sua interpretazione, facendo emergere il carisma e la musicalità di un'artista di straordinario talento.
Torino, 6 novembre 2024 – Impossibile resistere a tanta grazia, impossibile resistere a tanta bellezza. Impossibile resistere a un violinismo di rango, a un violinismo in cui musicalità sopraffina e virtuosismo estremo si mescolano in un continuum sonoro che non vede mai frattura alcuna, in cui il cameratismo più elegante riesce ad assurgere a solismo splendente, in cui ogni gesto sembra far sfoggio di una perfezione che trascende la tecnica e sa farsi pura espressione dell'anima. Che esegua l’infuocato Presto agitato dalla terza sonata o il traslucido Andante tranquillo dalla seconda, Janine Jansen tiene incollati su di sé occhi e orecchie, sguardi e fantasie, ammaliando il pubblico e costringendolo a respirare all’unisono col suo strumento.
L’eccezionale violinista olandese, in fin dei conti, di carisma ne ha da vendere: avvolta in un abito blu cobalto che con franca semplicità ne slancia la garbata avvenenza, legge per l’Unione Musicale di Torino – che, al suo pubblico, dona ancora un’altra indimenticabile serata– l’integrale delle sonate per violino e pianoforte di Brahms, facendo rifulgere di un’arte che oggi trova pochi, pochissimi termini di paragone. Un’arte che sì, fa appello a un tecnicismo d’altissima scuola, ma che, almeno qui, pone sotto i riflettori la finezza espressiva di un’interprete capace di autentiche mirabilia.
Non si può definire altrimenti il legato che ammanta ogni singola frase, l’impeccabilità di ogni suono che si leva dalle quattro corde tese, il vibrato modulato secondo l’esigenza drammaturgica del testo, l’infinità di colori, di dinamiche e d’accenti che rendono ora malioso, ora stregonesco il canto dello Stradivari. Ecco allora che le tre sonate di Brahms e le tre romanze op. 22 di Clara Schumann s’impongono all’attenzione per la straordinaria cantabilità con cui prendono vita sul palcoscenico, per l’intensità, a tratti erotica, di un fraseggio che qui e la strizza l’occhio al languore più ruffiano pur preservando, ovunque, un’aristocratica compostezza, che è il risultato di una profonda contezza stilistica e di un spiccato senso della misura. L’op. 78 e l’op. 100, le prime due, diventano così l’altare su cui celebrare il canto ispirato ed elegiaco, d’estrazione liederistica, che s’insinua con dirompente forza evocativa nella scrittura brahmsiana la quale, pur mantenendo la sua inconfondibile densità armonica e ritmica, si apre al candore di linee melodiche vibranti e piene di toccante intimità. Al pianoforte, Sunwook Kim, è preziosa cassa di risonanza: raccoglie gli spunti, li amplifica, li riporge al violino solista creando con esso un’alchimia fondamentale nella creazione di una trama sonora incredibilmente ricca e sfaccettata. Ne è magnifico esempio, in tal senso, la sonata per violino e pianoforte op. 108, caleidoscopica nella gamma di timbri offerti sul piatto, agevolata quanto mai da partitura che s’articola con effetti contrastanti, in cui il violino e il pianoforte si alternano in un dialogo che oscilla tra intensi slanci virtuosistici e momenti di delicata introspezione. Mirabilmente appassionato, giustamente nervoso ma mai nevrotico, il quarto movimento della terza sonata (Presto agitato) esalta e al tempo stesso descrive in breve tutte le strabilianti qualità che a fine serata imporranno un vero e proprio tripudio di applausi.
Con grande generosità, Janine Jansen e Sunwook Kim ripagano il pubblico. Ben due bis, Feldeinsamkeit op. 86 n. 2 e lo scherzo in do minore per violino e pianoforte dalla Sonata F.A.E. di Brahms, allontanano la fine di un sogno, per noi, reso realtà dall’Unione Musicale di Torino.