L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Classico (e contemporaneo)

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia offre al pubblico un concerto che coniuga il contemporaneo con due delle ‘tre corone’ del classicismo musicale. Maxim Emelyanychev, alla guida dell’orchestra di casa, apre dirigendo Con brio di Jörg Widmann, un curioso omaggio a Ludwig van Beethoven, di cui si esegue, immediatamente dopo, il Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 73, solista Leif Ove Andsnes. La serata si chiude con la Sinfonia in mi bemolle maggiore op. 103 “Rullo di tamburi” di Franz Joseph Haydn

ROMA, 11 novembre 2024 – Accostare il contemporaneo ed il classico è sempre un’operazione interessante, quantomeno perché la paratassi dei due linguaggi induce l’ascoltatore ad osservarne meglio le peculiarità, il timbro caratteristico. Peraltro, Con brio di Jörg Widmann è un esplicito omaggio alla musica di Beethoven e, quindi, funge perfettamente da apertura al pezzo forte della serata, il Concerto n. 5, felicemente noto col titolo di “Imperatore”. Maxim Emelyanychev fa un buon lavoro con l’Orchestra dell’Accademia: Con brio scorre tenendo fede al suo nome, fondendo sonorità e ritmi tipici di una ouverture, uno Scherzo ed un classico finale sinfonico – come esplicitamente dichiarato dal compositore. Widmann puntualizza, in effetti, qualcosa di cui il pubblico si sarà certamente reso conto: «di Beethoven non cito nemmeno una nota». L’effetto che l’ascolto di Con brio causa è quello di un costante déjà entendu: il risultato più geniale di Widmann è proprio quello di avere la sensazione di ascoltare intere frasi di Beethoven, abilmente manipolate, senza che queste lo siano veramente.

Dopo gli applausi, entra Leif Ove Andsnes, di ritorno in Accademia dopo un decennio (la sua ultima apparizione fu un recital beethoveniano nel 2014). L’“Imperatore” di Beethoven, suo ultimo concerto per pianoforte e orchestra, porta a maestria lo stile classico ed apre le porte all’intensità drammatica del romanticismo. Nell’idea diEmelyanychev, però, emerge soprattutto l’elemento classico: il direttore, infatti, indirizza l’orchestra verso un suono terso, uniforme, mai sforzato, porto con una certa eleganza d’accento anche nei momenti in cui la tradizione esecutiva risulta, in genere, più incisiva. (Un esempio sopra tutti è proprio l’attacco dell’Allegro, con le frasi brillanti del pianoforte e gli accordi dell’orchestra, che preludono all’esposizione del tema da parte di quest’ultima). Ecco, Emelyanychev palesa un gusto composto, volto a coprire gli elementi romantici con un velo di brillante classicità. L’interprete, Andsnes, è in linea con il direttore: la sua lettura dell’ “Imperatore” valorizza soprattutto i passaggi di più tersa bellezza, cogliendo la luminosità delle frasi beethoveniane. Si pensi all’Adagio un poco mosso, che trasuda dolcezza delicatamente mista a malinconia, un movimento in cui gli intenti artistici di Andsnes e Emelyanychev si incontrano alla perfezione: la delicatezza pacata del pianismo di Andsnes si sposa con un volume contenuto ed una ricerca timbrica operata dal direttore. Quindi, è l’Allegro iniziale, il più ‘romantico’ dei tre movimenti, con frasi dense e pieni passaggi orchestrali, a risultare, forse, il meno d’effetto. Il Rondò finale, infatti, trae linfa dalla brillantezza dell’esecuzione dei passaggi, più che dal peso (anche, banalmente, ‘muscolare’) dell’esecuzione sonora dell’interprete: neanche a sottolinearlo, ad Andsnes riesce magnificamente. Gli applausi riempiono la sala ed il pianista si congeda con uno degli Études-Tableaux di Rachmaninov.

Il concerto si chiude con l’esecuzione della Sinfonia “Rullo di timpani” di Haydn. Devo dire che Emelyanychev è nel suo nel repertorio classico: il suo gusto per la bellezza sonora, l’attenzione al dato ritmico e timbrico, all’elemento bozzettistico, lo rendono ottimo interprete di questo repertorio. Come un barocchista à la page, del resto, Emelyanychev ha anche il senso dell’umorismo: infatti entra in scena sul rullo di tamburi che dà avvio, appunto, alla Sinfonia n. 103 di Haydn. L’Adagio, cromaticamente scuro, prelude ad un Allegro ricco di verve, con raffinate variazioni tematiche: il direttore gioca su timbriche e volumi, proponendo un Haydn vivace, accattivante. Un gusto sonoro che intravede il romanticismo rende la Sinfonia n. 103 ben adatta a figurare in un programma accanto a Beethoven: l’Andante ne è ottimo esempio. Di una malcelata, galante ironia, il Minuetto è, al solito, fra i momenti più apprezzati delle sinfonie di Haydn: in particolare, qui il compositore si diverte a giocare con effetti pieno/vuoto e sulla ‘pesantezza’ delle combinazioni di archi ed ottoni per creare dinamismo, elemento che dilaga nel Finale, in cui orchestra e direttore si lanciano in una scrittura travolgente nella struttura e nei giochi di riprese – ciò che porta, ovviamente, il pubblico ad applaudire sonoramente alla fine dell’esecuzione.

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