La Périchole, serva o padrona?
di Irina Sorokina
Fra gli omaggi a Jacques Offembach legati al bicentenario dl 2019, questa Périchole moscovita si avvale di un buon cast vocale, ma è penalizzata da un regista e da un concertatore poco in sintonia con lo spirito dell'operetta.
MOSCA, 8 febbraio 2020 - Una volta, c’era una volta una grande città che portava a pieno diritto il nome della capitale del mondo. Diede i natali ai filosofi, scrittori, pittori, compositori e tanti altri, fu la culla dei movimenti rivoluzionari. In questa città chiamata Parigi, visse un ometto per niente bello, piccoletto con gli occhiali, ebreo di origini, figlio di un cantore di sinagoga. Era nativo di Offenbach, in Germania. Abbandonò il suo vero cognome, Eberst, e prese un nome d’arte, Offenbach, appunto. Diventò il creatore delle celebri operette chiamate “offenbachiades”. In collaborazione con i librettisti Henry Mehliac e Ludovic Halévy assunse il ruolo di specchio della sua epoca, nota col nome di Secondo Impero. Come compositore preferiva le forme classiche per cui fu chiamato “le petit Mozart des Champs-Elysées”. Addirittura Richard Wagner paragonò Offenbach a Mozart quando venne a mancare (nella vita lo odiava a morte). Che cosa rimane oggi di questo bizzarro ometto e della sua arte bizzarra segnata da una grande vena lirica? Non tanto, lo dobbiamo constatare con amarezza. Merita rispetto e ammirazione, Jacques Offenbach, autore di melodie affascinanti, a volte frizzanti e galoppanti, a volte dolcissime e struggenti. Fu troppo legato al suo tempo e, se non cadde totalmente in dimenticanza, tuttavia, risulta difficile “beccare” un suo capolavoro nei teatri e in alcuni paesi non è proprio possibile.
Perché oggi abbiamo apparizioni di alcune opere da lui composte o ispirate addirittura al Teatro Bol’šoj anche se, ovviamente, non si tratta del palcoscenico storico, recentemente riportato al suo splendore? La ragione è chiara: il 2019 è stato l’anno del bicentenario della nascita di Jacques Offenbach e Mosca lo ha omaggiato con il balletto Gaité parisienne sul palcoscenico nuovo e La Périchole su questo da camera che altro non è che il già Teatro Musicale da Camera fondato e diretto per molti anni dal maitre della regia d'opera Boris Pokrovsky. La scelta dei palcoscenici è stata determinata dalla leggerezza e delicatezza del balletto sulle musiche di Offenbach e della sua celebre operetta: sul palcoscenico storico che mantiene le caratteristiche del teatro imperiale avrebbero rischiato di morire.
Abbiamo recensito il balletto di Béjart nella scorsa primavera e adesso tocca alla Périchole. Riteniamo che l’idea di rappresentarla non sia stata proprio felice. Prima di tutto, il piccolissimo spazio dell’ex Teatro Pokrovsky, come lo chiamano ancora i moscoviti, è risultato troppo ridotto per l’opéra-bouffe offenbachiana. Filipp Grigoryan, in doppia veste di scenografo e regista, non ha mai sentito La Périchole e affrontato l’operetta prima. Ha lasciato delle dichiarazioni dove affermava che “tutto quel che abbiamo è vergognosamente vecchio”, che alla Périchole «manca il pepe” e che “non voleva trovarsi in questo tradizionale contesto operettistico”. E’ stato facile immaginare che, simile ai molti colleghi, avrebbe seguito la via della modernizzazione e così è stato. Lo spettacolo da lui ideato si riferisce all’attuale Russia o, più precisamente, alla vita caotica e parecchio “occidentalizzata” della Mosca d’oggi nonostante la scritta “Veritas” sul sipario e due lame disegnate alla sua destra e sinistra (ricordiamo che La Périchole è ambientata in Perù). Vi domina uno spirito carnevalesco, tutto gira e luccica simile a scritte pubblicitarie spesso in inglese, molto in uso nella capitale russa, la gente per strada vestita nel modo improbabile (costumi di Vlada Pomirkovanaya) imita l’approvazione del potere e beve a volontà, tutti sono muniti dei cellulari e le arie celebri si trasformano nei messaggi vocali. Ma non è tutto oro quel che luccica: in quella festa del consumismo che altro non è che una totale confusione dei valori e incertezza del futuro appaiono i rappresentanti dell’OMON (squadra mobile con compiti speciali) pronti a reprimere ogni libero pensiero. In quella finta festa della vita la Périchole è un vero diamante e non per nulla Don Andrès de Ribeira si sente affascinato e la vuole nel palazzo.
Per quanto riguarda il versante musicale, anche il giovane direttore d’orchestra Filipp Chizhevsky, simile a Grigoryan, non ha mai affrontato il genere d’operetta prima; la trasparenza della scrittura offenbachiana evidentemente gli ha creato un po’ di problemi. Il suo contributo si è ridotto a una corretta e sufficientemente pulita esecuzione della partitura, senza lode e senza infamia. Per trasmettere tutta la bellezza della Périchole un’accurata riproduzione della melodia e modesto accompagnamento non sono certo bastati.
Nel cast ha primeggiato il giovane soprano Marianna Asvoynova, le cui parecchie doti che le hanno permesso di creare un personaggio credibile e affascinante e conquistare le simpatie del pubblico. Ha saputo rivelare l’animo nobile della cantante di strada e ha evitato felicemente un’eventuale volgarità. Dei tre grandi appuntamenti della Périchole, la Lettera, Scena dell’ubriachezza e Confessione, le è stata più familiare l’ultima in cui il suo legato incantevole e l'espressività hanno suscitato l’ammirazione del pubblico. La protagonista di una certa classe, in possesso di fascino femminile e di una bella voce ha avuto fortuna di essere circondata dai bravi Alexey Morozov - Don Andrès de Ribeira, Pyotr Melentyev – Piquillo, Zakhar Kovalyov – Don Miguel de Panatellas, Vasily Sokolov – Don Pedro de Himoyosa, Aleksandra Mayskaya, Aleksandra Nanoshkina, Irina Berezina – tre cugine e da un’esilarante Viktor Borovkov nel ruolo del marchese di Santarem.
Qualche volta anche l’Operetta è Signora. Il pipisterello lo è, La vedova allegra lo è e lo è anche La Périchole. La strada di modernizzazione e spirito caricaturale dello spettacolo di Grigoryan non l’hanno fatta apparire come una signora, ma come una simpatica serva. Dubitiamo della capacità del regista di domare il genere capriccioso d’operetta e riteniamo lo spettacolo poco adatto al marchio del Bol’šoj che ha inglobato il Teatro Musicale da Camera una volta diretto dal mitico Boris Pokrovsky.