L’Ape musicale

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Miseria e nobiltà di Marco Tutino, un’opera in prima assoluta commissionata dal TeatroCarlo Felice, raccontata dall’autore

Miseria e nobiltà, la commedia di Scarpetta, non ha bisogno di presentazioni. Da più di un secolorappresenta uno dei massimi esempi italiani di comicità teatrale di derivazione popolare, e precisamente partenopea, che ha generato e ispirato altri testi e traduzioni cinematografiche. Per la verità, anche un’opera lirica del compositore napoletano Jacopo Napoli, scritta tra il ’46 e il ’47, e rappresentata al San Carlo con un modesto successo. Il suggerimento di scrivere un’opera su questo soggetto mi fu regalato dal mio editore di tante opere, Piero Ostali, in una sera di ottobre del 2014 a Budapest. Come spesso accade, ho percepito subito che fosse una buona idea: venivo da due opere molto complesse e per niente leggere, Le BraciLa Ciociara, e quel soggetto mi sembrava, solo a pensarlo, una ventata di aria fresca… Poi, l’interesse del Carlo Felice nelle persone di Maurizio Roi e Giuseppe Acquaviva ha reso possibile la sua creazione. L’opera buffa, genere inventato a Napoli all’inizio del XVIII secolo, esportato e sviluppato da noi italiani nel corso di più o meno 200 anni, connota e definisce una tradizione così vasta, importante e varia da incutere soggezione. Non a caso, durante il secolo scorso, ben pochi autori nazionali si cimentarono nel tentare di riprodurre quei fasti; uno su tutti ci riuscì pienamente grazie alla sua straordinaria e ancora misconosciuta genialità, Nino Rota, che col Cappello di paglia di Firenzeci regalò uno dei capolavori operistici del ’900. Un secolo, quello, che non ha certo incoraggiato il mondo dell’opera all’ironia e alla commedia. Due guerre mondiali, la dissoluzione di un linguaggio musicale condiviso, le avanguardie e la sperimentazione… tutte cose assai serie, che da noi tradizionalmente diventano subito “seriose” e accademiche. La sfida dunque di provarci era irresistibile, anche tenendo presente alcuni sporadici ma meravigliosi esempi d’oltralpe: TheMidsummer Marriage di Tippet eAlbert Herring di Britten, oltre naturalmente al deliziosoCandide di Bernstein. Miseria e nobiltàdi Rossi, Ceresa e mia non nasce con la pretesa di essere fedele al testo originale. Intanto, la vicenda viene immaginata in un’epoca posteriore, ed esattamente nei due, tre giorni del referendum monarchia/repubblica del 1946. Ci è sembrata una ghiotta occasione, è una buona soluzione teatrale, poter parlare di nobiltà nel momento storico a lei meno favorevole, e nello stesso tempo evocare una miseria non generica, quasi eterna e geografica, ma una povertà precisa e dipendente da fattori storici concreti e devastanti. I personaggi si sono sfoltiti, e la tribù dei miserabili di Scarpetta si è ridotta a tre, appunto la sola famiglia Sciosciammocca: l’opera ha sempre sete di sintesi. E di trama: non potevamo accontentarci del meccanismo ottocentesco della farsa che quasi funziona mediante l’effetto domino, dove ogni situazione innesca quella conseguente per inerzia. Qui la vicenda si dipana e si spiega con antefatti e accadimenti più complessi, e le ragioni dei personaggi sembrano essere più ancorate a una narrazione che indaghi maggiormente nelle psicologie e nelle motivazioni sociali e culturali. Naturalmente, come le prove sopracitate di commedia musicale postbellica, anche questa M&Ndel duemila inoltrato non può essere solo un’opera buffa tout court. Il nostro sguardo è ormai irrimediabilmente influenzato e corrotto dalla varietà dei generi di spettacolo leggero che da più di cento anni hanno cambiato profondamente le nostre esigenze e aspettative: chi ha conosciuto Falstaff, l’operetta, il musical, Nino Rota, Totò, Mel Brooks, e così via fino a Maurizio Crozza, nonsi accontenterà più dei meccanismi teatrali e del linguaggio di Rossini e Donizetti, seppure sublimi e unici. La comicità e la leggerezza oggi saranno inevitabilmente sempre venate di turbamenti e ombre, e disposte a negare sé stesse in ogni momento. Dietro ad ogni risata si nasconde una lacrima, dietro a ogni sberleffo una nostalgia, e anche se questo è sempre stato vero (c’è del tragico in ogni commedia che si rispetti e viceversa, e la “Furtiva lagrima” la dice lunga a questo proposito) oggi questa relazione è più evidente, più ricercata e voluta, quasi una contraddizione deflagrante che sprigiona una energia altra, una terza dimensione teatrale sia rispetto al comico che al tragico; un genere dunque nuovo, ancora tutto da scoprire. Di questa nuova potenzialità ci si dovrebbe occupare di più, nell’ambito della creazione operistica, proprio oggi che questo genere, l’opera, sembra si possa solo declinare al passato, perlomeno nel Paese che l’ha visto nascere. Noi ci abbiamo provato, senza nessuna pretesa se non quella di divertire il pubblico che avrà la pazienza di venirci a trovare; il tempo ci dirà se e dove abbiamo sbagliato, e nel caso, se qualcosa abbiamo indovinato.

Marco Tutino


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