L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Indice articoli

Riflessioni intorno a un Oratorio Giornalistico

Nel 1969 la mafia rubò la Natività di Caravaggio.

Non fu solo un fatto criminale. 

Fu anche un fatto simbolico.

Quel quadro ci è stato tolto.

Quella nascita ci è stata negata.

Quel bambino è andato perso.

È morto.

Quando muore un essere amato il lutto investe il tempo di cui abbiamo bisogno per ordinare, calmare, riaccordare la nostra memoria al mondo della sua assenza. Tutti i nostri sensi si organizzano per comporre un indispensabile catalogo di dettagli di chi abbiamo amato, per non dimenticarlo e per placare la pressione che il morto esercita su di noi per non essere dimenticato. Non possiamo tenere con noi tutti quei dettagli: scegliamo. Selezioniamo.

È un’ attività faticosa, ma necessaria per la nostra stessa sopravvivenza.

E poi ci rechiamo sulla tomba della persona amata che sostituisce, nel mondo, l’evidenza della sua assenza, per piangere.

Tutto diviene più difficile quando una tomba non c’è.

Quando anche l’evidenza della morte ci è sottratta, ci rimane il dubbio. In questi casi la speranza di ritrovare chi ci è venuto a mancare diventa pericolosa: non fissiamo i dettagli perché ci neghiamo all’idea che non rivedremo mai più l’essere amato. Non ci rassegniamo. E così, aspettando il ritorno, non fermiamo nella memoria i dettagli del passato e, piano piano, la memoria si allontana e la perdiamo del tutto. Il tempo passa, la speranza si affievolisce e si consuma. E, solo infine, perdiamo pure la speranza.

In queste condizioni, l’esercizio di evocare ci permette di rideterminare un senso della memoria.

I quadri muoiono se non li si può più guardare.

Guardare.

Talia Talia.

Nel Caravaggio rubato c’era una stalla e una nascita.

C’erano sono una madre e un figlio, un bambino.

Nel Caravaggio rubato il ventre di Maria era un buco nero. Il bimbo e la madre si guardavano; la Madre, reclina sul suo bambino, sottraeva a noi i suoi occhi. I suoi occhi erano tutti per il figlio. Il Bambino era steso, già deposto, nudo a terra. Il loro sguardo era un mistero di amore e terrore.


Oltre a loro c’erano altre persone intorno, i testimoni del fatto: San Lorenzo, Fra Leone, Giuseppe.

E poi, c’era un angelo, che arrivava con l’annuncio di un oltre di un ancora e di un dopo.

Il Caravaggio Rubato risponde alla necessità di metterci di fronte a un’immagine che non c’è più, guardarla di nuovo, evocarla – appunto – attraverso il significato profondo della sua assenza. La Natività di Caravaggio non è più solo un’opera d’arte, ma – attraverso la sua assenza – si fa simbolo e manifestazione di bellezza oltraggiata.

La celebre tela è dunque il punto di partenza per questa drammaturgia in cui suoni e immagini cercano il quadro rubato, perdendosi nelle vie di una Palermo che per quasi un trentennio è stata scossa ferocemente da fatti di morte e di sangue per riemergere, a fatica, tra la gente di oggi, in una città che, nonostante tutto, non ha mai smesso di interrogarsi sulla propria identità e sull’orgoglio di un futuro senza Mafia.

Dal buio alla luce.

Dal silenzio alla musica.

Dal rumore alla parola.

Dall’immagine congelata al movimento.

 

L’Opera che ne è venuta fuori è un puzzle tenuto insieme da associazioni sottili, un percorso intuitivo, una sinestesia: guardiamo un quadro attraverso la musica.

Ogni momento della drammaturgia muove da uno degli elementi della Natività. Palermo è il luogo di questa narrazione, la nostra stalla.

Ho chiesto a Giovanni Sollima, Attilio Bolzoni e Letizia Battaglia di raccontarmi la loro Palermo a partire dalla loro relazione con il quadro violato.

Ho chiesto a Igor Renzetti di guardare Palermo con gli occhi di chi scopre un mondo che non conosce, senza pregiudizi.

Attraverso di loro ho conosciuto un mondo turbato dalla memoria, ma sopravvissuto al dolore,  pieno di luce e bellezza.

La musica di Giovanni, le parole e i silenzi di Attilio, le fotografie di Letizia e i video di Igor sono gli ingredienti di questo oratorio giornalistico in cui ogni elemento, nella sua specificità, cerca di mettere in relazione le parti fra loro, dandoci l’illusione di poter riempire l’odioso vuoto lasciato sull’altare dell’Oratorio della Compagnia di San Lorenzo.

Cecilia Ligorio

 


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.