Il sacro sorriso delle umane stagioni
di Roberta Pedrotti
Benedetto Marcello
Il pianto e il riso delle quattro stagioni dell'anno
Frigato, Biscuola, Giordani, Borgioni
Venice Monteverdi Academy
Ensemble Lorenzo da Ponte
direttore Roberto Zarpellon
registrato ad Asolo il 26 dicembre 2013
2 CD fra bernardo, FB1503177, 2015
“È del poeta il fin la meraviglia” e, si è tentati di dire, anche dell'Oratorio, genere che libero da convenienze e contingenze teatrali riesce, in età barocca, a osare i più alti voli retorici e creativi. Lo conferma l'arguzia del gesuita Giulio Vitelleschi, autore del libretto di un fantasioso Il pianto e il riso delle quattro stagioni dell'anno, oratorio in due parti per la morte, esultazione e coronazione di Maria Assunta in Cielo musicato nel 1731 da Benedetto Marcello.
L'allegoria religiosa che coinvolge il ciclo delle stagioni echeggia i miti di Persefone, o di Adone, o di Osiride, in cui la morte e ressurrezione, la permanenza negli inferi e il ritorno in superficie della divinità corrisponde al lutto della vegetazione e al risveglio primaverile. Ma, per come è trattata, ricorda anche ambienti fiabeschi e i venti o le stagioni personificati che agiscono nei racconti attorno al fuoco. Il tratto geniale apportato da Vitelleschi nel quadro allegorico della Natura che partecipa alla morte e assunzione di Maria è, però, in una sorprendente ironia, in un sorriso gustoso che resta sottotraccia ma innegabile là dove l'ignaro Inverno scende dalle Alpi e chiede alle altre stagioni ragione del loro pianto: ne ottiene solo metafore floreali e figure retoriche d'indubbio fascino e ricercatezza, ma talmente barocche da imporre al povero signore delle nevi di reiterare il quesito senza intendere le arzigogolate risposte. Ci vorrà quasi un'ora, una corposa porzione della prima parte, per arrivare al fatidico verso “Ferma, t'intesi, oh Dio, morta è Maria”. Non manca l'autentico pathos, non manca l'altezza del pensiero religioso, ma proprio questo rente straordinario il sottotesto ironico di questo Oratorio, che, naturalmente, trionfa in palese letizia nella seconda parte, dedicata all'assuzione. Allora la simpatia che le figure allegoriche già ci avevano accattivato rende ancor più autentico e fragrante, meno retorico e più gustoso, il giubilo.
Con tale testo, naturalmente, Benedetto Marcello ha buon gioco a far sfoggio di musica imitativa dei caratteri anche atmosferici dei personaggi, incarnati da un ottimo quartetto vocale: Silvia Frigato ha la freschezza realmente floreale che ci si aspetta dal canto della Primavera, contrapposto all'ubertoso calore contraltile di Elena Biscuola, l'Estate; Raffaele Giordani, tenore, è un Autunno franco, capace di evocare umori di vendemmie e aromi di caldarroste, Mauro Borgioni sa coniugare l'autorità del freddo inverno con il suo spirito protettivo e bonario. Tutti dicono il testo con chiarezza, sanno mantenere l'ironia sottotraccia senza mai tradire il carattere sacro e la sincera partecipazione al soggetto, nella gioia e nel dolore, figure retoriche cui i riflessi di commedia non sviliscono il tema, ma ne accentuano l'umanità e, quindi, la verità. Con sofisticata, intellettuale meraviglia.
Buona la prova corale della Venice Monteverdi Academy e quella strumentale dell'ensemble Lorenzo Da Ponte sotto la direzione di Roberto Zarpellon, eccellente il valore della proposta, che, però, non sembra troppo fiduciosa nel pubblico italiano: i testi sono solo in tedesco e inglese, ma non manca il piacere di godere del libretto di Vitelleschi stampato nero su bianco nel nostro idioma.