L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La Passione secondo James Newton

 di Carla Monni

 

Compositore, flautista tra i più grandi della scena internazionale ed erede del polistrumentista Eric Dolphy, James Newton presenta la prima mondiale della sua Passione secondo Matteo al Torino Jazz Festival.

Torino, 30 maggio 2015 – Nel 2005 Il compositore californiano James Newton decise di comporre una trilogia di grandi opere sacre: una messa, una Passione secondo Matteo e una composizione ispirata al Salmo 119 per voci soliste, coro e orchestra. La Messa fu rappresentata nel 2007 al Metastasio Festival a Prato, mentre la prima statunitense – una versione corale più allargata – è stata rappresentata nel 2011 con Grant Gershon che ne ha diretto la Los Angeles Master Chorale al Walt Disney Concert Hall. Negli anni, Newton e Gershon condussero una serie di concerti al Walt Disney Concert Hall, in cui esplorarono tra l'altro le opere sacre di Duke Ellington e Mary Lou Williams. È grazie anche allo studio delle musiche ellingtoniane che in Newton si rafforzò la convinzione di comporre una musica sacra mescolata alla tradizione jazzistica. Finalmente il connubio musica classica e jazz è arrivato con la prima assoluta della Passione secondo Matteo per voci soliste, coro e orchestra da camera e sezione ritmica jazz, una produzione originale del Torino Jazz Festival nell'ambito, tra l'altro, della rassegna Note per la Sindone. Ancora, alla conduzione dell'orchestra – questa volta del Teatro Regio – è Grant Gershon, mentre il coro del Teatro Regio è diretto da Claudio Fenoglio.

Quello di Newton è stato un lavoro lungo e di profonda ricerca iniziato nel 2010. Si recò infatti a Gerusalemme, Israele, in Arkansas – dove risalgono le sue radici familiari – e al sud più profondo dove studiò le origini del blues. Il suo lungo viaggio continuò poi al Museo dei diritti civili e alla Beale Street a Memphis e al Delta Blues Museum di Clarksdale in Mississippi. Studiò gli scritti – tra gli altri – di Howard Thurman e Thomas Merton, scrittore e religioso americano il cui focus sulla potenza dell'amore di Cristo per l'umanità è stato di grande stimolo per la composizione della Passione. Jesus and the Disinherited di Thurman ha fornito una potente visione di Gesù come parte di una minoranza oppressa sotto il dominio disumano di Roma. Nel suo libro l'autore traccia un forte parallelismo tra l'oppressione ebraica al tempo di Gesù e la schiavitù degli afroamericani negli Stati Uniti. La tesi di Thurman ha fortemente influenzato la Passione di Newton, che vuole farsi portavoce degli schiavi neroamericani, non dimenticando la lezione di Ellington, secondo cui le voci dei suoi antenati hanno dovuto subire la valle disumana della schiavitù americana, una brutalità che Martin Luther King Jr. – altro punto di riferimento fondamentale per il compositore – profeta e uomo intellettuale che ha compreso la sua Nazione, si è battuto vivamente per sconfiggerla in ogni sua forma.

 

La Passione riprende i capitoli 26 e 27 del testo evangelico sinottico di Matteo, in cui si racconta il cammino verso la morte e la risurrezione di Gesù che sta al vertice teologico e dottrinale del Vangelo. Newton è legato profondamente alla fede e alla politica, e la creazione della sua Passione nasce in primis dall'idea di un nesso tra il Vangelo secondo Matteo e la schiavitù dei neroamericani. Ciò che è centrale in queste due realtà – lontane migliaia di anni – è infatti la fede, l'avvicinamento a Dio che ha dato speranza a quei popoli. Non è un caso dunque che accanto al jazz e alla classica la Passione sia impregnata di blues e spirituals, generi così profondi e pieni di sentimento, facenti parte della cultura afroamericana, radici stesse del compositore. Il linguaggio musicale della Passione si basa dunque su Spirituals, Contemporary Jazz, musica classica contemporanea, musica Gospel così come la musica del Medio Oriente e dell'Africa occidentale e centrale. Come racconta Newton, la musica rispecchia la polifonia e le pratiche poliritmiche di gruppi culturali viventi la foresta dell'Africa Centrale, e al pari di Eric Dolphy e John Coltrane, il compositore ne esplora e ne integra elementi compositivi e improvvisativi tipici del loro linguaggio.

Inoltre dal punto di vista compositivo e testuale, le influenze musicali dell'opera, oltre ai già citati concerti sacri ellingtoniani, sono il Saint Martin De Porres, prima traccia dell'album “spirituale” Black Christ of the Andes della pianista jazz Mary Lou Williams; l'opera in tre atti e otto quadri Saint François D’Assise diOlivier Messiaen, la Nona Sinfonia di Gustav Malher, i brani gospeliani Dark Was the Night, Cold Was The Ground e God Moves On The Water di Blind Willie Johnson e la Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach.

Sia le musiche di Bach che di Johnson – ma anche quelle di Webern e di Mozart – vengono riprese anche nel film del 1964 Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, uno dei primi ad utilizzare diversi stili musicali che per quegli anni furono una novità. Il regista si focalizza sui volti degli attori – non professionisti – per far emergere piuttosto la loro interiorità. Non è infatti il fisico dei personaggi a dover risaltare, ma piuttosto la parola di Dio, ciò a cui mira lo stesso Newton, che nella sua Passione la parola deve ovviamente balzare alle orecchie.

L'opera è suddivisa in 27 “scene” – dall'annuncio della consegna di Gesù, al rinnegamento di Pietro, sino all'ordine di Pilato e dei sommi sacerdoti di sigillare il sepolcro – inframezzate da parti strumentali originali, spirituals e intermezzi corali a cappella. Le parti cantate rispettano interamente il testo evangelico, apparendo in questo modo un po' meccaniche, al contrario della Passione bachiana, arricchita dalle arie originali di Picander. Ma conformemente a Bach, Newton sfrutta gli strumenti ed escogita alcuni accorgimenti per enfatizzare le parole del testo, per esempio le scale ascendenti che intona il pianoforte mentre Gesù incita i “peccatori” ad alzarsi; oppure alla frase “posso distruggere il Tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni” i fiati e le percussioni che esplodono creando una vera e propria trama tensiva; le note più gravi del trombone per sottolineare la parola “morte” o i cromatismi e le dissonanze per sottolineare l'arresto di Gesù; e i numerosi glissandi al pianoforte quando il popolo intona “lo crocifiggono!”. La folla è interpretata dal coro – le cui voci armonizzate procedono spesso a canone – come anche altri personaggi, dagli apostoli durante l'ultima cena, ai singoli come Pilato e Giuseppe di Arimatea. Alla voce tenorile di John Bellemer è affidato il ruolo dell'Evangelista, forse unico vero raccordo – anche musicale – della storia, mentre Gesù è interpretato dal baritono Roberto Abbondanza. Numerosi sono gli strumenti a cui Newton affida una parte solistica, e in particolar modo al flauto, strumento al quale il compositore è ovviamente molto legato. Centrale è il momento della resurrezione dove lo strumento assieme agli altri fiati prorompe con trilli e note acute per rappresentare l'attimo di “liberazione”. Per quanto Newton abbia voluto mirare a qualcosa di creativo che possa entrare nella composizione classica, integrando un nuovo approccio ritmico quale è l'inserimento del trio jazz, la sezione ritmica è apparsa un po' serrata, soprattutto la batteria di Jonathan Pinson, in vista soprattutto quando marcava gli accenti delle parole del testo.

La Passione secondo Matteo newtoniana, dal punto di vista ideologico e artistico, è per il compositore l'opera più importante che abbia mai scritto, come lo è stata la suite Black, Brown Beige per Ellington. A Newton si riconosce comunque il merito di essere stato l'unico, ad oggi, ad aver scritto una Passione intrisa di jazz, nonché il primo afroamericano a comporne una. “[...] il compositore e l'improvvisatore del XXI secolo coincidono nella stessa persona, ora con una consapevolezza più completa del suo ruolo in una cultura globale. [...] Questa visione sul percorso di una world music è nella natura di Newton”, Stefano Zenni nelle note di copertina del disco As the Sound of Many Waters.

ph Cristiano Bellazzo © Torino Jazz Festival


 

 

 
 
 

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