L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Zoraida che visse due volte

di Roberta Pedrotti

La coproduzione italo-irlandese per Zoraida di Granata, dopo il debutto della versione del 1822 a Wexford lo scorso anno, approda a Bergamo per il bicentenario della versione del 1824: nel cast spiccano Cecilia Molinari e Konu Kim.

BERGAMO, 16/11/2024 - Se Roberto Devereux è una virtuosa collaborazione con la provincia felix (in questo caso il Sociale di Rovigo), per il festival donizettiano di Bergamo Zoraida di Granata rappresenta un vero e proprio tandem internazionale con il festival di Wexford, in Irlanda, che ha proposto lo scorso anno la prima versione dell'opera (1822 - leggi la recensione) in un allestimento che ora, nella città natale del compositore, si rinnova per la revisione del 1824. Si inserisce, così, nel ciclo #donizetti200, che seguendo i bicentenari dei debutti permette di apprezzare l'evoluzione del genio bergamasco.

Rispetto alla Zoraida ascoltata a Wexford, la differenza più rilevante si trova nell'assegnazione della parte di Abenamet a un contralto en travesti. L'opera, infatti, era stata concepita sul modello già rossiniano dei due tenori rivali, con Domenico Donzelli nei panni del cattivo Almuzir e in quelli del buono Abenamet Amerigo Sbigoli. Questi, però, nel tentativo di superare il più celebre collega forzò troppo il suo strumento, causandosi un'emorragia che lo stroncò prima della prima, ereditata in extremis dal contralto Adelaide Mazzanti. Ci fu tempo solo per qualche aggiustamento necessario, mentre due anni dopo Zoraida venne ripresa con la diva Rosamunda Pisaroni e ovviamente la parte venne riscritta ad hoc. Per l'occasione il librettista che collabora con Donizetti è Jacopo Ferretti, ben più scafato del buon Bartolomeo Merelli che lo aveva preceduto nel '22, impresario straordinario (oltre a Donizetti scoprì anche un certo Giuseppe Verdi...) e drammaturgo mediocre. Nel fornire Abenamet di un ampio rondò finale, Ferretti cerca anche di salvare il salvabile di un finale puramente ideologico, in cui il re, seppure usurpatore e reo riconosciuto di tre ore di continue nefandezze, continua beatamente a regnare indisturbato (dopo i moti del '21 è sempre meglio ribadire che i sovrani non si toccano per nessun motivo). Rispetto allo sbrigativo epilogo di Merelli, ora abbiamo Abenamet che addirittura rinuncia all'amata sostenendo che, benché abbia accettato di sposare Almuzir sotto ricatto, deve comunque tener fede alla promessa; tale proclama d'onore tocca il malvagio che si redime, annulla il giuramento di Zoraida e le concede di coronare i suoi veri sentimenti. Un miglioramento drammaturgico senz'altro, ma la redenzione di un malvagio non riesce comunque a essere redenzione completa per un testo il cui condizionamento politico resta difficile da restituire alla sensibilità attuale.

Al di là delle differenze testuali, lo spettacolo irlandese si giova degli spazi più intimi del Teatro Sociale, la cui struttura si fonde assai bene con la scena di Gary McCann e permette di apprezzare ancor più le belle luci di Daniele Naldi. La regia di Bruno Ravella che a Wexford era parsa poco convincente nella gestione attoriale qui appare più fluida ed efficace.

Già apprezzato a Wexford, il tenore Konu Kim conferma le sue ottime qualità di cantante e interprete in una parte piuttosto bassa rispetto alla sua vocalità e, pure, dominata con sicurezza, accento autorevole e un ottimo registro acuto sfoderato a dovere. In terra madrelingua italiana si fa notare in misura maggiore qualche fonema un po' esotico che un buon lavoro continuativo potrà correggere senza troppe difficoltà.

Tutto nuovo è il resto del cast, a partire, ovviamente, dall'Abenamet en travesti di Cecilia Molinari, naturale nel canto come nella recitazione, nobile nel timbro, intelligente nell'accento, sensibile nella musicalità. Verrebbe voglia di ascoltarla come Tancredi o come Romeo, sebbene la voce non abbia quella polpa che s'impone subito nella scrittura ottocentesca: l'arte e la classe vincono, specie quando, come in questa occasione, i pesi vocali, strumentali e le dimensioni della sala son quelli ideali. Infatti anche Zuzana Marková, sebbene abbia acquisito negli ultimi anni una maggior rotondità, possiede un'innata delicatezza che la rende partner perfetta di Molinari. Il soprano ceco (ma sposato con il direttore italiano Giacomo Sagripanti e la pronuncia se ne giova) non si impone per virtuosismo nella cavatina del primo atto, ma, orbata in questa versione della preghiera sul patibolo, rende assai bene l'ostica e magnifica aria “delle rose” nel secondo, una pagina visionaria che è senz'ombra di dubbio la più interessante di tutta l'opera, la più indicativa della personalità del giovane Donizetti.

La spalla Enrico Casazza ha modo di mettersi in luce come violino concertante proprio nell'aria delle rose, ma per il resto, purtroppo, non si può dire che l'orchestra di strumenti d'epoca Gli Originali abbia brillato questa sera, confermando perplessità sul settore dei fiati già emerse negli anni scorsi. Ne fa le spese soprattutto la sinfonia, nonostante nel corso della recita la concertazione di Alberto Zanardi si dimostri solida ed equilibrata. Storico assistente di Riccardo Frizza, Zanardi ha seguito tutto il cursus honorum dal lavoro dietro le quinte agli spettacoli per le scuole per arrivare infine a uno dei titoli principali del cartellone: traguardo meritato, per di più con un'opera non semplice, non esattamente uno di quei titoli in grado di reggersi da sé quasi in ogni situazione. Ecco la dimostrazione di come la gavetta porti frutti concreti e meriti riconoscimento. Allo stesso modo è un piacere riconoscere le buone prove dei giovani selezionati dai corsi della Bottega Donizetti per parti di fianco da non trascurare: se, infatti, l'impegno di Almanzor (Tuty Hernàndez) è effettivamente ridotto a poche battute, il perfido Alì (Valerio Morelli) e la schiava spagnola Ines (Lilla Takács) devono affrontare arie che definire “di sorbetto” rischia di esser riduttivo. A loro si uniscono anche stasera i giovani del coro dell'Accademia della Scala, altra felice collaborazione del Donizetti.

Zoraida di Granata non sarà l'opera che contenderà a Lucia e all'Elisir i cuori del melomani, ma questo tandem italo-irlandese fra le due versioni ha appagato senz'altro i fedeli donizettiani con un progetto d'ampio respiro artistico e culturale.

Leggi anche:

Wexford, Zoraida di Granata, 31/10/2023

Bergamo, Roberto Devereux, 15/11/2024

Bergamo, Lucie de Lammermoor, 18/11/2023

Bergamo, L'ange de Nisida, 16/11/2019


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