Canta y no llores
di José Noé Mercado
Commuovente commemorazione del tragico terremoto che ha colpito il Messico nel 1985 con epicentro nella zona di Tletelolco (Città del Messico), luogo simbolo del sangue che ha scandito la storia del Paese. Il cast, tutto messicano, era diretto da Placido Domingo, trent'anni fa coinvolto personalmente nel drammatico sisma.
Città del Messico - Tlatelolco (Messico) 18 settembre 2015 - Il Requiem, o messa per i defunti, è una delle forme musicali che più si potrebbero identificare con il Messico nell'arco della sua storia e, beninteso, negli anni recenti. Posto che, più ancora delle morti naturali dei suoi abitanti hanno inciso quelle accumulare per guerras floridas1, sacrifici rituali, invasioni straniere, conflitti civili, disastri naturali, delitti di Stato, per le violente stragi del crimine organizzato.
La Plaza de las Tres Culturas, a Tlatelolco, custodisce questa opprimente energia di vite versate, se non altro per essere stata scenario del bagno di sangue messicano per mano degli spagnoli capitanati da Hernán Cortés nel 1521 e del movimento studentesco del 1968, proditoriamente emsso a tacere dal governo presidenziale guidato da Gustavo Díaz Ordaz. O per l'esser stato epicentro della desolazione e del terrore recati dal terremoto di 8.1 gradi Richter che annientò la città messicana la mattina del 19 settembre 1985.
Proprio qui, in questo sito a metà strada fra le vestigia archeologiche atzeche, il culto cattolico portato dai conquistadores e altri moderni edifici un tempo moderni residenziali per la classe media, si è reso un omaggio musicale alle vittime e ai soccorritori dello sciame sismico a trent'anni dalla tragedia che ha inflitto alla città diecimila morti e danni inqualificabili.
Vittima — avendo perso parte della sua famiglia con il crollo del condominio Nuevo León — e soccorritore — prima lo si vide contribuire personalmente alla rimozione delle macerie, poi raccogliere fondi —, lo straordinario Plácido Domingo è tornato a Tlatelolco non solo per salire sul podio della Orquesta Filarmónica de la Ciudad de México (OFCM) e concertare la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, ma anche per rinnovare il ricordo del dolore, non senza quello della solidarietà e della forza che hanno permesso agli abitanti di reagire alle avversità, al disastro, all'odore appiccicoso della morte.
Il 18 settembre scorso, da tre a cinquemila persone hanno sopportato la pioggia intensa e la canicola di fine estate che questa sera si sono quietate in accordo con le prime note della Messa funebre, iniziata sotto la direzione di José Areán, tuttora titolare della OFCM.
Dieci minuti dopo, Placido Domingo — questa figura già leggendaria dell'opera con centoquarantesette ruoli affrontati ed emblema della musica come cantante, direttore d'orchestra, direttore artistico, mentor di voci, mecenate e promotore d'iniziative benefiche — ha impugnato la bacchetta.
Una scintilla d'emozione è scoccata dall'orchestra, dal Coro EnHarmonia Vocalis, diretto da Fernando Menéndez, e dai quattro solisti messicani scelti per l'occasione: il soprano María Katzarava, il mezzosoprano Grace Echauri, il tenore Dante Alcalá e il basso Rosendo Flores.
Una vibrazione percorreva il pubblico seduto su sedie pieghevoli, benché ancora umide, o in piedi, o affacciato alle finestre e ai balconi degli edifici circostanti.
Le sonorità teatrali elaborate da Verdi — per cui quasi si dice che il suo Requiem, eseguito per la prima volta nel 1874 in onore di italiano Alessandro Manzoni, sia in realtà un'opera camuffata — si espandono fatali, tremanti, implacabili, liriche, per quanto un po' appiattite dall'amplificazione.
Maria Katzarava ha offerto un'interpretazione intensa e generosa, benché alcuni momenti del “Libera Me” potessero risultare troppo drammatici e foschi per la sua voce, tuttavia tinta di un carnoso vigore giovanile. Dante Alcalá è risultato impeccabile, con un “Ingemisco” focoso e ben compiuto. Echauri e Flores sogliono offrire prestazioni dignitore, e non hanno fatto eccezione in questa occasione. Il coro ha espresso l'entusiasmo di lavorare in una occasione di grande significato simbolico e sotto la direzione di una figura così celebre e ammirata.
Al termine della messa, una pioggia applausi e una grande emozione manifestata con l'apprezzamento. Ma per un pubblico non necessariamente di melomani classici l'evento poteva risultare incompleto.
“Que cante, que cante2”, chiedevano a Plácido Domingo, che con i solisti riceveva l'omaggio del locale Secretario de Cultura , Eduardo Vázquez y Cuauhtémoc Abarca, fondatore della Coordinadora Residentes de Tlatelolco. La scrittrice Elena Poniatowska, a sua volta, è salita sul palco per ricevere un riconoscimento all'inizio dell'evento. “Siamo su una piazza sacra. Qui stanno i nostri morti. Qui sono stati assassinati i nostri giovani”, aveva detto.
Plácido Domingo ha preso il microfono, ha ringraziato dell'affetto e si è scusato di non trovarsi in condizione di poter cantare. Ma ha promesso di tornare a Tlatelolco in una prossima occasione, con un programma più allegro che sia di buon auspicio perché le cose migliorino.
Dai maxischermi collocati ai lati della scena, si è potuto notare in dettaglio come mani anonime abbiano posto in capo a Domingo un sombrero de charro3. E subito la folla ha intonato per lui “Cielito lindo”.
Questo era l finale che mancava. Con lacrime e ossimoro incluso: “canta y no llores”4. Consiglio di spirito tutto messicano. Giusto dopo aver domandato al Signore l'eterno riposo per la sua moltitudine di morti.
1 O Guerre dei fiori, scontri fra la triplice alleanza atzeca e le città stato nemiche.
2 "Canta! Canta!"
3 Tipico copricapo messicano
4 "Canta e non piangere"
foto Antonio Nava / Secretaria de Cultura