Un proscenio per nuove leve
di Michele Olivieri
Confezionato dal Direttore Frédéric Olivieri, il Gala della Scuola di Ballo della Scala ha unito con eleganza la tradizione e l’innovazione. La visione estetica ha illuminato gli elementi dei corsi accademici rendendo gli allievi dei novelli professionisti ancor prima del diploma, confermando la nobiltà dell’istituzione scaligera.
PIACENZA, 3 marzo 2024 – Questa recita pomeridiana della Stagione Danza 2024, nel 220° anniversario del Teatro Municipale, si è aperta con la suite dallo Schiaccianoci sulla ben rodata coreografia di Frédéric Olivieri con le musiche di Čajkovskij. Dal 2011 la creazione è uno dei fiori all’occhiello del repertorio della Scuola di Ballo della Scala. A Piacenza si sono visti il Valzer dei Fiori - che cattura con la sua cadenza ed è facilmente riconoscibile anche da chi non è propriamente appassionato, evocando il dischiudersi delle gemme – e il Pas de Deux. Il primo con Elisa Alieri, Stefania Boanta, Kevin Crapisi, Enrico Farina nei ruoli principali, ai quali si sono uniti Benedetta Boccini, Viola Borda, Chiara Cecconi, Arianna Cipolla, Eleonora Dal Pos, Elisa Grassi, Fabiana Laneve, Varvara Lobanova, Haruna Nagatake, Sara Petrosino, Allegra Pezzi, Himari Takazawa, Giovanni Bellucci, Francesco Della Valle, Alfonso Maria Guerriero, Francesco Mezzoli, Antonino Modica, Vincenzo Petronzi; il secondocon Maria Vittoria Bandini e Davide Alphandery. Senza rompere con la tradizione, i due estratti del celebre titolo hanno esaltato lo spirito incantevole-favolistico (assistenti alla coreografia Leonid Nikonov e Tatiana Nikonova, quest’ultima presente in teatro; costumi di spiccata artigianalità a cura di Roberta Guidi Di Bagno). In scena vigono il rigore, il duro lavoro e la composita dedizione. Pur nell’inevitabile evoluzione, rimane ben saldo il culto del passato a protezione della secolare disciplina accademica. Di questi tempi si assiste sovente a creazioni o rivisitazioni fantasmagoriche e provocanti, dove la bellezza plastica, la perfezione delle forme, la grazia delle movenze e l’armonia degli atteggiamenti cedono il passo a banali esercizi ginnici. L’Accademia della Scala è una garanzia nel restituire costantemente l’equilibrio e l’impegno vivo del teatro. Naturalmente si tratta di allievi e a loro è concesso il beneficio dell’incertezza e di alcune piccole imprecisioni tecniche, ma ciò non fa altro che aumentare la portata emotiva perché le leggi e gli ordinamenti della danza hanno quale fine ultimo il trionfo delle sensazioni, fervide, indeterminate e profonde, spesso per trasportare gli astanti fuori dalle brutture quotidiane lasciando abbeverare l’anima di sogni e virtù, innalzando il corpo al simbolismo fascinatore che ammanta il palcoscenico.
La prima parte è proseguita con due pezzi contemporanei firmati da Demis Volpi e Matteo Levaggi (quest’ultimo presente in platea). Il primo brano, intitolato Winter e ripreso da Damiano Pettenella con assistente alla coreografia Paola Vismara su musica di Antonio Vivaldi (costumi di Thomas Lampertz), ha lasciato spazio alla coppia formata da Benedetta Giuliano e Bruno Garibaldi che ha brillato per solidità tecnica, carisma accorato e delicata empatia. La creazione ha in sé un qualcosa di mitico, quasi fosse rappresentato un moderno Apollo e una contemporanea Diana che danzano in onore delle divinità propizie. Movenze plastiche, intrecci suadenti a raffigurare il corso degli astri e i principali fenomeni dell’universo. Una interpretazione che suscita curiosità, due fiori che sbocciano gesto dopo gesto con innocenza espressiva e luce profetica.
Il secondo, dal titolo Largo, ha portato il coreografo (con assistente Walter Madau presente dietro le quinte) a rivedere la sua creazione nata nel 2007 per infondere maggiore armonia alle proporzioni nel tessuto dinamico, grazie ai tre distinti momenti in cui l’eco della danza contemporanea ben si sposa ai codici accademici di quella classica sulla musica di Johann Sebastian Bach e nei costumi di Samantha Stella, che cercano la luce nel buio. In scena Daisy Libero, Francesco Della Valle, Alfonso Maria Guerriero, Elisa Alieri, Sienna Bingham, Enrico Farina, Sergio Napodano. Matteo Levaggi disegna linee geometriche dominate dal potere del nero, sostenendo un quadro rigoroso e ordinato, restituendo verità al corpo con ampia efficacia teatrale. I danzatori scelti vivono la creazione con apparente libertà di cui all’apparenza godono, drammatizzando i passi grazie a un lavoro febbrile in cui le membra vanno alla ricerca delle emozioni da trasmettere. Le innovative pose celebrano l’individualità e la forza della trasformazione culmina in una presa di coscienza collettiva dove il miraggio di un universo di chiarore si fa strada nell’assenza di colore. Levaggi è favorito dalla natura del proprio stile: la sua danza è veloce pur nelle pause, l’impronta di ricercatezza e la ridefinizione delle forme sono il suo biglietto da visita. Talvolta l’astrazione narrativa che invita lo spettatore alla sola bellezza esecutiva dell’arte, se ben realizzata come in questo caso, produce un effetto superiore.
Dopo l’intervallo il sipario si è aperto su un articolato estratto da Paquita, titolo storico che ha visto la luce nel 1846 a Parigi sulla coreografia di Joseph Mazilier e la partitura di Edouard Deldevez, ripresa nella versione del 1847 a firma di Marius Petipa in scena a San Pietroburgo e poi rimontata nel 1881 in una nuova rilettura con aggiunte musicali di Ludwig Minkus. Il balletto si svolge in terra spagnola durante l’occupazione napoleonica e l’eroina è Paquita, una gitana che in realtà è una nobile rapita dagli zingari in giovanissima età. La vicenda racconta la storia d’amore della protagonista per l’ufficiale francese Lucien d’Hervilly. Per lungo tempo nei teatri si sono ballate solamente le parti del secondo atto, in diversi allestimenti coreografici, ad esempio quelli di George Balanchine nel 1948 per il Grand Ballet du Marquis de Cuevas e nel 1951 per il New York City Ballet. Nel 1949 la leggendaria Alexandra Danilova montò una personale variante in un atto per il Ballet Russe de Monte-Carlo. Rudolf Nureyev nel 1964 danzò il ruolo dell’ufficiale con Margot Fonteyn a Londra. Quest’ultima creazione venne riprodotta nel 1970 da Marika Besobrasova per il Teatro alla Scala di Milano e nel 1970 a Salisburgo per l’Opera di Stato austriaca e infine nel 1971 per l’American Ballet Theater. Nel 2011 l’autorevole filologo della danza francese Pierre Lacotte infuse nuova linfa a Paquita restituendo per l’Opéra di Parigi numerosi dettagli originali andati perduti. A Piacenza Frédéric Olivieri ha scelto la versione di Petipa estraendo il Pas de Deux con Laura Farina e Sergio Napodano, il Pas de Trois con Benedetta Boccini, Haruna Nagatake, Antonino Modici, e le Variazioni con Stefania Boanta, Arianna Cipolla, Fabiana Laneve oltre a Elisa Alieri, Viola Borda, Sienna Bingham, Stefania Boanta, Chiara Cecconi, Eleonora Dal Pos, Anna Sofia De’ Berardinis, Elisa Grassi, Fabiana Laneve, Varvara Lobanova, Sara Petrosino, Aleksandra Piatko, Himari Takazawa (assistenti alla coreografia Leonid Nikonov e Tatiana Nikonova, costumi di Santi Rinciari). Paquita fa parte di quel periodo in cui il busto piegato leggiadramente innanzi mostra il volto sorridente a cui le braccia, graziosamente composte, servono da ghirlanda, lasciando intravedere deliziosi contorni: una gamba fine, forme squisite, e un piede acuto. Negli slanci delle fanciulle e nei salti dei giovani virgulti scorre l’enorme estensione della scena.
Come ci ricordano antichi testi, ai tempi della Imperial Regia Accademia di Ballo fondata nel 1813 gli allievi erano suddivisi per imparare i vari generi del ballo adattando a ogni singolo elemento quello che più e meglio conveniva alla sua figura e predisposizione naturale. Eseguivano soliloqui, dialoghi, scene e perfino atti interi onde formarli in tutte le più difficili manifestazioni dell’arte mimica connessa al balletto. Gli allievi erano obbligati, come lo sono oggi, a prender parte agli spettacoli della Scala e a imparare ancora in fase di studio ad affrontare palcoscenici prestigiosi e tournée in varie stagioni teatrali nazionali ed internazionali. Da questo contesto è derivata la fama della Scuola della Scala, che ha sempre vantato fino ad oggi un corpo di ballo preparatissimo.
Gli allievi da questo Gala piacentino sono usciti a testa alta e allo spettatore rimane la convinzione che il percorso professionale a loro destinato li porterà lontano. Insieme hanno dato prova di carattere, di orgoglio, di intensità nel gettare il cuore oltre l’ostacolo, trascinati dagli applausi (in taluni casi a scena aperta) che hanno risuonato nel maestoso Teatro Municipale diretto da Cristina Ferrari, situato anticamente nella Contrada di S. Maria in Cortina, chiamata poi dal 1894 Strada del Teatro e dal 1935 dedicata a Giuseppe Verdi.