Milano e la Scala celebrano Toscanini
di Pietro Gandetto
La Scala omaggia Toscanini con un concerto che vede, tra gli ospiti, il presidente Mattarella. Il programma spazia dalla settima di Beethoven ad alcuni brani di Verdi, tra cui l’Inno delle Nazioni, con la voce di Francesco Meli. Sul podio Riccardo Chailly.
Milano – 25 marzo 2017. I 150 anni della nascita di Arturo Toscanini, il Papa, i 60 anni della firma dei trattati istitutivi della Comunità Europea, le giornate FAI di Primavera. Insomma, di motivi per festeggiare a Milano, ieri, ce ne erano tanti. Alla Scala si è celebrato, ovviamente, in primis, Arturo Toscanini, la cui influenza sul teatro milanese è nota all’universo e.. in altri siti.
La storia del Piermarini è profondamente avvinta con quella di Toscanini. Oltre al noto rigore esecutivo e l’assoluta fedeltà al testo, il Maestro portò alla Scala una rivoluzione formale, imponendo il buio durante la rappresentazione e quel religioso silenzio che oggi molti improvvisati spettatori profanano; proibì l'ingresso ai ritardatari e tolse di mezzo i bis. E fu proprio lui a far passare alla storia Renata Tebaldi come voce d’angelo, quando nel concerto di riapertura del ‘46, la Tebaldi, solista nel Te Deum verdiano, era circondata dalle signore del coro e lui non la vedeva. Si arrabbiò tantissimo e esclamò qualcosa tipo “dov’è questa voce d’angelo? Fatemela venire avanti!”.
E di quel concerto ricordiamo non solo la voce d’angelo (difficile da dimenticare), ma anche il programma, parzialmente ripreso ieri: la Settima di Beethoven lo Stabat Mater e il Te Deum (dai Quattro pezzi sacri) di Verdi, concludendo con l’Inno delle Nazioni, composto per l’Esposizione Universale di Londra del 1862. Sul podio Riccardo Chailly, direttore musicale della Scala e del Festival di Lucerna, proprio come Toscanini.
A celebrare il grande direttore, una Scala tirata a lucido come se fosse il sette dicembre, con un tripudio di calle e rose rosse e bianche sul boccascena e il palco reale. Tra gli ospiti importanti, il presidente Mattarella e la figlia Laura, il ministro Franceschini, il sindaco Sala e il presidente Maroni (che visti i temi trattati, non ha avuto modo di far proiettare sul Pirellone alcuna scritta). C’era poi la trisnipote di Toscanini, Viola d’Acquarone, ultima discendente diretta del Maestro, musicista anch’ella, ma versata sul repertorio elettronico. Tra le inossidabili, Carla Fracci, Giulia Maria Crespi e Simonetta Puccini. Insomma non mancava nessuno.
Il concerto si apre sulle note dell’Inno di Mameli, ma è con la Settima di Beethoven - definita da Wagner, l’“apoteosi della danza” – che gli animi si accendono. La direzione di Chailly mette in luce un tripudio di accenti e slanci ritmici, anche se non sono mancati momenti più seduttivi di puro piacere melodico. È un Beethoven energico, scattante, se vogliamo “risorgimentale”, che però non inciampa in sbavature o imprecisioni. I tempi sono quelli che il direttore milanese non ha mancato di palesare sin dalla nota integrale delle sinfonie beethoveniane e l’orchestra della Scala gli sta dietro, con un virtuosismo e una pulizia di suono difficili da riscontrare. Il secondo tempo, quell'Allegretto considerato una delle migliori creazioni di sempre, è il momento musicalmente più coinvolgente della serata.
Dopo l’intervallo, è la volta dello Stabat Mater di Verdi, che si aggancia per continuità compositiva alla Messa da Requiem, ne condivide una grande attenzione alla parola, ben resa dal coro della Scala, l’ampio utilizzo di cromatismi, e le esplosioni drammatiche, che ieri sera erano talvolta eccessive per volume e non sorrette da un’analoga pienezza di suono. Infine, l’atteso Inno delle Nazioni - pagina tra le più brutte di tutto Verdi, che non fu certo agevolato dal testo dell’allora ventenne Arrigo Boito, intriso di un’ammiccante retorica inneggiante alla pace. Composta per l'Esposizione Universale del 1862 di Londra, pare che la cantata fu commissionata dapprima a Rossini che, saggiamente, declinò l’invito. Francesco Meli, in sostituzione dell’annunciato Sartori, si destreggia nell’impervia tessitura tenorile. Il coro, come sempre, canta Verdi come nessun’altro.
Circa sedici minuti di applausi, un’ovazione e, come bis, il finale dello stesso Inno.
foto Brescia Amisano