L’estasi nei giardini di Klingsor
di Antonino Trotta
Felicissimo debutto dell’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo, guidati da Gabriele Ferro, al Ravello Festival. Tra pagine di Zemlinsky e Strauss, spicca la prova di Maida Hundeling.
Ravello, 28 Luglio 2019 – Dopo questo serata certamente non si riascolterà il terzo movimento dell’Estate con lo stesso bagaglio emotivo di una volta: la cornice mozzafiato di Ravello, con i sontuosi giardini di Villa Rufolo a strapiombo sulle curve voluttuose della costiera Amalfitana che tanto ammaliarono Wagner, i profumi inconfondibili della macchia mediterranea e i colori vividi di un atollo ancora incontaminato, offre tutte le suggestioni necessarie a veder materializzarsi l’estasi del trionfo naturalistico descritto da Vivaldi, ma la pioggia estiva, decisamente più beffarda di quanto il Veneziano l’abbia immaginata, ci prova fastidiosamente a rovinare la serata. Pazienza, si rinuncerà al Belvedere, l’indiscutibile punto di forza che contraddistingue il Ravello Festival da qualsiasi altro festival italiano, ma il “belsentire” rimane inalterato quale prerogativa di una rassegna che di anno in anno rinnova e riconferma la propria qualità artistica senza mai affidarsi alle garanzie offerte dal prestigio del nome o dal luogo. In Campania, come del resto in tutt’Italia, non mancano certo le location affascinanti in cui ospitare festival e concerti – ricordo in passato di serate di musica sinfonica e opera al Teatro Grande di Pompei, da qualche anno a questa parte la Reggia di Caserta prova a instradarsi sul sentiero già battuto dalla rivale viennese –, tuttavia solo il Ravello Festival – per inciso, il più longevo della penisola dopo il Maggio Musicale Fiorentino – è riuscito a imporsi come punto di riferimento nel panorama dell’intrattenimento culturale estivo e quest’anno, giunto alla sessantasettesima edizioni, ospita alcune tra le migliori formazioni sinfoniche italiane. Domenica 28 luglio è il turno dell’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo che, sotto la guida certosina di Gabriele Ferro, debutta al festival con un programma pregevole dedicato a Zemlinsky, Smareglia e Strauss.
Si ammetta subito che l’auditorium Oscar Niemeyer, il “piano B” quando il cielo fa i capricci, non è parso essere il luogo più adatto ad accogliere una formazione di così tanti elementi – ad occhio una settantina –, viepiù se impegnati in un repertorio dall’orchestrazione così goduriosa e sfarzosa, ma non sarà certo la vicinanza ai complessi del Massimo di Palermo a ledere l’ascolto della Lyrische Symphonie op. 18, forse il lavoro meno sconosciutodi Zemlinsky. Modellata sulla falsariga della Lied von der Erde di Mahler, con evidenti influenze della Salome di Strauss – di cui Zemlinsky diresse la prima viennese –, la Lyrische Symphonie inanella una serie di sette quadri ricavati da altrettante poesie del poeta bengalese premio Nobel Rabindranath Tagore. Gabriele Ferro ben rende la natura spirituale del soggetto, ben lontano da una narrazione teatrale nonostante la continuità tematica del materiale letterario possa indurre in errore: la concertazione, attentissima all’incedere orchestrale e prodiga nella ricerca degli impasti timbrici, esalta l’estasi del sogno, inspessisce la filigrana contemplativa della composizione, si orienta verso una descrizione atmosferica e immateriale del racconto sinfonico, sempre iridescente in un tourbillon di intrecci strumentali controcanto e sottotesto delle impegnative linee vocali affidate a baritono e soprano. In questa impostazione vertiginosamente emotiva, amplificata invero da progressioni agogiche morbide seppur pronunciate, il finale dalla Salome di Strauss – dopo il brillante sorbetto offerto con l’ouverture dall’opera Oceàna di Antonio Smareglia – trova assoluta sublimazione. Nel ritrarre l’estasi della principessa giudaica Ferro sembra orientarsi più verso una visione neoclassica che decadente della scrittura, pur preservando la potenza emozionale del testo. Quella di Ferro è una lettura tutta rivolta alle raffinate sottigliezze del dettato straussiano, con un orchestra, in gran spolvero, sempre controllata anche nelle deflagrazioni sonore più consistenti e responsabile di un fraseggio eroico che ben si sposa con lo strumento esaltante di Maida Hundeling.
Soprano wagneriano nell’accezione più positiva del termine, con registro acuto solido e sciabolante impreziosito ovunque da un accento drammatico assai magnetico, un timbro seducente e un canto plastico – al netto di un lieve vibrato che si accentua nell’emissione a mezza voce – la Hundeling si impone senza dubbio come la scoperta più interessante della serata. Al suo fianco nella sinfonia di Zemlinsky, il baritono Thomas Gazheli offre da par suo una prova corretta, tuttavia più approfondita nell’interpretazione del testo che sfaccettata sul versante della linea vocale – bruttino il falsetto in chiusura del primo movimento della sinfonia –.
Al termine del concerto, che procede senza intervallo, applausi scroscianti per tutti. Qui nei giardini di Klingsor – o giù di lì – il successo, innegabile, è più che meritato.
Ravello Festival | ph Pino Izzo