L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Contemporanei di ieri e di oggi

di Alberto Ponti

Il terzo appuntamento di Rai NuovaMusica mette a confronto tre brani del Novecento con il recente concerto per quartetto d'archi e orchestra Absolute Jest di John Adams

TORINO, 13 febbraio 2020 - Il fascino della rassegna Rai NuovaMusica non consiste solo nel proporre opere di altrimenti difficile ascolto dal vivo ma anche nell'incentivo alla riflessione acceso da accostamenti audaci e originali, dietro i quali si possono leggere filigrane comuni o cogliere al meglio tratti distintivi di epoche e stili. E' questo il caso del concerto diretto giovedì 13 febbraio all'auditorium 'Arturo Toscanini' da Marco Angius, tra i più interessanti e dotati interpreti a livello internazionale del repertorio del secolo presente e di quello passato. Quattro gli autori in programma: due italiani e due statunitensi, tutti di primissimo piano.

Gli estremi anagrafici di Charles Ives (1874-1954) sembrerebbero ingannare sulla sua appartenenza alla contemporaneità. Eppure il breve Central Park in the Dark (1906, lo stesso anno della Kammersymphonie di Schoenberg) dimostra una sensibilità già modernissima nel gusto per l'accumulo apparentemente caotico di materiali eterogenei nel delineare una nuova concezione, quasi fisica, dello spazio musicale. La fissità immobile degli archi, i frammenti di canzonette leggere, gli squilli di una marcetta, gli accordi stonati dei pianoforti si intersecano con fragore crescente fino a collassare, dopo un punto culminante, nella quiete interrogativa iniziale.

Con un balzo di quasi settant'anni arriviamo al grandioso Duo pour Bruno (1974-75) dedicato da Franco Donatoni (1927-2000) alla memoria di Bruno Maderna. Qui la complessità nella scrittura tocca un livello di raffinatezza suprema, evidente con la partitura sotto gli occhi, ma intuibile anche all'ascolto. Il continuo lavorio tematico, basato su frammenti della canzone popolare veneziana La biondina in gondoleta, rende strettamente legati i due movimenti dell'opera che alterna momenti di lacerante e doloroso sconforto a episodi di sognante abbandono fantastico. La naturalezza del gesto di Angius non esclude una profonda cura del dettaglio, essenziale per la riuscita di questi pezzi. Il maestro ottiene un ammirevole grado di concentrazione nell'orchestra: i musicisti contano le battute prima di voltare le pagine dello spartito, attenti a non perdersi nessuna indicazione dal podio. Ad emergere alla fine è la compiutezza di un discorso che, attraversando i moti espressivi più vari e contrastanti, mantiene l'inconfondibile poeticità del linguaggio di Donatoni.

Una sottile e misteriosa poesia emana anche da A Carlo Scarpa, architetto, ai suoi infiniti possibili (1984), opera della piena maturità di Luigi Nono (1924-1990). Nella partitura l'omaggio del compositore veneziano all'illustre concittadino, autore di capolavori come il negozio Olivetti in piazza San Marco o il restauro del Castelvecchio di Verona, si nutre di riferimenti testuali e stringenti al personaggio, senza per questo risultare mai artificioso. Due sole note (do e mi bemolle), corrispondenti nella notazione tedesca alle iniziali di Carlo Scarpa, danno vita, nell'arco di 72 battute (tante quanti gli anni di vita dell'artista), a un dialogo con l'infinito di magnetica attrattiva, ottenuto con l'impiego di intervalli microtonali, che non disdegna uno sporadico raggrumarsi del suono in impasti di pungente fulgore prima di precipitare in trine strumentali diafane e aghiformi, ai limiti della percepibilità.

Quasi in opposizione alle sonorità stilizzate del trittico proposto in apertura, la seconda parte della serata era occupata per intero da un'ambiziosa, rutilante e recente pagina di John Adams (1947): Absolute Jest (2011-2012) in cui, accanto alla grande orchestra, interviene un quartetto d'archi amplificato, interpretato nell'occasione dai giovani componenti del Quartetto Henao: William Chiquito e Soyeon Kim ai violini, Stefano Trevisan alla viola e Giacomo Menna al violoncello. In un brano concertante sui generis, uno dei protagonisti del minimalismo americano abbandona in parte il suo stile tradizionale in favore di una maggiore articolazione contrappuntistica prendendo a prestito come trame e motti ricorrenti i temi di alcuni scherzi beethoveniani, da Quarta e Nona Sinfonia per approdare agli ultimi quartetti (op. 131, op. 135 e Grande Fuga op. 133). Sotto la patina di un incedere brillante e gagliardo, esplorato nelle minime sfaccettature dalla bacchetta di Angius e restituito con esemplare ricchezza di timbri e colori dall'Orchestra Sinfonica Nazionale, esce un Adams serioso e composto. L'operazione, intrigante da un punto di vista speculativo, pecca forse di spontaneità nell'espressione, quasi che la primaria preoccupazione del compositore consista nel far combaciare tutte le tessere di un perfetto mosaico intellettuale.

Non si può non ammirare, oltre il lato tecnico impeccabile, l'entusiasmo dei quattro giovani solisti che finisce per contagiare una platea trasversale in cui l'applauso dei ragazzi si mescola a quello delle generazioni precedenti. Nel breve bis (Vivace dall'op. 135) Beethoven appare l'ultimo contemporaneo in programma. I suoi ultimi quartetti sono le colonne d'Ercole del pensiero musicale occidentale. Dopo quasi due secoli, nessuno si è ancora spinto oltre.


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.