L’autunno della Rondine
di Francesco Lora
Al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino l’opera pucciniana torna nell’allestimento di tre anni fa, firmato da Denis Krief. La parte musicale, tutta rinnovata, appare oggi più lussuosa nei nomi – Marco Armiliato, Ailyn Pérez e Dmytro Popov – ma fa rimpiangere la vividezza passata.
FIRENZE, 22 settembre 2020 – La rondine di Giacomo Puccini data al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, nell’ottobre 2017, era stata uno spettacolo di poche pretese, molta simpatia ed esiti sorprendenti: compagnia di canto giovane e senza divi, ma affiatata come un organismo perfetto; allestimento scenico chiaro, pulito e vivificato dal fresco entusiasmo degli attori; concertazione affidata a un giovane direttore con quella partitura viva nel sangue. Dal 22 al 29 settembre, per quattro recite, è ora in corso la ripresa di quell’allestimento nello stesso teatro. Il chiaro di luna, però, è assai cambiato. Baci, abbracci e giri di valzer, nella regìa, nelle scene, nei costumi e nelle luci tutti firmati da Denis Krief, devono vedersela con il coronavirus: ecco allora la rassegnazione di costui a brevetti gestuali di erotismo a distanza, o un atto II dove si deve far finta di non notare le visiere in polimetilmetacrilato. La bacchetta di Valerio Galli, tre anni fa, era una festa di colori rutilanti ed estenuazioni, come di mezzetinte e sferzate ritmiche; oggi Marco Armiliato è concertatore di diverso segno: dirige a memoria dall’inizio alla fine e si fa amare dall’orchestra – in forma smagliante, come pure il coro – sia per la propria evidente sollecitudine tecnica, sia perché non pretende invero più dell’indispensabile.
Nel ruolo protagonistico di Magda, Ailyn Pérez – notevole carriera internazionale ma artista lontana dalle reali necessità e dai caratteri idiomatici dei teatri italiani – è graziosamente fuori parte: l’attrice dà luogo a un personaggio morbido, garbato e materno, là dove dovrebbe invece essere brillante e instabile, quello insomma che è pronto a fare l’amante ma non la moglie; il soprano, a sua volta, darebbe il meglio di sé nel calore del registro acuto, mentre la parte gravita sulla tessitura media del canto di conversazione e chiederebbe più netta pronuncia. Ruggero, il tenore, l’amoroso, avrebbe dovuto essere Roberto Aronica, rimpiazzato però in tutte le recite da Dmytro Popov, con la sua presenza impalata e smarrita, e con la sua vocalità languida e ingolata: un sostituto, insomma, e non un interprete di riferimento. Alla prima coppia dell’opera, così, dà filo da torcere la seconda, quella formata dall’acidula ma personale e vivacissima Lisette di Roberta Mameli e dal timbrato nonché esuberante Prunier di Francesco Castoro; hanno dalla loro una dote che li blinda in sicurezza: sono italiani e come tali sanno fare ciò che vogliono con la parola. Una dote riconfermata, con relativo profitto, nella lunga lista – la apre l’ingessato Rambaldo di Francesco Verna – di caratteristi e comprimari.