Niente teste, niente corpi
di Irina Sorokina
La nuova produzione dell'opera di Puccini a Bregenz rinuncia alla spettacolarità e al gigantismo a cui ci aveva abituati il festival lacustre. Convince la parte musicale, soprattutto nell'ottima prova del soprano Elena Guseva
Bregenz, 23 luglio 2022 - Sì, proprio così. Per più di dieci anni teste e corpi sono stati una specie di simbolo delle grandiose e fantasiose produzioni del Bregenzer Festspiele Bodensee, uno dei festival open air più interessanti e seguiti d’Europa, che attira decine di migliaia di spettatori soprattutto dall’area della lingua tedesca. Nella stagione del 2009-2010 si era assistito a una interessantissima Aida con la regia del compianto Graham Vick in cui una testa insieme a giganteschi piedi staccati era stata al centro della installazione scenografica; nel 2011-2012 era stato un vero trionfo della testa: per Andrea Chénier si era ispirato al celebre quadro dl Jean-Louis David La morte di Marat, la testa fasciata con gli occhi chiusi del rivoluzionario più cruente dell’epoca sporgeva dalle acque placide del Bodensee e serviva da scenario pieno di sorprese per l’azione; nel 2013-2014 tre draghi dai colori diversi facevano da guardiani a una collina verde speranza in Die Zauberflöte; nel 2015-2016 un’armata di guerrieri cinesi emergeva dalle acque del lago; nel 2017-2018 la scenografia della Carmen non prevedeva una testa ma gigantesche mani che gettavano le carte. Nell’anno 2019, con la nuova produzione di Rigoletto, si era segnato il ritorno della testa; al centro dell’installazione, forse la più impressionante degli ultimi anni, c’era quella di un clown con gli occhi vivi, capace di cambiare espressione, pieni di dolore, gioia, sarcasmo.
Nell’era dopo il Covid (non ancora del tutto scomparso) si cambia e i riferimenti al corpo umano spariscono del tutto dalla scenografia della nuova produzione del Bregenzer Festspiele: nella nuovissima Madama Butterfly lo scenografo Michael Levine sceglie una soluzione diversa, austera e delicata. Il dramma della geisha quindicenne pucciniana si svolge sulla superficie di un gigantesco foglio di carta di riso piegato, largo trentatre metri e alto ventitre, di superficie milletrecentoquaranta metri quadrati e di peso trecento tonnellate, di color bianco leggermente ingiallito. Nulla in più, solamente le onde del Bodensee che sembra lo accarezzino, nulla predisposto fortemente per la partecipazione della squadra di stuntman, acrobati aerei, da sempre la presenza fissa al festival. Nella nuova Butterfly il loro ruolo risulta piuttosto modesto, mentre il foglio di carta di riso ingiallito simboleggia l’animo delicato e ingenuo della fanciulla con l’uso delle luci raffinate di Franck Evin, accoglie le proiezioni video dei paesaggi giapponesi di Luke Halls ed è una “palestra” perfetta per B. F. Pinkerton dove esercitare l’egoismo e lo spirito imperialista. Alla sua entrata in scena il tenente della marina statunitense fa un buco triangolare nel foglio e dall’altro buco sventola la bandiera a stelle e strisce; evidentemente, all’americano chiacchierone non importa nulla della cultura della donna che intende sposare.
La solita e naturalmente attesa spettacolarità viene meno – ed è stata sempre molto presente nella produzioni degli anni precedenti. Michael Levine e il regista Andreas Homoki dell’Opera di Zurigo vogliono mantenere il carattere intimo dell’opera pucciniana, impresa piuttosto insolita e non facile a Bregenz. Il gigantesco foglio piegato concede lo spazio che si appoggia sull’acqua ai solisti e quello verticale agli stuntman, le figure dei personaggi si distinguono grazie ai colori sgargianti dei costumi di Anthony McDonald: blu elettrico per Pinkerton, giallo per Scharpless, rosa sdolcinato per Kate, arancione per la Butterfly e bianco per gli antenati spesso presenti in scena. Inaspettatamente, il lago che da sempre è uno dei protagonisti delle produzioni del festival (si ricorderà sempre il cadavere di Cavaradossi nella Tosca del 2007 che cadeva nelle acque evitando così ai soldati il compito di rimuoverlo, ma anche Amonasro in acqua fino al collo mentre ascoltava il dialogo tra Aida e Radames nell’Aida di Graham Vick) nella nuova Butterfly non viene sufficientemente considerato, nessun’atmosfera del porto di Nagasaki è rievocata, la nave che arriva non si vede e solo il principe Yamadori vestito di rosso “cammina” pomposamente sull’acqua, in realtà portato dagli stuntman quasi totalmente immersi nel lago. È per la prima volta che vediamo soffrire il lato tecnologico in una produzione del Bregenzer Festspiele per la scelta del regista e dello scenografo determinata, probabilmente, dal desiderio di mantenere il carattere intimo del dramma pucciniano.
Proprio questo carattere intimo “condanna” la nuova Butterfly ad un mezzo successo: il foglio di carta piegato “mangia” le figure degli artisti a causa della sua eccessiva grandezza e li costringe ai faticosi spostamenti da un punto all’altro. L’effetto più spettacolare ci aspetta al dramma concluso: fiamme vivaci divorano la parte destra del foglio, il cuore palpita, la mente continua a dubitare dell’efficacia della nuova produzione.
Ci sono sempre tre cast per provvedere a tante recite della nuova produzione del festival. Alla prima del 20 luglio hanno preso parte il soprano uzbeko Barno Ismatullaeva, il mezzosoprano italiano Annalisa Stroppa, il tenore lituano Edgardas Montvidas e il baritono americano Brian Mulligan: tutti hanno ottenuto il giudizio positivo dei colleghi giornalisti. A noi capita un altro cast capitanato dal meraviglioso soprano russo Elena Guseva circondato dal contralto britannico Claudia Huckle, dal tenore polacco Lukasz Zalesky e dal baritono canadese Brett Polegato, e anche loro risultano all’altezza. Come giustamente deve essere, sopra tutti c’è l’incredibile soprano russo Elena Guseva per cui il ruolo complesso della geisha giapponese che Mirella Freni chiamava “assassino della voce” non ha né segreti e non presenta problemi e quindi non la uccide ma, al contrario, mette in risalto tutte le sue grandissime qualità. Prima di tutto, la voce, ampia, lucente, ben timbrata e instancabile, e poi l’impressionante capacità di vivere il ruolo in tutte le sue sfaccettature. La Guseva non recita il ruolo della povera farfalla in cerca di emancipazione, lei è questa farfalla, cade nella trappola dell’avventuriero sessuale, percorre tutte le tappe del cammino doloroso e decide di porgli fine con autentica dignità. Mai melodrammatica e tanto meno falsa, sempre sincera e comunicativa, il soprano russo trasferisce queste sue caratteristiche artistiche nel suo canto, dalle linee ampie, sempre sul fiato, espressivo al massimo, ma senza un’ombra d’eccessivo sentimentalismo. Le due vette di questa interpretazione davvero coinvolgente capace di arrivare dalle prime note al cuore del pubblico sono “Un bel dì, vedremo” e “Tu, tu piccolo Iddio!”.
Zalesky e Polegato risultano somiglianti nella bravura vocale e nella qualità interpretativa, una cosa molto soddisfacente che rende giustizia al concetto pucciniano. Due voci belle e morbide, due linee vocali ben studiate ed espressive, due declamati vocali molto espressivi (al tenore si possono rimproverare gli acuti tesi e sforzati). Due attori consumati nei ruoli degli americani non cattivi fino in fondo, ma rappresentanti involontari della società razzista e imperialista.
Molto naturale e commovente e in possesso della voce importante per volume e bellezza Claudia Huckle nel ruolo di Suzuki, ben “allenati” ed efficaci tutti gli interpreti dei ruoli di contorno: Michael Laurenz – Goro, Patrik Reiter – il principe Yamadori, Levente Pall – lo zio Bonzo, Unnstein Arnason – un commissario imperiale, e ovviamente il piccolo Hikaru Seewald – il figlioletto della Butterfly.
Enrique Mazzola alla guida del Wiener Symphoniker ha già avuto l’esperienza di dirigere l’opera al Bregenzer Festspiele, conosce bene le condizioni imposte dall’opera al lago e non se ne sente minimamente in difficoltà. Si sa, l’orchestra a Bregenz suona al chiuso, al Festspielhaus, mentre i cantanti muniti d’archetto cantano all’aperto e vedono il direttore nel monitor. È stato all’altezza, Mazzola, con il suo coinvolgimento estremo nella musica pucciniana e con il suo gesto espressivo, non ha avuto un minimo problema di comunicazione con i cantanti e, soprattutto, ha ottenuto dai professori ricchezza timbrica e precisione ritmica non sempre raggiungibili viste le regole del gioco delle rappresentazioni del Bregenzer Festspiele all’aperto, senza parlare dell’appassionato “canto” di tutti gli strumenti. Il Prager Philarmonischer Chor diretto da Lukaš Vasilek e Benjamin Lack e il Bregenzer Festspielchor mantengono la loro altissima reputazione.
La prima del 20 luglio ha avuto un esito imprevisto, dopo un’ora la tempesta ha costretto gli artisti e una parte del pubblico cambiare location e l’opera è stata portata al termine in forma di concerto dentro le mura accoglienti del Festspielhaus. Al nostro spettacolo la natura ha mostrato la propria benevolenza e ha dato la possibilità agli spettatori di godere la nuova produzione del Bregenzer Festspiele con tutti i suoi pregi e i difetti.