Ad una ad una
di Stefano Ceccarelli
Il Teatro dell’Opera di Roma apre la nuova stagione con Dialogues des carmélites di Poulenc. Sul podio un ispirato Michele Mariotti; nel cast brillano, in particolare, Corinne Winters ed Anna Caterina Antonacci. La regia di Emma Dante regala momenti indimenticabili.
ROMA, 29 novembre 2022 – Chi dia anche una rapida occhiata al cartellone della nuova stagione (2022/2023) del Teatro dell’Opera di Roma non potrà non notare la particolare attenzione per il repertorio novecentesco (Poulenc e Janáček). Il Costanzi ha da sempre dovuto fare i conti con un dato di fatto: il pubblico romano è, tendenzialmente, conservatore, va più volentieri a sentire Aida che Wozzeck. E, si badi, non c’è nulla di male in questo. Nessun habitué dell’Opera, però, potrà essere uscito insoddisfatto dalla première della stagione: Dialogues des carmélites di Francis Poulenc.
La direzione artistica del Costanzi deve ritenersi giustamente soddisfatta della scelta complessiva dell’allestimento, una co-produzione con La Fenice di Venezia. Lo spettacolo funzione, ed anche molto bene, non solo sul piano delle maestranze musicali, ma anche su quello registico. Andiamo con ordine.
La direzione di Michele Mariotti illumina la partitura. Il direttore, particolarmente sensibile ai momenti più delicati del suono, possiede un gusto intimamente francese nel proporre i passaggi più arcani e al contempo sensuali della partitura di Poulenc. La cifra stilistica di quest’opera è infatti la presenza costante di una linea di musica sacra, sempre venata di malinconia, senso di terrore e morte. Mariotti riesce a rendere bene il senso dell’operazione artistica di Poulenc, che è appunto quella di dosare gli elementi sonori riconducibili al sacro mescolati ad una musica angosciante; nel far ciò esalta anche la linea delle voci, su cui è interamente costruita l’intera partitura. È una creatura delicata Dialogues des carmélites, che può risultare disorientante o, peggio, noiosa, se non diretta come si deve: e Mariotti legge la partitura con vividezza, stacchi, ritmi ed agogica sempre azzeccate.
Il cast vocale è a dir poco ottimo, ma le cantanti che più lasciano il segno sono, indubbiamente, Corinne Winters e Anna Caterina Antonacci. La Winters, grazie ad una voce sonora, squillante e perfettamente centrata, canta magnificamente il ruolo di Blanche, di cui esalta ogni sfumatura, segnando nettamente l’evoluzione del personaggio nel dramma. Se nel I atto il canto della Winters appare innocentemente squillante, come nei dialoghi e nei passaggi lirici di Blanche nell’àmbito famigliare, man mano tale canto trapassa verso un velo di maggiore terrore misto a rigore monacale (notevole la scena della stiratura con Constance), fino a giungere, nell’ultimo atto, nell’algida trasfigurazione della morte, durante la memorabile scena finale – di cui parlerò più avanti. Anna Caterina Antonacci è semplicemente sbalorditiva nel ruolo di Madame De Croissy. La Antonacci coglie con la sua voce espressiva e brunita ogni sfumatura del fraseggiare altero e ambiguo del personaggio; superba, peraltro, la recitazione nella scena della morte e della follia della madre superiora, dove la Antonacci appare irriconoscibile in scena e autenticamente delirante. Jean-François Lapointe canta la parte del Marquis De La Force, che gli calza a pennello per vocalità; v’è da notare che la voce si irrobustisce di volume man mano che la serata avanza. Bogdav Volkov canta un convincente Chevalier De La Force, perfettamente in sintonia con lo spirito di decadenza che caratterizza il personaggio. Ekaterina Gubanova interpreta una ragguardevole Mère Marie, vocalmente piena, con accenti materni e protettivi. Carattere indimenticabile, certamente, è quello di Constance, cantato con brio, ma anche profondità, da Emöke Baráth, dotata di una voce dall’emissione facile e duttile. Gli altri comprimari, del pari, hanno svolto un eccellente lavoro: Ewa Vesin (Lidoine), Irene Savignano (Mère Jeanne), Sara Rocchi (Mathilde), Krystian Adam (L’Aumônier du Carmel), Roberto Accurso (Officier), William Morgan (Commissaire), Alessio Verna (Le Geôlier) e Andrii Ganchuk (Thierry). Anche il coro di voci femminili fa buon lavoro nella parte delle carmelitane.
Uno spettacolo ben riuscito non può prescindere da una regia di qualità e quella offerta da Emma Dante colpisce per attenzione ai particolari, caratterizzazione dei personaggi e scene visivamente splendide. Le scene, a firma di Carmine Maringola, sono sì semplici nella loro costruzione, ma simbolicamente potenti ed evocative. La casa dei De La Force, per esempio, è scontornata da ritratti femminili ingranditi (elemento che ritornerà frequentemente) e da due lampadari di grandi dimensioni; il convento delle carmelitane, invece, è rappresentato da un imponente grata, che allude alla sua impenetrabilità: l’elemento della grata sarà sviluppato in vario modo. Impressionante anche la scena della cripta del convento, con l’imponente parete di teschi. I costumi di Vanessa Sannino sono cromaticamente ricercati, tutti in colori che risaltino sul fondo ossessivamente scuro che la Dante vuole come leitmotiv visivo di questa regia. Colpisce, in particolare, la scelta del costume delle monache: sembrano, infatti, quasi delle sacerdotesse in armatura, con un’aureola che allude ad un elmo, come se tali carmelitane siano l’estremo baluardo di difesa della religione cattolica. La regia della Dante è coerente con il libretto, attenta ai particolari e ben legata fra una scena e l’altra. Molti sono, infatti, gli elementi di raccordo durante l’intera performance – splendida la scena del crocifisso pendente sullo sfondo della grata, con cui si presenta al pubblico il convento, con una comparsa che funge da statua del Cristo, che ricomparirà anche nel finale. Del resto, la Dante non rinuncia a particolari che sono la sua cifra stilistica: ad esempio, l’idea di mettere in sedia a rotelle il Marchese, fatto che allude alla decadenza della casata, ironicamente contrastante con l’uso delle comparse nella prima scena, valletti indaffaratissimi nel fare tutto ai signori De La Force. Due sono forse le scene che più rimangono impresse: la scena della morte e della follia di Madame de Croissy, splendidamente interpretata dalla Antonacci, tenuta in camicia da forza con un crocifisso che dondola sinistramente alle sue spalle; e il finale. Vero coup de théâtre e momento clou della produzione è l’esecuzione finale delle carmelitane; la Dante le pone come figure eteree, votate al martirio, all’interno delle cornici dei quadri presentati fin dall’inizio nella casa dei De La Force. Ogni volta che una carmelitana è giustiziata, viene ricoperta da un velo bianco: si immagini l’angoscia di veder scomparire sotto una sindone, ad una ad una, queste suore carmelitane, sotto un suono sinistro che evoca la ghigliottina. La scena è tutta scura: solo le cornici e i teli candidi si stagliano sulla scena. Ad un certo punto è calata sul crocifisso la Winters, nei panni di Blanche, che è l’ultima a perire.
Gli applausi invadono il palco e rendono giustizia a questa produzione meritevolissima, che apre come meglio non si potrebbe la nuova stagione romana.