L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le età dell’amore

di Francesco Lora

Ovazioni trionfali per Der Rosenkavalier di Richard Strauss al Teatro alla Scala, con l’inedita direzione di Kirill Petrenko e la ripresa regìa di Harry Kupfer. Di vaglia il quartetto delle prime parti, formato da Krassimira Stoyanova, Günther Groissböck, Kate Lindsey e Sabine Devieilhe, senza dimenticare il cameo di Piero Pretti.

MILANO, 12 ottobre 2024 – Non c’è bisogno di varare un nuovo allestimento scenico del Rosenkavalier di Richard Strauss, per renderne memorabili le sei recite, tuttora in corso, dal 12 al 29 ottobre nel Teatro alla Scala: a farle speciali basta il debutto operistico milanese del loro concertatore, Kirill Petrenko, preceduto dalla santità di tenere la cattedra dei Berliner Philharmoniker e assai selettivo circa le altre istituzioni con le quali impegnarsi. Il miracolo atteso si verifica con puntualità ed è fatto più prezioso dalla capacità di sorprendere. Se infatti l’orchestra e il coro scaligeri costituiscono il paradigma mondiale della fonica all’italiana, Petrenko nemmeno tenta di convertirli alle sonorità germaniche che pure sono il suo quotidiano, bensì plasma su di essi un Rosenkavalier forse mai ascoltato più vivido di colori e più latino di abbraccio, più incentrato sugli archi anziché su legni e ottoni, più cantabile e fragonardiano secondo appunto il mozartiano sound apparecchiato da Strauss. Ascoltando, si giurerebbe che né Berlino né Dresda né Monaco né Vienna potrebbero reggere, con le loro miracolose orchestre, il confronto con le compagini della Scala; poi ci si morde la lingua ad averlo quasi affermato; ma non v’è dubbio che una lettura simile sarebbe impensabile, per irripetibilità di mezzi e giustezza di contesto, al di fuori di Milano.

Un solo cruccio accompagna questo Rosenkavalier, come del resto, in forma diminuita poiché meno deliberata, tutte le precedenti esecuzioni internazionali date da Petrenko. Prevale di gran lunga – si vuol dire – il lato solare, sorridente e spensierato, quello di una commedia dove si può risolvere tutto scrollando bonariamente le spalle verso gli scherzi di una folle journée degli affetti. Arretra dunque, e quasi sparisce, la corona di spine che nello svolgersi di quest’opera punge a più riprese, tra cuore, fegato, stomaco e cervello, lo spettatore il quale nella propria vita abbia provato le pene d’amore e s’identifichi prima con l’adolescenza di Sophie, poi con la giovinezza di Octavian, quindi con l’appassimento della Marescialla, infine – forse, e non si sa se auspicabilmente o meno – col libertinismo del Barone Ochs. Si tratta in definitiva di un Rosenkavalier che innamora lusingando e accarezzando, alla maniera composta e classica di Apollo, ma non si presta a concedere il perverso piacere del morso, alla maniera imprevista e romantica di Dioniso.

Per fortuna e magari non per caso, l’allestimento ripreso è quello con regìa di Harry Kupfer, scene di Hans Schavernoch e costumi di Yan Tax, ambientato sotto l’impero di Francesco Giuseppe, proveniente dal Festival di Salisburgo e già applaudito alla Scala nel 2016. Se nelle precedenti occasioni si era combinato con la lettura di Zubin Mehta, fedele alle antiche tradizioni della Staatsoper di Vienna e poco interessato ad assecondare i nuovi spunti drammaturgici di Kupfer, con Petrenko esso incontra invece una singolare comunità d’intenti. Un esempio valga per tutti: sul postludio strumentale all’intera opera è prescritta la squisita pantomima del bimbetto moro che, al servizio della Marescialla, va in cerca del fazzoletto da lei perduto, lo trova e corre fuori a riportarglielo; in Kupfer, il bimbetto diviene però un valletto africano dell’età di Octavian, segretamente innamorato della padrona, avido nel cercarne il profumo dentro la seta e con qualche presumibile referenza inguinale; insomma: quella Marescialla cui Petrenko fa dire l’ultimo «Ja, ja» quasi con noncuranza, là ove tale assenso dovrebbe significare in lei lo svanire dell’età dell’amore, quella Marescialla – si diceva – piace saperla prossima a una consolazione inaspettata; inaspettata e petrenkiana.

La compagnia di canto talvolta conferma e talaltra rinnova quella di otto anni fa, così come talvolta si fa preferire e talaltra no rispetto al precedente assortimento. Ciò può beninteso accadere anche dentro lo stesso interprete nel trascorrere del tempo. Il Barone Ochs di Günther Groissböck, soprattutto, un decennio fa ebbe effetto rivoluzionario: tolse il monopolio della parte a Kurt Rydl, Peter Rose e Wolfgang Bankl, che mandavano simpaticamente avanti la stereotipizzazione del vecchio cialtrone arrapato, e restituì al personaggio il rozzo, sinistro, arrogante fascino del quarantenne menefreghista, tutt’altro che buttato fuori da un pur squallido agone erotico; recitava in modo irresistibile anche un’autoironica declinazione di sé stesso, come ben sa chi fuori dal teatro lo vedeva assediato da adoranti pensionate melomani; il problema – veniale – è che in otto anni Groissböck sembra essere invecchiato assieme al coetaneo Ochs, così da non dare nuova spinta al precedente esito e andare invece a rimpolpare la squadra opposta.

Chi non si sposta di un passo è Krassimira Stoyanova: una Marescialla invariabilmente forte, matura, matronale, tebaldiana, dunque vocalmente sicura ma scenicamente scevra delle pensose, aristocratiche nuances d’ordinanza. Sono inoltre tramontati gli anni durante i quali tuttissimi gli Octavian e quasi tutte le Sophie del mondo finivano in bocca a Sophie Koch e Christiane Karg, rispettivamente: a rilevarne la supremazia sono mobilitate, oggi, Kate Lindsey, spigliata più nel gesto che nel canto, con irruente realismo, ma in crescita dal primo all’ultimo atto, e Sabine Devieilhe, vaporosamente consapevole di essere nel presente il più rilevante soprano francese di coloratura. Di solida esperienza il Faninal di Michael Kraus, la Marianne di Caroline Wenborne, il Valzacchi di Gerhard Siegel e l’Annina di Tanja Ariane Baumgartner. Lussuoso il cameo di Piero Pretti come meta-musicale Cantante, italiano però più di tecnica e comunicativa che non di smalto e timbro, da preferire comunque al passato e fibroso Benjamin Bernheim. Accodate al tutto, ovazioni trionfali.

Leggi anche:

San Paolo del Brasile, Der Rosenkavalier, 5-13/08/2022

Monaco di Baviera, Der Rosenkavalier, 21/07/2022

Vienna, Der Rosenkavalier, 03/06/2017

Dresda, Der Rosenkavalier, 14/12/2014

Salisburgo, Der Rosenkavalier, 20/08/2014

Vienna, Der Rosenkavalier, 27/10/2013


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