Pianismo in simbiosi
di Antonino Trotta
Debuttano a Torino, per l’Unione Musicale, gi fratelli Lucas e Arthur Jussen: il programma accattivante e l’eccezionale affiatamento suggellano un trionfo festeggiato già a metà serata.
Torino, 16 marzo 2022 – Uno è pettinato, l’altro no. Per il resto Arthur e Lucas Jussen sono quasi indistinguibili, non solo per quei lineamenti e quei colori che inequivocabilmente palesano il legame di sangue, quanto per l’unitarietà del pensiero che governa un pianismo di coppia, alla prova del palcoscenico, entusiasmante. Un pianismo dove il perfetto sincronismo e l’assoluta coordinazione tra le parti – risultati di per se già eccezionali – sostengono una totale condivisione d’idee, di respiro, di fraseggio, di accenti, che più e più volte, durante il concerto, si ha come l’impressione che a suonare sia una persona soltanto – con mani molto molto grandi –. È l’obiettivo di un duo, si dirà, ma, quantomeno nelle alte sfere del firmamento musicale, questo tipo di formazione vive così spesso di soli rapporti occasionali che risultati di tale livello si registrano in pochissime altre occasioni – al di là delle sorelle Katia e Marielle Labèque, ora non viene in mente nessun altro –. Ospiti dell’Unione Musicale, i fratelli Jussen debuttano a Torino con un programma applauditissimo che, dopo una breve parentesi sul classicismo viennese di Mozart e Schubert, trova il punto di massimo splendore nel repertorio novecentesco.
La sonata in re maggiore per 2 pianoforti K. 488, in apertura di serata, è affrontata con la gioviale e baldanzosa franchezza che in fondo ci si aspetta da due rampolli del concertismo internazionale. La meglio gioventù, però, non è solo energia ed ebrezza, virtuosismo e slancio, così, tra l’Allegro con spirito animato con piglio deciso e un Allegro molto conclusivo trascinante, i fratelli Jussen incastonano pure un Andante – realmente andante – depurato da ogni manierismo di sorta in cui esaltano a meraviglia la galanteria e la dolcezza della scrittura mozartiana. Certo, qui e là questo Mozart, trionfo dell’eccitazione ritmica, appare a tratti pieno, un po’ avaro di colori e sbalzi – nel primo movimento soprattutto –, specie nel confronto con celebri incisioni. Ce ne siamo fatti una ragione, anche perché il successivo Allegro in la minore per pianoforte a 4 mani op. 144 D. 947 abbonda di dinamiche dalla prima all’ultima nota. Del quattro mani di Schubert i Jussen offrono una lettura appassionata, febbrile, capace di alternare a passaggi di intensa drammaticità zone di disincantato lirismo – non a caso il sottotitolo, romanticissimo, è Lebensstürme, tempeste della vita –, preservando sempre inalterato il mordente della serrata narrazione musicale.
Sono però La valse di Ravel e Le sacre du printemps di Stravinskij, nella seconda metà del concerto, a provocare al pubblico autentiche escoriazioni da applausi. Con gesti e movenze che lasciano trasparire una sconcertante naturalezza anche dinnanzi a poemi pestiferi come questi, Arthur e Lucas Jussen mettono ora l’impeccabile tecnica a servizio di una musicalità lucida e sopraffina che di battuta in battuta desta immagini mutevoli e sgargianti. Ravel è tutto un seducente gioco di aperture e collassi, di sospiri e affanni, di sensuali moti ondivaghi e violente esplosioni incendiarie che si susseguono ininterrotti grazia a un tocco che, pur costante nella sua fluida articolazione, può variare in peso e intenzione. Stravinskij è il trionfo del colorismo pianistico, della grandiosità espressiva, del testosterone, che sommandosi un un’opera come Le sacre non fanno sentire il pubblico mai orfano dell’orchestra.
A dar un attimo di tregua alle mani – nostre, non loro – due bis: Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit BWV 106 di Bach/ Kurtág e la Sinfonia n. 40 di Mozart in un ammiccante arrangiamento di Igor Roma che, anche per la freschezza e l’estro con cui poi richiama temi pop anche nostrani, mette la ciliegina su una torta preparata già a regola d’arte. Serata davvero elettrizzante ed ennesimo goal per l’Unione Musicale.Tori