L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Cantare con gli occhi

di Roberta Pedrotti

L'Attila in forma di concerto portato dal Festival Verdi nel Teatro Magnani di Fidenza desta l'entusiasmo del pubblico con le prove di Giorgi Manoshvili e Marta Torbidoni, nei panni del condottiero eponimo e di Odabella.

Parma, Macbeth, 26/09/2024

Busseto, Un ballo in maschera, 27-28/09/2024

Parma, La battaglia di Legnano, 29/09/2024

Fidenza, Nabucco, 26/09/2023

FIDENZA 3 ottobre 2024 - Alla fine le sorprese migliori sembra proprio che il Festival Verdi le riservi alle trasferte. Non che le due opere al Regio non siano andate bene, ma là dove si osa e si sperimenta di più si ottiene anche il meglio. Così è stato per la regia, l'allestimento e molte voci del Ballo in maschera, così è stato pure per Attila, in cui si è avuta la gioia di festeggiare con entusiasmo soprattutto i più giovani della compagnia. Non si trattava, però, di veri e propri rischi perché agli orecchi attenti le qualità di Giorgi Manoshvili e Marta Torbidoni non possono essere passate inosservate in questi ultimi anni. Le aspettative non sono andate deluse e anche chi li incontrava per la prima volta sul proprio cammino di spettatore sembra esserne rimasto conquistato.

Qualche anno fa sentii Michele Pertusi spiegare in un masterclass che non si canta solo con la voce, ma anche con gli occhi. Una lezione che Manoshvili sembra aver assimilato con un'impressionante predisposizione naturale: la dimensione raccolta del Teatro Magnani di Fidenza sembra fatta apposta per godere di un'interpretazione che, in forma oratoriale, passa anche attraverso sguardi fulminanti, eloquentissimi. Il basso georgiano ha un carisma innato e dimostra intelligenza, s'impossessa del palco e non lo lascia più. La dizione è ottima, l'intenzione vivida, la voce sempre timbrata, ricca di armonici, duttile nelle esigenze della musica. Quando ci si fa notare subito per la personalità, il gusto, il controllo e la qualità del proprio mezzo, mentre eventuali limiti (qualche estremo grave è meno sonoro: ma è un problema?) sono naturali anche in rapporto all'età, possiamo ben dire di trovarci di fronte a un fuoriclasse, che non potrà che crescere nel tempo.

Dopo l'Abigaille dello scorso anno, e passando per la Norma maceratese dell'estate [Macerata, Norma, 20/07/2024], Odabella ribadisce il valore di Marta Torbidoni. In linea teorica possiamo speculare sul fatto che tali parti siano da prendere con cautela, che sono un rischio, che lo spazio del Magnani può aiutare ma bisogna comunque essere prudenti. Poi, però, lei arriva e, qui come allo Sferisterio, canta benissimo, sicura, naturale, incisiva, forte o dolce quando serve. Allora, possiamo forse mettere da parte i principi assoluti sulle parti pericolose: pericoloso è cantare con una tecnica precaria, non avere consapevolezza di sé e della propria voce, cercare l'effetto e non la musica e la verità del personaggio. Tutti rischi che non sembrano tangere Torbidoni e se un dubbio ci viene, più di lei riguarda le direzioni artistiche. Logico che per il Festival Verdi la si coinvolga in opere come Nabucco o Attila, ma non sarebbe il caso (e non solo in sede di festival, ché la varietà e il valore dei titoli dovrebbero abitare stabilmente anche le stagioni regolari) di proporle altrove anche un Belisario, una Fausta, un Pirata? Lucrezia Borgia per fortuna a Bologna è già arrivata, ma si potrebbe pure ripetere. Quando abbiamo gli artisti, impegnamoli come si deve!

Anche Torbidoni canta con gli occhi, non solo come indomita vergine guerriera pronta a emulare l'eroismo di Giuditta, ma anche come collega complice dei compagni di palcoscenico. Infatti, per un'indisposizione del previsto Luciano Ganci, con pochissimo preavviso arriva a vestire i panni di Foresto Antonio Corianò e nel duetto del primo atto il gioco di sguardi con segnali d'intesa e di supporto è evidente, desta immediata empatia. L'emozione del tenore, balzato in scena praticamente senza prove (viste le tempistiche, si presume giusto qualche parola con il direttore), è palpabile, ma non impedisce di apprezzare un timbro e un accento ben adatti alla parte. Anche Anzor Pilia, Uldino, è indisposto e in sua vece troviamo Francesco Pittari, uno dei tenori comprimari di riferimento nel panorama attuale ed esperto della parte.

Baritono di carriera solidissima e di voce non meno salda, ben timbrata e baldanzosa, Claudio Sgura non entusiasma, tuttavia, come i giovani e rampanti basso e soprano. La sensazione è quella di uno iato stilistico in cui l'interprete di Ezio si faccia portatore di un'articolazione più affine al repertorio pucciniano e naturalista nel modo di porgere la parola e il legato, non sempre fluidissimo.

Gabriele Sagona è Leone, il vecchio che la storia ci dice essere papa nonostante la censura imponesse di tacerlo. Ottima la prova del coro del Regio preparato da Martino Faggiani e pure di valore la Filarmonica Toscanini.

Qualche distinguo, invece, si potrà fare sulla concertazione di Riccardo Frizza, che mette al servizio di Attila l'indole vigorosa e la dedizione al repertorio belcantistico, vale a dire la cura delle forme, con le riprese integrali delle cabalette, cui non sono negate le variazioni. La gestione dei tempi risulta, però, troppo spesso un po' rigida e schematica, con estremi che lasciano talora spiazzati, come nella dilatazione di “Da quel di che ti piansi caduto” e, soprattutto, nella corsa frenetica di “Oh, miei prodi! Un solo giorno”.

Al termine, in una serata umida e pungente che ci scuote bruscamente dopo le temperature elevate dei giorni precedenti, grandi applausi. Ed è bello uscire dal teatro soddisfatti soprattutto se ad accendere i maggiori sorrisi sono proprio i cantanti più giovani, con tanti anni ancora di crescita e carriera davanti a sé.


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