L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

In sì crudo momento

di Giuseppe Guggino

Per l’annuale rassegna “Belliniana” La straniera torna al Massimo catanese in forma di concerto sotto la direzione di Fabrizio Maria Carminati. I crudi momenti dell’opera sono affrontati ammirevolmente da Jessica Pratt, al debutto come Alaide, ben contornata da Franco Vassallo, Aya Wakizono e da un volenteroso ma acerbo Valerio Borgioni alle prese con alcune delle varianti alla parte scritte da Bellini per Rubini.

Catania, 23 settembre 2024 - Giunge alla sua quarta edizione “Belliniana”, l’ormai consolidata kermesse di settembre organizzata dalla Regione Siciliana che, grazie alla sinergia delle maggiori istituzioni musicali regionali, propone un cartellone di appuntamenti a ingresso gratuito ben assortiti fra spettacoli, concerti, tavole rotonde e retrospettive all’insegna del cigno catanese.

Come di consueto l’appuntamento di punta spetta al Teatro Bellini di Catania che, in corrispondenza dell’anniversario della scomparsa di Bellini, cura il titolo operistico della rassegna. Dopo la prima esecuzione della nuova edizione critica di Norma, dopo I Capuleti e I Puritani, la scelta per l’edizione 2024 cade su La straniera, in forma di concerto. Non v’è dubbio che, dopo i tentativi iniziali della kermesse monografica di proporre il tema del teatro di regia applicato alla drammaturgia belliniana – ricorrendo rispettivamente alle firme di Davide Livermore e Gianluca Falaschi con esiti non sempre convincenti ma certamente non privi di interesse – l’opzione della versione di concerto rappresenti una scelta di serietà rispetto alla mise en éspace dei Puritani varata lo scorso anno. Se non fosse, però, che il titolo più ingiustamente negletto del catalogo del cigno catanese sarebbe forse il meno idoneo ad una simile scelta, stante la sua peculiare cifra di radicalità sul piano drammaturgico in rapporto alle convenienze teatrali dell’epoca. S’è detto e scritto più volte – e non a torto – che La straniera è opera di “situazioni” (parola assai ricorrente nell’epistolario belliniano) e quindi di relazioni, nella quale i numeri solistici sono drasticamente ridotti a favore di quelli d’insieme, con una radicalità ancor più marcata che nel precedente Pirata. E – come già pionieristicamente osservato con acume da Friedrich Lippmann – si è di fronte alla realizzazione forse massima di quel binomio fra parola e musica che porta il compositore a sostituire il recitativo con l’arioso, attraverso una ricchezza di spunti tematici che forse non ha eguali nei titoli successivi. Il medesimo sperimentalismo si riscontra anche nelle forme dei numeri chiusi, quanto mai anticonvenzionali, con le poche arie spesso inglobate all’interno di numeri più articolati (si pensi al finale dell’opera, ma anche alla sortita di Alaide, cantata non in scena ma in quinta, in un sol tempo e saldata senza soluzione di continuità al successivo duetto con Arturo). Non solo. La forma di concerto impedisce la realizzazione degli effetti di spazialità del suono pensati da Bellini per la scena, con il coro chiamato a cantare anch’esso soventemente fuori scena. Per contro non è difficile comprendere l’insostenibilità della forma scenica per un appuntamento a recita unica, anche per un Ente che in occasione dell’inaugurazione della stagione 2017 varò un allestimento dalla riuscita cifra poetica (firmato allora da Andrea Cigni), la cui scena fissa consisteva in una grande piscina che sarebbe stato oggettivamente complicato rimontare in questa effimera occasione. Se però allora fu la volta dell’opera per la prima volta secondo l’edizione critica approntata da Marco Uvietta nella versione originaria “Milano 1829” (quella sostanzialmente tramandata nelle edizioni a stampa fino ai giorni nostri), in questa occasione l’edizione critica è declinata secondo la cosiddetta versione “Milano 1830”, allorquando l’opera fu ripresa dal Teatro alla Scala con la riconferma di Henriette Meric-Lalande, Caroline Unger, Antonio Tamburini e con Giovan Battista Rubini in avvicendamento al creatore della parte di Arturo, il giovane Domenico Reina. Esperimento forse non compiutamente riuscito – come attestato dall’epistolario belliniano, e dalla circostanza che Rubini ritornò solo occasionalmente su questo primo Arturo, al Théâtre italien nel 1834, mentre attendeva alla gestazione dell’altro più fortunato Arturo, ossia quello dei Puritani – il lavoro di adattamento riguarda essenzialmente la riscrittura di tanti “oppure” nella linea di canto tenorile che, pur senza innalzare significativamente gli estremi della tessitura, ne spostano il baricentro in una regione marcatamente più acuta. Le lezioni alternative si addensano particolarmente negli ariosi delle scene che non nei pezzi chiusi, con l’eccezione del duetto con Valdeburgo nel secondo atto, unico numero ad essere interessato da riscritture con modifiche ai piani tonali tali da renderlo forse ancor più interessante che non nella versione originaria. Probabilmente Rubini, in assenza di Bellini (recatosi a Venezia per la composizione dei Capuleti), non riuscì a innestare l’ideale del tenore romantico sulla sua vocalità angelicata, operazione quanto mai complessa che invece sembrò congeniale a un tanto giovane quanto strepitoso Gregory Kunde, nel 1993, al fianco di Renée Fleming e sotto la guida di Eve Queler, nell’unico esperimento finora tentato prima d’ora di riesumare la versione “Milano 1830”. A Catania a ritentar l’impresa per la seconda volta in tempi moderni s’impegna e non poco un altrettanto giovane ma acerbo Valerio Borgioni, sicuro di un timbro pregevole, ma meno convincente nel conseguire la quadratura del cerchio; difetta infatti l’espressività necessaria per amalgamare le opzioni parzialmente seguite della versione 1830 all’empito del personaggio nella concezione originaria, né è d’aiuto la pervicacia con cui interpola do acuti, come se solamente su quello si giocasse la partita.

Palpabile è il grande lavoro di preparazione di Jessica Pratt per il debutto come Alaide, il cui côté belcantistico concordemente riconosciutole è adoperato con perizia per realizzare legature, filati e roulades. Ad onta di una vocalità non del tutto congeniale al suo mezzo e a differenza delle colleghe di ascendenza lirico-leggera approdate alla parte fuori tempo massimo (si pensi a Patrizia Ciofi in disco o ad Annick Massis dal vivo ad Amsterdam), il soprano australiano ricorre a pochi adattamenti, peraltro di sorvegliatissimo gusto, e pochissime puntature, rimanendo ben concentrata nell’amministrazione della scrittura belliniana, restituita con adamantina luminosità e con un’omogeneità d’emissione che limita la fisiologica minore ampiezza dei centri. Parimenti accurata, anzi lussuosa, è la prova di Aya Wakizono, atteso che il personaggio di Isoletta non può assurgere al rango protagonistico, sebbene il secondo atto le riservi un numero di assoluto rilievo, articolato nella tradizionale infilata scena, cantabile e cabaletta, in cui il mezzosoprano nipponico si segnala per grazia, buon gusto e trasparenza nell’articolazione del testo.

Alle prese con la parte baritonale forse più bella mai scritta da Bellini si ritrova un più che affidabile Franco Vassallo in ottima forma, dall’emissione morbida che solo marginalmente nel duetto con Arturo si sporca eccedendo in qualche veemenza vecchio stampo.

Se con i comprimari Nicola Pamio, Gaetano Triscari e Riccardo Ferrari si scende un poco di livello, il Coro preparato da Luigi Petrozziello tiene alta la bandiera in una partitura che lo impegna in ben tre numeri dedicati, oltre che in entrambi i finali d’atto. Non sono da meno tutte le sezioni dell’Orchestra del Teatro Bellini e le rispettive prime parti, eccezion fatta per un flauto occasionalmente indisciplinato.

L’egida di Fabrizio Maria Carminati, che vanta ormai una certa assiduità con i complessi di cui da qualche anno è direttore artistico, consiste nella ricerca della giusta scansione delle situazioni musicali, capace di contemperare con pragmatismo il giusto sostegno alle linee di canto senza indugiare troppo nei dettagli che avrebbero richiesto un maggior lavoro di cesello, quindi una preparazione più distesa.

Successo pieno e incondizionato per tutti, con punte di ovazione per Jessica Pratt, nuovamente attesa a Catania per il debutto in Norma, per l’inaugurazione della stagione d’opera 2025.

 


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