Monodia, abbellimenti e precetti aristotelici
di Giada Maria Zanzi
Aristotelismo e pratiche canore rinascimentali
Il "canto passaggiato"
Altri abbellimenti
bibliografia
Per approfondire: Maffei e l'estetica della vocalità
Aristotelismo e pratiche canore rinascimentali
Per monodia (dal greco μόνος, cioè “solo”, e ᾠδή, vale a dire “canto”) si intende un canto, con o senza accompagnamento, a una voce: si tratta di una manifestazione dell’espressione musicale vocale assai vicina al parlato e tale spontaneità le ha concesso, nei secoli, ampia diffusione. L’apparente semplicità monodica cela un’innegabile complessità: nel Cinquecento, taluni musici e pensatori sottolineano la centralità del λόγος, ergo della parola, mentre altri rimarcano il potenziale della musicalità intrinseca delle voci. Nel secondo caso, l’emissione vocale veicola affetti indipendentemente dal testo intonato dai cantori: la voce è un’entità dotata di caratteristiche peculiari che la rendono irripetibile, essa è lo strumento di cui l’interiorità di ogni individuo ha il privilegio di avvalersi per estrinsecarsi e raggiungere i cuori altrui. In altre parole, in antitesi ad una concezione puramente razionalistica, abbiamo una voce che non necessita di un contenuto formalizzato in quanto è essa stessa il messaggio da trasmettere, immagine del messaggero, riflesso di chi la ode e che riconosce in essa anche una parte di sé.
Del potere derivante dalle proprietà di una voce cantante era convinto il filosofo aristotelico, musicista nonché medico galenico Giovanni Camillo Maffei da Solofra che esalta l’unicità delle voci nella lettera che apre la sua opera epistolare intitolata Discorsi filosofici del Signor Gio. Camillo Maffei da Solofra, libri due, dove tra gli altri bellissimi pensieri di filosofia, e di medicina, v’è un discorso sulla voce e del modo d’apparare di cantar di garganta, senza maestro, stampata per la prima volta a Napoli nel 1562.
La rilevanza della figura di Aristotele in epoca rinascimentale si riflette certamente in scritti come quello maffeiano: i precetti del filosofo di Stagira offrono fecondi spunti per riflessioni musicali e vocali improntate sulla metafisica dell’aria intesa come soffio vitale che anima i corpi e le voci. Porgere all’uditore un bel suono è capitale per Maffei (che con tale atteggiamento estetico manifesta la sua fedeltà alla morale di Aristotele: lo stagirita postula una coincidenza fra bellezza e virtù; la purezza di sonorità impostate ne garantisce l’efficacia, consentendo alla voce di toccare le più intime corde dell’animo umano) spirito cortese, che, nella cosiddetta Lettera sul canto,istruisce il lettore fornendogli poche e semplici regole per tutelare la propria voce ed educarla all’arte canora. Discorsi simili a quello contenuto nell’opera di Maffei, seppur rigorosi, metodici e sistematici, non si configurano come mere sequenze di norme.
La Lettera sul canto ha sicuramente la parvenza di un trattato, tuttavia la particolarità della sua stesura evidenzia la non convenzionalità dello scritto: l’intento di Maffei è dissipare i dubbi del Conte d’Almaviva, cui i Discorsi filosofici sono dedicati e presso la cui corte prestò servizio, a proposito della sfera vocale; l’illustre solofrano desidera aggraziare il suo cortigiano ideale con una voce degna di un gentiluomo e un animo puro.
Chiaro esempio di trattato musicale tardo-cinquecentesco è, invece, Regole, passaggi di musica, madrigali e motetti passegiati del compositore, cantante e teorico musicale Giovanni Battista Bovicelli.
Nell’opera di Bovicelli, pubblicata trentadue anni dopo rispetto ai Discorsi filosofici di Maffei, a Venezia, non sono solo codificati precetti inerenti il canto e l’improvvisazione: si ha la percezione che regolando l’arte canora si consenta all’uomo di accordare la propria voce al proprio spirito, in un clima di riscoperta di precetti aristotelici.
Bovicelli nasce ad Assisi, nel 1550 circa: Frate Francescano, attivo come cantore a Loreto e Roma, è raccomandato al Cardinale Borromeo dal suo protettore, il Cardinale Sirleto, affinché sia assunto, sempre come cantore, presso il Duomo di Milano. Nel 1597 risulta ancora attivo presso il Coro del Duomo milanese. Gli esatti luogo e data di morte di Bovicelli sono sfortunatamente ignoti. Le Regole sono indubbiamente la sua opera più significativa, incentrata su indicazioni circa abbellimenti che impreziosiscono l’esecuzione rendendola virtuosistica e esteticamente accattivante.
Il “canto passaggiato”
Alla fine del Cinquecento, la Camerata Fiorentina (esecutori e eruditi in fatto di teoria musicale, fra cui ricordiamo Giulio Caccini, e semplici amatori, che si incontrano per discorrere di arte e dalle cui discussioni hanno origine sperimentazioni, di cui Le Nuove Musiche cacciniane sono un importante esempio, che contribuiscono alla nascita, negli anni a venire, del recitar cantando) è fautrice un’importante rivoluzione del concetto di monodia, che ora consta di due parti, cioè aria e recitativo.
I due nuovi momenti della monodia risaltano la componente melodrammatica, anche se l’uso di tale termine è assolutamente anacronistico, insita in essa: ogni brano ha in sé la pulsante vitalità di una storia da narrare. L’aria è il lirismo della libera espressione delle passioni, mentre il recitativo è funzionale al allo svolgimento di una trama. Dunque, la monodia è sempre più proiettata al teatro d’opera, ma non solo. Il canto monodico non è esclusivamente lineare, sulla base della tradizione melismatica presenta anch’esso fioriture vocali che, per essere adeguatamente eseguite, necessitano di una predisposizione alla flessibilità emissiva da parte del cantante.
Bovicelli identifica quattro tipologie di abbellimenti: “passaggi”, “tremoli”, “accenti”, “groppetti”; il primo termine è adottato anche da Maffei nella Lettera sul canto, per identificare un passaggio melodico improvvisato, costituito da una serie di note da eseguire in tempo con rapidità e leggerezza. Bovicelli aggiunge che il cantante non deve solo concentrarsi sulle intonazioni, ma anche sulle parole che pronuncia, passaggiando con sapienza: la voce può asservirsi al λόγος, è grazie all’articolazione, al corretto inserimento dei respiri e alla giusta distribuzione dei passaggi che l’ascoltatore riesce a cogliere il senso del testo cantato, ergo le proprietà vocali precedono la parola.
Nella prefazione, l’autore delle Regole ricorda che l’arte è imitazione della natura, come già postulato da Aristotele, e che la musica è immagine dell’armonia del cosmo. Le parole di Bovicelli sembrano riassumere la cosmologia maffeiana, anch’essa ovviamente di ascendenza aristotelica, descritta nella Scala naturale, ovvero fantasia dolcissima di Gio. Camillo Maffei da Solofra intorno alle cose occulte e desiderate nella filosofia, stampata per la prima volta nel 1564 a Venezia, ove verrà pubblicata anche l’opera di Bovicelli. Se ciò non fornisce prova di un contatto fra queste due interessanti figure, è comunque un’ulteriore testimonianza della preponderanza della scuola aristotelica in epoca rinascimentale e dell’importanza della scuola veneta.
È innegabile la ricerca di equilibrio, proporzione e moderazione nonché l’influsso della filosofia della natura dello stagirita che caratterizzano tanto il pensiero di Maffei quanto la tecnica canora proposta da Bovicelli: quest’ultimo dice che il canto deve imitare le parole, ribadendo il già citato principio imitativo aristotelico, e che i respiri debbono essere distribuiti ritmicamente; la collocazione di fiati, passaggi e variazioni in generale, deve riflettere l’intento comunicativo alla base del discorso musicale (un sentimento gioioso è meglio reso da ricchi passaggi, mentre la tristezza è rappresentata da un incupimento timbrico e un’assenza di abbellimenti; anche Maffei riflette in tal senso, associando ad ogni vocale un’immagine: dato che, ad esempio, gorgheggiare sulla “U” ricorda l’ululato di un lupo, sarà d’uopo farlo solo se si desidera rievocare le stesse tetre sensazioni legate al verso della fiera).
Nulla è lasciato al caso. Ogni aspetto è accuratamente valutato con sistematicità aristotelica e collocato nell’universo naturale per accordare la voce del cantante all’armonia che regola e vivifica l’universo.
Altri abbellimenti
Prima delle Regole bovicelliane, ma sempre dopo gli scritti di Maffei, abbiamo il primo volume della Prattica di musica utile et necessaria si al compositore si anco al cantore (che consta di due parti, entrambe stampati a Venezia: la prima è pubblicata per la prima volta nel 1592, la seconda vedrà la luce nell’anno 1622) del compositore Ludovico Zacconi (Trebbiantico, 11 giugno 1555 – Pesaro, 23 marzo 1627): cantante nonché teorico musicale,membro della cappella di corte di Monaco, Zacconi trascorre gran parte della sua vita in Italia.
La Prattica fornisce ulteriori informazioni circa gli ornamenti vocali, il cui scopo è catturare l’attenzione degli ascoltatori e incuriosirli, pertanto è necessario calibrare con sapienza l’inserimento delle fioriture, espedienti estetici e comunicativi.
Anche Zacconi tratta di canto passaggiato, dichiarando che un musicista incapace di eseguire passaggi non è degno di chiamarsi tale. È necessario essere consci del proprio strumento e delle proprie possibilità: nessuno dovrebbe mai cantare più passaggi di quanti ne può gestire tutto d’un fiato poiché la piacevolezza uditiva non deriva dalla quantità di virtuosismi, bensì dell’abilità con cui, anche poche ornamentazioni, vengono eseguite. Tale atteggiamento ricorda la pratica della “sprezzatura” maffeiana e il concetto di “grazia” bovicelliano: un bravo cantore non mostra sforzo mentre canta ed è sempre misurato nelle scelte performative; il vero cantante rifugge l’“affettazione” e non fa sfoggio delle sue doti, si esibisce con modestia e quando è perfettamente padrone della tecnica.
Zacconi prosegue a proposito del tremolo, che a suo avviso è utile per predisporre la gola all’esecuzione di un passaggio (l’autore motiva tale affermazione paragonando la voce ad una nave che solca più agevolmente le onde una volta partita rispetto a quando deve iniziare a muoversi all’inizio del viaggio); Bovicelli definisce il tremolo come un “tremare di voce”.
Oltre al passaggio e al tremolo, Bovicelli identifica altre due fioriture vocali: l’accento, che consiste nel “preparare” la nota originale da intonare con ritmi quasi dissonanti, e il groppetto, cioè un gruppetto di note.
Il trattato di Bovicelli si conclude con mottetti e madrigali (di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Cipriano de Rore, Tomás Luis de Victoria, Claudio Merulo, Giulio Cesare Gabussi, Ruggero Giovannelli e dello stesso autore delle Regole); allo stesso modo si conclude la Lettera sul canto di Maffei, che esorta l’aspirante cantore a fare pratica ogni giorno con impegno, utilizzando i semplici esercizi forniti dal poliedrico solofrano e i madrigali da lui passaggiati, occasione per spiegare la propria voce e mettere in pratica in un brano quanto appreso.
Quanto detto sino ad ora dimostra la polivalenza delle ornamentazioni che abbelliscono una monodia: il puro bello estetico è subordinato a savie scelte esecutive; il cantore rispettoso della filosofia della natura farà tesoro degli insegnamenti di tecnica vocale per imitare la natura stessa, e farà arte solo restituendone un’immagine plasmata sulla sua interiorità. Il vero artista si ispira al mondo che lo circonda e lo riflette a modo suo, lasciando un’importante traccia del suo passaggio, dando un senso alla propria vita, in chiave musicale.
BIBLIOGRAFIA
Bovicelli, Giovanni Battista, Regole, passaggi di musica, madrigali e mottetti passaggiati, Venezia, Giacomo Vincenti, 1594.
Brown, Howard Mayer, Embellishing sixteenth-century music, Londra, Oxford University Press, 1976.
Kurtzman, Jeffrey, The Monteverdi Vespers of 1610: Music, Context, Performance, Clarendon Press, 2000.
Ventura, Marcella, Giovanni Battista Bovicelli – Il trattato Regole, passaggi di musica, madrigali e mottetti passaggiati, http://www.tomoquarto.it/notizie/argomenti/giovanni-battista-bovicelli-il-trattato/